Idiomatismi sincretici
L’eclettismo linguistico della Cellar Contemporary
in mostra fino al 15 maggio con Zana Masombuka
Avete presente la sensazione che si prova quando, perdendosi per le vie della città nell’intento di scoprirne i misteri, ci si imbatte in negozietti estremamente minuti e altrettanto curiosi che si rivelano splendide Wunderkammer? Veniamo rapiti da un qualche cosa di magico che a volte risveglia reminiscenze passate, altre scatena visioni e immaginari aperti sul futuro.
Ecco, è proprio attraverso una combinazione azzeccata di elementi fascinosi che, nella serata d’inaugurazione di Time + Nodugwana: An Ode to My Grandmother, la Cellar Contemporary di Trento è riuscita a catturare il flaneur assorto con estrema attenzione all’interno della sua dimensione esplorativa. Inciampando nel progetto di Camilla Nacci e Davide Raffaelli – una piccola grotta delle meraviglie sviluppata tra il piano terra e un interrato nel pieno centro di Trento – ciò che lo avvolge è la visione appagante di un’arte che è, in tutto e per tutto, poliglotta.
La tangibilità atmosferica, percepita nell’immediato, in quanto strato epidermico della mostra, viene resa dal connubio linguistico sinestetico generato intrecciando la musica afro dalle chiare contaminazioni pop e soul dei Mandingo e Jimmy Sherry & The Music Agents, agli scatti fotografici appesi a muro, fonti da cui scaturiscono con una forza estremamente raffinata l’idioma e la sapienza ndebele di Zana Masombuka, in contatto dialogico con l’ambiente trentino di tutt’altra estrazione culturale.
Non finisce qui.
Se questa è, infatti, la composizione formale cui si rivolge lo sguardo (e per i più scaltri anche l’udito), della medesima natura è la somma di fattori che dà corpo al contenuto, materia d’interesse per l’anima. Time + Nodugwana, due serie a loro volta combinazioni di più coefficienti.
La prima getta le basi sul tempo, paradossalmente inteso come dimensione anacronistica univoca in cui passato, presente e futuro si mescolano e confondono in un insieme indefinito, al fine di sciogliere i nodi dello scambio intergenerazionale di conoscenze tra l’intera popolazione dell’Africa post-coloniale, impegnata nella ricostruzione di una propria identità. Masombuka immortala tramite occhi vissuti ed esperti le difficoltà riscontrate nel tentativo di emancipazione della gioventù africana, combattuta tra la necessità di trovare una libertà di espressione e il desiderio perenne di apprendere i segreti della tradizione per farli propri, e lo fa servendosi del processo di disidratazione del limone il cui decorso segna metaforicamente i tre passaggi dei quali si compone Time, evidenziati ulteriormente dai colori della fotografia che, grazie all’utilizzo di espedienti stilistici giocati tra lo stile vintage e il filtro ipercontemporaneo, si vanno via via scurendo. Così, in un continuo cambio di maschere, l’artista personifica dapprima la giovinezza, tanto fresca e spavalda quando fragile e incerta nella perpetua interrogazione gauguiniana, per poi focalizzarsi sulla saggezza resistente e resiliente degli anziani, riluttanti nel tramandare i misteri delle origini: causa il timore di non riuscire a trovare un compromesso di convivenza pacifica. Infine, descrive la riconciliazione e la collaborazione come sole strade verso la liberazione e il progresso. Con Nodugwana: An Ode to My Grandmother Zana sembra quasi voler andare incontro a questo riappacificamento.
Il tempo, assieme alla vestizione del volto, resta il leitmotiv di quella che diventa una vera e propria riflessione dell’artista sul flusso della vita: la sua vita, la vita di molti altri come lei, la vita della nonna che, come spesso capita, l’ha cresciuta. Dal componimento lirico per immagini si possono cogliere gli insegnamenti impartiti dalla donna ad una Zana bambina, che ad oggi li rimette in scena in set dettagliati al punto tale da sconfinare nel fashion. Spiccano il rispetto per la Terra e la natura sublime, nella quale la figura longilinea ma estremamente statuaria della ragazza si inserisce come un Viandante sul mare di nebbia contemporaneo, e la consapevolezza dei limiti e delle possibilità dell’uomo.
Il fluido scorrere di Nodugwana si presenta come un canto ciclico in tre atti, giocato sul costante bilanciamento tra ciò che era e ciò che è: nasce nella danza vitale della matriarca della famiglia Masombuka – imprenditrice di materassi in paglia, che l’artista in spoglie regali raccoglie in stuoie e fascine soppesate tra le mani nell’aridità di un paesaggio apparentemente irrecuperabile – prosegue nella trasfigurazione cui porta la morte – narrata come piacevole enigma da comprendere e accettare, nonché rotta di redenzione e purezza – e si rigenera nell’omaggio alla coraggiosa indipendenza femminile di grandma la cui audacia è reincarnata negli occhi del fratello minore di Zana, riempiti per la prima volta dalla stessa immagine celeste di cui si sono svuotati quelli della nonna.
Così l’artista reidrata i limoni della sua esistenza, così restituisce eternità alla memoria, così onora le cadenze ndebele nel linguaggio di un mondo globalizzato.
Time + Nodugwana: An Ode to My Grandmother.
Ph. courtesy: Cellar Contemporary, Alessia Sebastiani