Young Volcano 4
Gli artisti siciliani emergenti in mostra alla Rizzuto Gallery
di Ilaria Cascino
È stato inaugurato, Sabato 2 Ottobre 2021, il quarto appuntamento di Young Volcano, nuova realtà nata all’interno della Rizzuto Gallery, la quale si configura come area espositiva fisica e digitale dedicata agli artisti siciliani emergenti. In sintonia con le idee che caratterizzano le azioni della galleria palermitana, il progetto è volto alla promozione della Sicilia e dei suoi artisti in ascesa: l’evento si propone, infatti, come vero e proprio trampolino di lancio. In tendenza con le più attuali strategie comunicative, la mostra è visitabile anche sul web e offre l’opportunità di scoprire le nuove potenzialità creative dei giovani artisti ai più curiosi, ai collezionisti e, in generale, al vasto pubblico.
Con l’usuale propensione alle espressioni contemporanee e agli eterogenei linguaggi sperimentali, yovo – così vengono denominate le mostre – fornisce gli strumenti opportuni per l’accrescimento culturale del territorio e per un costruttivo dialogo intergenerazionale.
La quarta esposizione, curata da Daniele Franzella, coinvolge tutti gli spazi della galleria: a ogni artista è destinata una sala. I lavori scultorei e le installazioni site-specific di Josef Ribaudo (Palermo 1997), di Giuliana Barbano (Catania, 1992) e di Giuseppe Lo Cascio (Palermo, 1997) sono intermediate dalle opere pittoriche di Dimitri Agnello (Carrara,1995).
L’azione creativa degli artisti, indissolubilmente legata alla personalità degli autori, descrive un’attività simbolica che si esprime per metafore mediante l’utilizzo di immagini/oggetti che narrano e accennano la realtà circostante. La produzione visiva, combinata all’azione cosciente, si pone l’obiettivo di riconoscere le cose che si manifestano nella loro concretezza, di individuare i limiti tramite lo studio critico della natura umana e vegetale, e di comprendere le strutture di pensiero.
Per Josef Ribaudo la natura costituisce l’elemento primordiale e incontaminato da cui prende avvio la propria ricerca: le radici d’ulivo, di cui l’artista quotidianamente coglie i diversi particolari, si prestano come archetipo scultoreo e materiale che media tra vegetazione e creazione artistica, tra positivo e negativo e tra umano e naturale; l’albero subisce un’oppressione artificiale dovuta alle manipolazioni, alle crescite e agli interventi antropomorfi che, inevitabilmente, segnano eccessivamente il paesaggio. Con l’assemblaggio di materiali organici e inorganici, tra cui il legno, le vernici, le resine, il bronzo e il ferro, lo scultore intraprende un processo creativo in cui corpi, forme e cromie interagiscono tra loro, enfatizzando le connotazioni naturali e innaturali. Le tensioni e le dinamicità mettono alla prova la forza di gravità in un rapporto immediato e diretto con lo spazio della galleria, in cui i fruitori osservano e captano le forzature e le alterazioni della realtà. Tali contraddizioni, che in apparenza convivono armoniosamente, mirano alla ricerca di una vecchia sintonia uomo-natura dai toni poetici; la materia, invece, ricca di forza concettuale, indaga sulla forma plastica della sezione di rami di vite e sulla condizione innaturale del fusto. L’uomo interviene sull’espansione e sull’ampliamento dell’elemento naturale senza, però, arrestare la spontanea evoluzione delle componenti naturalistiche (i rami, caratterizzati dalle marcate venature lignee, si adattano all’ambiente ospitante e si insinuano all’interno delle pareti e del soffitto): l’opera scultorea si integra perfettamente nel contesto mediante una forte appropriazione spaziale (esaltando una forte propensione a un adeguamento finalizzato a risolvere i conflitti), e la materia si rivela oggetto di riflessione da parte dell’artista. L’ostinata volontà dell’uomo profana gli elementi naturali tradizionalmente sacralizzati e alienati dagli ambienti convenzionalmente vissuti, e li associa a nuovi dispositivi: in tal modo, l’azione umana influenza i paesaggi, e i paesaggi condizionano i percorsi evolutivi e culturali dell’uomo. Il principio di mutabilità e le interminabili possibilità compositive determinano la piena riuscita delle calibrate asimmetrie, linee, forme e motivi.
Si rivela una profonda connessione col mondo naturale anche nelle opere su tela e su carta di Dimitri Agnello che, ricorrendo a un’archeologia di cose e oggetti dimenticati (icone, sculture antiquate e reperti), procede in un’intensa indagine sull’immagine traslata in una dimensione atemporale. Il pittore prova a sensibilizzare i fruitori a un’insolita percezione visiva dell’immagine, alla lettura di un racconto filtrato in cui assetti e affinità rimandano a qualcos’altro, a una rielaborazione/archiviazione del materiale e a un accurato rito di ricerca sul processo coloristico degli oli. Le forme appaiono presumibilmente in uno stato di transitorietà improvvisa e la superficie diviene spazio di illimitate possibilità: nell’avvertire la paradossalità trascendentale dell’immagine, le ambiguità fisiche e prospettiche condizionano lo sguardo e lo sottopongono a un grado di impossibilità di comprensione dell’opera. La sottrazione semantica della pittura traduce le immagini in logos e sconvolge gli abituali dispositivi di visione e percezione, turba e smarrisce gli osservatori insoddisfatti da tale paradosso oscuro; le immagini svaniscono in fretta, chi guarda non vuole mantenere tale stato di incertezza e prova a cogliere in maniera più intelligibile ciò che le immagini nascondono, ma abbandona il proposito di identificare/individuare soggetti e oggetti e di designare tutto ciò che si vede. La realtà riprodotta dal pittore si mostra in potenza e nelle sue possibilità di cambiare e diventare altro: la materia manifesta le capacità intrinseche di produrre o subire evoluzioni, tuttavia le rappresentazioni alterate e illusorie non sono mai realmente raggiungibili. Il rendimento delle ombre e dei vuoti, il cedimento delle superfici e delle luci generano la ricerca e il desiderio di indagare sulle sagome che interagiscono in una struttura ben lontana dai tradizionali dispositivi che privilegiano il visibile. Il momento visuale è ostacolato da immagini e codici storici che esplorano ambientazioni liquide e oniriche in disposizioni disordinate e offuscate: ciononostante, tali condizioni favoriscono ulteriori interpretazioni altrimenti inaccessibili e da cui abitualmente si distoglierebbe l’attenzione. Il depotenziamento della sensibilità e della consapevolezza dei fruitori instrada l’indagine verso le complesse questioni concernenti i problemi della rappresentabilità frammentaria e delle testimonianze lacunose a contatto con il reale. La memoria rarefatta e sbiadita si fa metafora del declino dei valori attribuiti ai corpi, alle immagini e alle informazioni acquisite con difficoltà.
La mancanza dell’adempimento umano è riscontrabile al tatto negli assemblaggi e nelle riformulazioni materiche di Giuliana Barbano, che propone inusuali accostamenti mnemonici volti alla ricerca sull’effettività umana e naturale, in una dimensione spazio-temporale dilatata, in cui corpi e oggetti, carichi di rimandi emozionali e simbolici, testimoniano il proprio passaggio in questa realtà. La rilettura dei materiali d’archivio si interseca armoniosamente con mezzi e strumenti forniti dallo spazio, dalla memoria, dai corpi e dalle architetture per l’osservazione delle convenzioni sociali, e che suggestionano una nuova serie di emozioni individuali e collettive. L’installazione site-specific e i tre dispositivi predisposti alle pareti danno avvio a una riflessione sulle condizioni umane/animali attuali e sulla quotidianità vissuta: il riconoscimento della personale identità/libertà è oppresso dalla struttura fisica metallica della gabbia da parto degli allevamenti; tali violazioni fisiche e psicologiche sono rivelate, ancora una volta, dal video proiettato sul leggero e fragile supporto cartaceo, e che riporta visivamente la costrizione di esseri viventi per conto di una società che prova a constatare la propria supremazia e i propri benefici sugli altri (i maiali agiscono e convivono in spazi limitati e poco capienti). Anche le immagini che testimoniano l’associazione di strutture distopiche ad apparecchiature ospedaliere e ausili medici rimandano a un senso di costrizione e coercizione da parte di individui su altri individui e su organismi animali e vegetali. Barbano osserva la realtà che si rivela frustrante e frammentaria, e prova a ricomporla e narrarla prima secondo nozioni psichiche e concettuali, per poi trasformarla in immagini: ancora una volta, l’alterazione e la manipolazione materica avvalorano i processi di dislocazione, il malessere che l’uomo prova ad acquietare, la percezione dei pericoli imminenti e la vulnerabilità dei corpi. I materiali ferrosi e metallici, freddi, rigidi e inerti costruiscono e decostruiscono immagini e associazioni ad altri mondi (vegetali, umani, animali e digitali) equiparati da una visione comune del racconto e della memoria. Davanti ai lavori che potremmo definire “poco rassicuranti” dell’artista, che mutano l’ambiente e spaziano dall’installazione al video, alla scultura e alla fotografia, nessuno avverte di essere un semplice spettatore innocente; i microcosmi con i quali si interagisce evocano un’enorme risonanza emotiva a cui l’artista ricorre per evadere dai luoghi stretti di reclusione e per dialogare con l’ambiente esterno e lo spazio espositivo.
A indagare sui residui frammentari della memoria e delle biografie è Giuseppe Lo Cascio, che con la sua costruzione architettonica immaginaria costruisce anch’egli microcosmi che lasciano spazio a scenari intimi, ed enfatizza l’effetto illusorio della natura temporale e la dimensione poetica della quotidianità. Il linguaggio scultoreo-installativo estremamente personale si aggrega a combinazioni plurali che preservano il fascino enigmatico dei metodi associativi molteplici. Il materiale ligneo sovverte l’immaginario della realtà e crea sempre nuove disposizioni, l’alternarsi di ombre, pieni e vuoti, scandisce i profili individuali tramite l’introspezione psicologica. Le relazioni con i soggetti, le forme e le storie catalizzano i ricordi e sono capaci di generare la comprensione del mondo circostante; le sperimentazioni materiali concretizzano i processi creativi dell’artista e rendono tangibili i procedimenti antropomorfi in cui gli oggetti si mutano in organismi che modulano e alternano le connotazioni di presenza e assenza.
La mostra sarà visitabile fino al 30 ottobre 2021 dal Martedì al Sabato, dalle 16:00 alle 20:00 presso la Rizzuto Gallery (Via Maletto 5, Palermo).