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INTERVISTA A GIANPIERO VINCENZO DI WHITE GARAGE

di G. Mendolia Calella e V. Barbagallo

 

Chi è Gianpiero Vincenzo? Ci racconti brevemente di sé.

Non mi piace molto parlare di me. Viviamo nel mondo della pubblicità, della propaganda anche di noi stessi. Posso solo ricordare che dal 1989 al 1991 sono stato consulente artistico della Fiera di Milano (tramite Gian Maria Bordi) per l’organizzazione delle prime due edizioni dell’allora biennale Internazionale d’Arte contemporanea. Dopo aver accumulato molte esperienze negli anni successivi, oggi sto tornando ad occuparmi di gallerie. Credo però ci sia una profonda continuità culturale in quello che ho fatto, nei saggi e romanzi che ho pubblicato, nei corsi che tengo in Accademia e nella curatela artistica.

Quali sono i suoi punti di riferimento nel mondo dell’arte contemporanea?

Tutti gli artisti che hanno fatto della ricerca di nuovi significati espressivi e simbolici la loro arte. E quelli che si sono battuti contro la colonizzazione dell’immaginario promossa dalla cultura del consumo. All’intersezione delle due equazioni si possono trovare artisti come Marc Rotkho e Yves Klein, proseguendo con Fluxus fino ad arrivare a Beuys e Kiefer, a Bill Viola e Bansky. La sfida è mantenere questa stessa tensione creativa anche nelle generazioni più giovani. 

Il 22 giugno inaugurerà lo spazio White Garage di cui è il direttore artistico. Perché uno spazio dedicato ai linguaggi visivi contemporanei a Catania? Che taglio avrà lo spazio? Che programmazione? A chi si rivolge (pubblico e artisti)?

Catania è uno snodo centrale della Sicilia e del Mediterraneo in molti settori, ma non lo era per l’arte contemporanea. Da quando ho iniziato a insegnare in Accademia nel 2010 penso di aver dato un contributo fondamentale allo sviluppo di una cultura della ricerca artistica e alla riflessione critica sul sistema dell’arte e la società dei consumi. Di fatto oggi ci sono le premesse per una maggiore condivisione dei progetti artistici, per un più ricco scambio culturale tra creativi. C’è un nuovo fermento creativo. White Garage sarà soprattutto un punto di riferimento curatoriale, un luogo dove far crescere le idee, i progetti. Sarà aperto agli artisti, ma anche ai designer, ai video maker, ai giovani scrittori e musicisti. Sarà un luogo in cui creare mondi rappresentativi slegati dal mercato e dal moderno diluvio delle immagini prive di senso.

Con quale mostra aprirà lo spazio e perché?

Il 22 giugno inauguriamo la prima personale di Roberto Davide Montalbano, che piega la macchina fotografica a esigenze espressive per le quali il mezzo tecnico non è stato programmato in origine. Ha fatto un percorso che lo ha portato da fotografo a essere un artista, a esprimersi con una libertà e forza ancora maggiori. Distrugge i canoni dell’estetica di massa, ma le sue immagini “non belle” sono ricche di fascino, presentano una estetica che stimola un atteggiamento culturalmente attivo. In qualche modo aiutano a spezzare la spirale di passività mentale in cui sembra sprofondare l’uomo contemporaneo. Gli Estratti dei suoi tre progetti artistici si collocano lungo la strada che vogliamo percorrere. 

Punti di forza e punti deboli di aprire uno spazio a Catania?

Tutta la Sicilia orientale ha una grande tradizione artistica anche se legata a schemi di carattere prevalentemente locale. Non ho nulla contro le tecniche tradizionali ma queste possono essere un limite alla creatività se diventano fini a se stesse. Col mio lavoro di docente ho cercato di liberare gli artisti dai limiti del localismo culturale. In quesa prospettiva il rapporto con la tradizione, con i simboli che ci hanno accompagnato nei secoli, può dar luogo ad aperture molto interessanti, penso ad Adrian Paci, per fare solo un nome. In Sicilia c’è una enorme carica creativa che deve solo essere coltivata e canalizzata.

Cosa differenzia il suo spazio da quelli già esistenti sul territorio e in che modo pensa di dialogare con le altre realtà dedicate all’arte contemporanea?

Da sociologo non posso non guardarmi intorno e vedere che c’è carenza di spazi del contemporaneo. Da gallerista cercherò di riempire questo vuoto e di dialogare con quelle istituzioni che portano avanti un progetto artistico serio. Non sono molte ma sono di grande qualità. Quest’isola non conosce mezze misure. Comunque saremo l’unico spazio che coniuga arte e design, almeno non mi risulta che ve ne siano altri.

C’è stato un evento o un incontro in particolare che le ha fatto capire che era giunto il momento per lei di aprire questo spazio?

Quando Roberto (Montalbano) mi ha portato i suoi progetti ho capito che i tempi erano maturi. Lui è un esempio per molti artisti di qualche anno più giovani. E infatti insieme a lui anche altri sono enormemente cresciuti in questi ultimi anni. Contemporaneamente una vecchia officina di proprietà di famiglia, occupata quasi ininterrottamente dal 1908 a oggi, di colpo si è resa disponibile. Quando ho visto lo spazio sgombro ho capito subito le sue potenzialità. Non era grande, ma si prestava benissimo a essere una fucina di proposte, un garage dove far nascere nuove prospettive. L’incontro con Giovanni Levanti, che curerà la sezione design, ha permesso di ampliare e rendere ancora più interessante il progetto.

Come definirebbe il panorama artistico siciliano? Esiste una rete o un sistema dell’arte dove lo scambio tra individui, operatori e istituzioni pubbliche e private possa definirsi maturo? 

Il siciliano per sua natura non è particolarmente portato alla condivisione. Ma ormai noi meridionali dobbiamo dismettere questo atteggiamento da ex-colonizzati, questa eterna diffidenza verso il prossimo. La crescita del sistema dell’arte contemporanea passa per una maggiore collaborazione tra le varie istituzioni, pubbliche e private. Ritengo che un ruolo fondamentale lo giocheranno gli artisti, che saranno catalizzatori di importanti trasformazioni. Dobbiamo però dar loro più voce.
A quali progetti state lavorando come galleria per i prossimi mesi?

Stiamo seguendo le ricerche di un gruppo di giovani artisti e presto potrebbe arrivare il loro momento di presentare i progetti. Provengono dalle accademie italiane ed europee. Poi ci sono quegli artisti che definisco della “diaspora”, costretti ad allontanarsi da Catania o dall’Isola per mancanza di strutture utili alla loro crescita artistica e professionale. Vorrei che qualcuno di loro trovasse finalmente una “casa”. E poi guardiamo con attenzione ad artisti del nord Africa, che possono portare un punto di vista diverso e complementare al nostro. Ci      sono ottime gallerie in Tunisia e Marocco con le quali stiamo iniziando una collaborazione. Per quanto riguarda il design, invece, stiamo sviluppando un progetto incentrato sulla convivialità, per valorizzare alcune delle eccellenze della Sicilia. Siamo un cantiere aperto.

 

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