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VERTICALE episodio #3

 

Santarcangelo Festival

quando finisce il consenso | enough not enough

 

Nel terzo episodio di VERTICALE abbiamo incontrato Tomasz Kireńczuk, direttore artistico di Santarcangelo Festival per il triennio 2022-2024. Si tratta del festival italiano dedicato alle arti performative contemporanee giunto alla 53esima edizione.

 

Dal 7 al 16 luglio 2023 si svolge la 53esima edizione di Santarcangelo Festival, il più longevo festival italiano dedicato alle arti performative contemporanee, con un programma intenso composto da oltre 100 appuntamenti, 40 tra performer, gruppi e compagnie provenienti da tutto il mondo impegnate tra installazioni, performance, spettacoli di danza e teatro, workshop, incontri e djset.

Il claim di quest’anno, enough not enough, apre lo sguardo a una serie di interrogativi. Cosa non abbiamo più intenzione di accettare? Di cosa sentiamo la mancanza? Come riuscire a condividere una realtà sempre più caratterizzata da disuguaglianze, ingiustizie e sfruttamento?  Quando finisce il tempo del consenso e si passa all’azione con il dissenso?

Ne abbiamo parlato con Tomasz Kireńczuk, curatore, drammaturgo e attivista polacco a cui è affidata la direzione artistica di Santarcangelo Festival fino al prossimo anno.

 

Enough not enough è il claim scelto per questa nuova edizione diretta da te, cosa significa?


«Il claim rappresenta la cornice del festival che inquadra le esperienze degli artisti e le artiste in programma. I lavori che presentiamo quest’anno raccontano un mondo in bilico tra l’avere troppo e il non avere abbastanza. Qual è il trigger che ci porta alla decisione di reagire a ciò che non accettiamo? Se l’anno scorso ci siamo focalizzati su una osservazione più individualista e intimista (Can you feel your own voice?), quest’anno è molto presente questa coscienza del fare l’arte per esprimere dissenso – d’altronde ci riferiamo ad azioni che avvengono negli spazi pubblici – per questo ci interessa moltissimo indagare questo confine tra consenso e dissenso e capire in quali situazioni, in quali contesti e per quali motivi da una condizione in cui accettiamo andiamo verso il non accettare, verso il dissenso quindi l’azione»

 

Rebecca Chaillon | Whitewashing ©Luca Ferreira

 

Cosa vedremo quest’anno? Come orientarsi nel fitto programma?


«Difficile raccontare brevemente cosa accade ma si possono individuare diversi percorsi di lettura del programma. Il primo potrebbe essere quello spaziale, ci sono nuovi spazi quest’anno come le Ex carceri in cui sarà ospitata la bellissima installazione Dear Laila di Basel Zaraa, artista palestinese con base in Inghilterra e ancora in un podere appena fuori la città presentiamo Sottobosco, il nuovo lavoro di Chiara Bersani in cui viene indagato il rapporto tra corpo disabile e natura, un altro lavoro di Sara Sguotti S.O.P.- SOME.OTHER.PLACE che indaga la relazione tra corpo, spazio e performance, e dopo il grande successo dell’anno scorso torna anche Alex Baczyński-Jenkins con una coreografia che riflette sulle relazioni tra desiderio, danza, amore (inteso come comunità), perdita e tempo.
Poi si può seguire una linea tematica. Quest’anno ancora di più sono presenti le questioni del razzismo, post-colonialismo e la responsabilità europea del colonialismo. Tra le artiste e gli artisti che affrontano questi temi cito Rébecca Chaillon con Whitewashing, e ancora Harald Beharie Batty Bwoy, Tiran Willemse con Blackmilk, Ana Pi The Divine Cypher

 

Tu vieni da un paese, la Polonia, mosso da tensioni politiche e sociali diverse dall’Italia, qual è il tuo sguardo sul nostro paese e in particolare come trovi la scena performativa qui?


«L’arte fa sempre parte di un sistema e il modo in cui questo sistema funziona influisce sulle azioni delle artiste e gli artisti. Direi che Polonia e Italia sono paesi totalmente diversi da questo punto di vista, sembrano quasi all’opposto. In Polonia la sperimentazione principale nel campo teatrale avviene dentro le istituzioni, che hanno anche le condizioni economiche migliori. La sperimentazione e gli artisti emergenti sono sostenuti in primo luogo dalle istituzioni e questo è molto positivo ma allo stesso tempo per quegli artisti che vogliono percorrere una strada indipendente diventa più difficile. Gli spazi della libera creazione sono effettivamente limitati e negli ultimi anni ci sono stati molti casi in Polonia di chiara censura economica.
In Italia la cosa che a me ha sempre interessato moltissimo è invece questo enorme movimento indipendente nelle arti performative, trovo che sia uno dei più interessanti d’Europa. Allo stesso tempo la mancanza di supporto e sostegno a queste realtà crea discontinuità nel lavoro di artisti e artiste. Vige un sistema basato su numeri, bandi, overproduction, una concorrenza enorme e questa necessità di produrre sempre nuove opere. Anche gli artisti giovani sono costretti a ripetersi: quante idee nuove puoi produrre nel giro di pochi anni? Manca il tempo e lo spazio per andare in una direzione radicale della propria sperimentazione.
»

 

Il tendone da circo che accoglie i djset di IMBOSCO

 

Alla luce di questo come si fa a costruire una programmazione che deve bilanciare necessità produttiva e culturale?


«A Santarcangelo Festival vogliamo sostenere i cambiamenti nelle arti performative italiane e la nostra risposta è non limitarci al Festival, abbiamo costruito anche progetti che si estendono nel corso dell’anno che ci consentono di sostenere gli artisti senza doverli portare necessariamente al Festival o senza mettere loro questa pressione di dover presentare un giorno il loro lavoro.
Tra questi progetti c’è FONDO un network per la creatività emergente che ci consente di sostenere le ricerche di due artisti all’anno in collaborazione con 13 partner italiani. Un altro progetto è ROM Residencies On the Move per sostenere le residenze degli artisti all’estero – Sara Leghissa è già stata in Canada e Giovan Francesco Giannini andrà in Francia. E ancora In Ex(ile) Lab, un altro importante progetto condiviso con Cipro, Francia e Portogallo che ci permette di sostenere artisti in esilio all’estero. Tutte queste attività ci permettono di fare di più di quello che ci permette di fare il solo Festival.»

 

«Città-festival» «città-festa» «città-teatro» quale rapporto del festival con la città di Santarcangelo e le comunità locali?


«Dopo cinquant’anni di esistenza di questo festival questo rapporto con la città è molto forte, perché il festival fa parte del dna di Santarcangelo. Io ormai vivo qui tutto l’anno e questo mi ha permesso di capire come cambia Santarcangelo durante il festival. L’impatto è fortissimo, abbiamo calcolato che tra le sole persone che vengono da fuori per noi – tra giornalisti, artisti, compagnie, collaboratori, curatori e professionisti – parliamo di almeno 700 persone che stanno qui in un paesino di 22 mila abitanti. Questa possibilità di portare un altro mondo, un’altra prospettiva e un altro modo di vivere gli spazi e muoversi nella città è già un impatto fortissimo.
Il Festival ha poi diversi modi di entrare in dialogo con la cittadinanza, in primo luogo i progetti artistici. Quest’anno Chiara Bersani per il suo lavoro Sottobosco ha invitato un gruppo di cittadini con disabilità di Santarcangelo a prendere parte al suo spettacolo e ancora l’attivista bielorussa Jana Shostak ha organizzato un workshop aperto alla cittadinanza per raccontare l’attuale dittatura in Bielorussia.
Il festival serve a portare nella quotidianità degli spettatori una consapevolezza anche su paesi lontani (e meno lontani perché la Bielorussia non è affatto lontana).
»

 

Santarcangelo è uno dei principali appuntamenti di ritrovo per gli operatori teatrali italiani, quanto il contesto contribuisce a questo confronto?

 

«Ci sono tanti luoghi di incontro come i djset di IMBOSCO o il Centro Festival su Piazza Ganganelli che offrirà di nuovo la possibilità di stare insieme, mangiare e trascorrere del tempo con artisti e artiste. Santarcangelo è una città tranquilla che consente di immettersi pienamente dentro il racconto che presentiamo. Non occorre usare metro, taxi o tram, e proprio questo consente di rimanere rilassati, aperti e concentrati su quello che accade. I tanti momenti di ritrovo, festa, party, chiacchierate portano nuove idee e alleanze difficili da costruire senza questo contesto. Santarcangelo era e dovrebbe ancora essere questa piattaforma di scambio, dialogo e immaginazione – radicale anche.
Forse non abbiamo abbastanza forze per cambiare questo sistema ma abbiamo abbastanza forze per immaginare modi diversi per fare costruire e collaborare, da questo immaginare bisogna provare a mettere in atto.
Incontrare, immaginare e poi provare a fare: questo sarebbe il piano!»

 

 

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