PUPI | LA NUOVA STORIA
Cosa succede quando una secolare arte popolare incontra l’arte contemporanea?
di Bianca Basile
“Le radici sono importanti”. Una frase senza tempo; classica, nel senso di sempre attuale. Potrebbe essere attribuita alla nonna, agli antichi cittadini di qualsiasi popolo che si riconosce come tale, sino a ritrovarla nell’ormai celeberrimo film sorrentiniano, “La grande bellezza”. Come spiega l’artista catanese Noemi Mirata: “le radici, in sintesi, sono quelle che danno la possibilità all’individuo di nascere, crescere e creare un continuum nella nostra vita, ci tengono saldi al suolo e ci rendono capaci di germogliare e spingerci in alto”. Noemi è una dei quattordici artisti che sono stati selezionati da una giuria composta da diverse figure di esperti del settore: la gallerista Anna D’Ambrosio (Amy-d Arte Spazio), l’artista Concetta Modica, il giovane curatore e operatore museale Gabriele Salvaterra e la giornalista Valentina Poli. La giuria ha affiancato nella selezione il mandante della call: il Collettivo Flock, gruppo di giovani artisti associatosi a Barcellona Pozzo di Gotto con lo scopo di creare progetti che mirino alla divulgazione di diverse forme di arte, promuovendo a questo scopo mostre itineranti.
Il progetto “Pupi – La nuova storia” trae le proprie origini dalla riflessione su un’oggetto topico della Sicilia: il pupo. La sua storia inizia intorno alla prima metà dell’Ottocento allo scopo di narrare leggende regionali. Successivamente, a Palermo, due famosi pupari fecero indossare loro le armature cristiane e saracene e con esse i valori cavallereschi che trasmettevano incarnando le storie afferenti a diversi popoli. Il passaggio dalle storie locali alle storie transnazionali non stupisce se si pensa alla storia siciliana, variopinta in senso polinazionale per il susseguirsi delle diverse dominazioni regionali. Dagli anni ’50 del Novecento però, con l’avvento della televisione e dell’individualismo culturale, i pupi persero tutto il loro pubblico, vennero svenduti come souvenirs e i pupari cambiarono mestiere. Il Collettivo Flock ha deciso di intraprendere una crociata resurgiva della tradizione ma con l’arma contemporanea della visione individualista: ha invitato gli artisti a far risorgere il topos, l’icona immobile del pupo siciliano nell’era contemporanea, ognuno a suo modo.
I risultati sono andati oltre le aspettative del gruppo promotore. Chi ha avuto quasi timore della grande storia del soggetto/oggetto e ha solo preso le misure del modello “nudo” mandato dal collettivo ad ogni candidato prescelto; chi invece vi è intervenuto sin nell’anima lignea del modello mettendone in mostra gli “organi”. Un soggetto estremamente connotato, apparentemente nato ed estinto, è rinato dall’afflato ispirato dall’incontro/scontro con l’arte contemporanea. Quest’ultima si è manifestata in tutta l’eterogeneità dei suoi temi e dei suoi materiali. Dal contrasto tessile-metallico presente nella tenera cotta di maglia a protezione dell’anima, ad opera di Carole Peia, alla (ri)nascita in forma di muffa realizzata da Caterina Quartararo. Il pupo divenendo, da personaggio popolare siciliano, cavaliere cattolico o saraceno ha allargato ancora di più la sua connotazione geografica e storica: riconnesso alla terra tramite tumulazione, uscendone innestato con essa o con i rifiuti che ora la ricoprono, è divenuto cyborg mosso a suon di frequenze dal ritmo “elettronico”. Denunciando la forza che ha oggi l’individualismo, segnala anche la fallacia della sua presunta libertà e si carica così, in modo aggiornato, dei vecchi valori, come la bellezza corale dello “starsi vicino” e l’importanza di sentirsi legati alla propria terra, in senso sia locale che globale.
La mostra itinerante inaugurerà presso Amy-D Arte Spazio il 23 gennaio alle ore 18.30.