Prendere a calci le disuguaglianze
da Spazio Rivoluzione
“Quando il Messico manda la sua gente, non manda i suoi migliori, mandano persone che hanno un sacco di problemi e portano quei problemi con noi. Portano droga. Portano criminalità. Sono stupratori. E alcuni, suppongo, sono brave persone”. È così che Donald Trump si riferì ai latinos nell’annunciare la sua candidatura nel 2015, con un discorso che trova pieno spazio in una campagna elettorale che esprime in pieno l’azione politica del presidente degli Stati Uniti, infarcita di – tra le altre cose – populismo, arroganza, xenofobia e omofobia. Trump vinse le elezioni sia all’epoca di quel discorso, nel 2017, che oggi nel 2024, quando venne rieletto il 5 novembre dell’anno trascorso.
Nel parlarne a grandi linee, è indicativo come la duplice vittoria di certi valori che vanno contro i diritti umani di grandi fette della popolazione, americana e non, trovi una base solida nella forza emotiva del metodo Trump, che si pone come un nuovo guru, un messia capace di guidare l’America verso una nuova età dell’oro e di cancellarne la disperazione. Con il pathos brutale dei suoi sermoni, il presidente riesce a trascinare dalla sua parte anche porzioni insospettabili di cittadini, tra cui i Latinos della Florida, i quali nel 2019 fondarono anche la coalizione ‘Latinos for Trump’.
In questo quadro per nulla rassicurante, anche gli artisti cercano di far sentire la loro voce: un esempio lampante è il collettivo artistico Indecline, nato nel 2001 da un insieme di graffiti writers, registi e attivisti appartenenti alla West Coast. La loro azione artistica si inserisce nel filone dell’arte di denuncia, di stampo fortemente eversivo e anticapitalista, che li ha visti attivi sin dalla presidenza di Bush nel portare avanti la lotta contro le politiche di disuguaglianza e ingiustizia sociale, subendo anche censura e arresti.
Insieme all’artista spagnolo Eugenio Merino, anch’esso impegnato nell’esplorare col suo lavoro l’impatto del potere politico ed economico, presentano presso Spazio Rivoluzione (Palermo) la video-installazione Freedom Kick, visibile dal 22 Febbraio al 22 Marzo. L’opera è incentrata sulla questione messicana, il cui muro di Tijuana, nel dividere il Messico dagli Stati uniti, è la presentificazione dell’odio sociale, di una politica ingiustificatamente violenta e al servizio dell’imperialismo americano (come si legge nel testo di Luisa Montaperto che accompagna il video).
Nell’opera, una squadra in un campo sconfinato (anche se apparentemente) si sfida in una partita a calcio con un pallone particolare: la riproduzione iperrealistica della testa di Donald Trump. Adesso è Trump, e non le minoranze, a essere ‘preso a calci’ – il gesto del tirare un calcio però diviene in questo caso non un voler ‘scacciare’ chi non rientra negli interessi della politica totalitaria trumpiana, ma un atto comunitario e di denuncia contro quella stessa politica da parte di chi la subisce, lanciando un segnale sovversivo e capace di infondere coraggio.
Non a caso l’azione si svolge all’interno di una partita di calcio, gioco nel quale gli elementi principali sono il cameratismo e la solidarietà tra i propri compagni di squadra, qui trasformati in potenti armi di resistenza, in opposizione alle macchinazioni dei leader mondiali. L’atmosfera della partita è infatti spensierata e leggera, scandita dalle musiche tradizionali messicane di Celso Piña che si alternano ai Rage Against The Machine. Se uno degli obiettivi di Trump è scatenare rabbia feroce in chi lo contesta, provocando reazioni di pancia, il collettivo Indecline e Eugenio Merino dimostrano che si può lottare senza sconti e senza edulcorare il dramma pur mantenendo l’ironia.
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