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PLUMBEA

Tutto quello che ancora non so

 

Il corpo, il dolore e il tempo sono le tematiche centrali che costituiscono e definiscono la ricerca artistica di Lucrezia Costa. In Plumbea queste visioni trovano forma e casa presso Edicola Radetzky a Milano, nell’ultimo progetto espositivo dell’artista, curato da Riccardo Vailati.

 

Una membrana di piombo, esposta come un frammento sacro, custodita da un’intelaiatura di ferro e vetro, rivela: “Tutto quello che ancora non so”. In questo allestimento l’utilizzo del materiale è centrale, il piombo è il metallo scelto dall’artista per le molteplici qualità che convivono in esso: isolante e resistente alle radiazioni così come alla corrosività degli acidi, ma allo stesso tempo duttile e malleabile. Gli alchimisti pensavano fosse possibile trasformare il piombo, ovvero ciò che è negativo, in oro, vale a dire ciò che è positivo nell’uomo. Associato a Saturno, pianeta dei pesi e delle responsabilità; è tramite le sue accezioni negative che si fa spazio nella storia, esso infatti viene sovente utilizzato per la produzione di proiettili e tombe o come supporto su cui scrivere le maledizioni. Nell’antica Roma è considerato un metallo vile, in campo artistico il suo utilizzo fu sempre limitato e circoscritto alla produzione di oggetti di artigianato minore o per colmare statue e vasi integrandone i segni del logoramento.

 

 

Il piombo è il corpo attraverso il quale vive il dolore. Il lembo di metallo, come una pelle, è il tessuto che mette in comunicazione l’esterno con l’interno del corpo. La pelle di piombo, tesa per mezzo di tubi e bulloni che ne fanno da perno, è manifesto della sofferenza perpetua a cui viene sottoposto il corpo nel passaggio del tempo. Nel petto della membrana metallica, esposta al disprezzo e al vanto, una frase incisa a cicatrice eterna recita: “Tutto quello che ancora non so”. Qui vi sono racchiusi e si stratificano presente e futuro. Parlando al tempo presente di qualcosa che ancora si ignora, la frase al tempo stesso si proietta al futuro prossimo di chi la recita e, nel prenderne coscienza emotiva, il tempo futuro diventa presente. Poiché l’uomo evolve nella sua esistenza attraversando instabilità, pieni e vuoti, così per mezzo di essi affermiamo che “siamo più di ciò che ancora non sappiamo”.

 

PLUMBEA di L. Costa. Ph M. Quagliarella

 

Nell’opera site-specific di Lucrezia Costa, il dolore è manifestato dalla reazione chimica che l’artista ha innescato sulla lastra di piombo e che, progredendo nel tempo, andrà a tormentare il messaggio inciso al centro, rendendolo così illeggibile e di difficile fruizione al pubblico passante. La lastra di piombo, nelle sue imperfezioni, incarna dunque l’entropia e il decadimento fisiologico a cui è soggetto il nostro corpo.

 

PLUMBEA di L. Costa, vista d’insieme di Edicola Radetzky. Ph M. Quagliarella

 

La lastra è una cicatrice collettiva di cui l’artista invita a prendere consapevolezza esorcizzandone la paura. Esposta su tutti e quattro i lati per mezzo di un’impalcatura di ferro, è un’architettura all’interno di un’architettura. La membrana plumbea, qui descritta, è la visione del dolore fuori dal corpo con cui fare pace e di cui prendersi cura. L’artista, infine, ha scelto Edicola Radetzky come sito espositivo anche per la sua vicinanza all’acqua, sottolineando così il fluire del tempo, sinonimo delle nostre esistenze, e la caducità stessa della vita.

 

In copertina: PLUMBEA di L. Costa da Edicola Radetzky. Ph M. Quagliarella