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Brucia ancora

Forme di un archivio distrutto

 

A Palermo il 12 luglio è stato inaugurato il progetto site specific di Margherita Pedrotta (Ivrea, 1998) e curato da Geraldina Albegiani, che sarà in mostra fino al 15 agosto 2024 all’interno di )( artist run space. Per l’occasione abbiamo fatto qualche domanda all’artista.

 

L’opera scenica

Ad accogliere, una volta superata l’ormai tipica porta verde dello spazio, sono i resti di un incendio che ha colpito l’ufficio di un’archivista. Alti scaffali ricolmi di documenti anneriti, come noi, mantengono l’equilibrio su cumuli di cenere nera e sui pochi resti riconoscibili. In fondo una scrivania angolare sui cui poggiano ancora un computer, una stampante e altri strumenti di lavoro, serra il proseguimento verso una porta leggermente aperta, segno della fuga di qualcuno. 

Brucia ancora, il titolo della mostra di Margherita Pedrotta può a primo acchito apparire come un grande progetto scenografico – che non ne diminuirebbe il valore artistico – ma solo lo sguardo in grado di raggiungere le profondità concettuali e il paradossale ordine caotico del progetto può scorgerne il valore di un’unica opera d’arte.

 

Margherita Pedrotta, Brucia ancora, installation view (courtesy by Parentesi Tonde)

 

M.B.: Ho avuto la possibilità di vedere il tuo modo di lavorare, decisamente caotico, sostenuto dall’accumulo e dalla stratificazione. Come si arriva all’ordine scenico di questo progetto e che necessità ne sentivi?

M.P.: Non ne sentivo la necessità, ma sapevo che dovevo organizzare quella montagna di oggetti in una mostra di immediata lettura, attraverso una scenografia che rimandasse ad un archivio o un ufficio. Nel mio studio riesco a camminare ad occhi chiusi in quell’ammasso di cose. L’installazione finale invece é molto semplice e ordinata: due scaffalature e una scrivania, su cui ho trasportato gli oggetti più o meno come erano nel mio studio, impilati e stratificati.

 

Margherita Pedrotta nel suo studio

 

Tutto nasce dal nero

Inevitabilmente ci si sente subito dentro una narrazione e il bisogno viscerale di saperne di più aumenta ad ogni passo, mentre il nostro passaggio viene registrato su un pavimento polveroso. Carpette, monitor, nastri di alcune registrazioni e pile di fogli anneriti svelano ogni tanto la loro precedente natura. Appare evidente che ciò che l’artista riproduce è l’immaginario di un archivio atipico, privo di un’interna connessione significante, ma in cui la raccolta e la conservazione avvengo per mezzo di un processo pittorico, tramite il quale si dichiara l’appartenenza ad un tempo e ad un luogo. Il nero si sparge su ogni cosa presente all’interno del display scenico, annullando le precedenti identità di ogni oggetto e rendendo le sfumature dei sapienti pretesti per permettere allo sguardo più attento piccole scoperte sul passato. Lì si forma l’archivio di Margherita Pedrotta, nella connessione cromatica e nel lento e sporadico svelamento di un passato apparentemente distrutto e dal quale ricostruire nuove narrazioni.

 

 

M.B.: Alcuni pittori sostengono che il nero non vada usato. Tu non realizzi dipinti, eppure ti appropri dell’oggetto tramite un processo pittorico e con l’utilizzo metodologico del pigmento nero. Che rapporto si instaura tra il mezzo e la tua ricerca?

M.P.: Di fatto ho simpatia per pochi pittori. (risata)

La mia però é una prassi operaia: tingo, bagno, asciugo per innumerevoli volte. L’acqua porta via la maggior parte del pigmento e ciò che rimane si deposita strato su strato fin quando l’oggetto non é più lo stesso. Per me il nero é capacità di immaginare ciò che non c’è e ricoprirne le superfici le rende vicine all’infinito. É una questione di funzioni mentali: il nero é la materia da cui ha origine la vita del pensiero.

 

Margherita Pedrotta, Brucia ancora, installation view (courtesy by Parentesi Tonde)

 

L’archivio come fatto contemporaneo

Indubbiamente nel tempo l’archivio ha catturato l’interesse dell’artista, che ne ha declinato – sovente metaforicamente – metodi d’accesso alla memoria, come nel caso delle celebri opere di Hans Haacke. Diventa curioso, a tal proposito, poter indagare l’urgenza che sta alle spalle di un processo così estremamente rigido e burocratico, rimodulato per generare forme di liberazione e di sinergica cooperazione con il passato. 

La mostra di Margherita Pedrotta ridefinisce le finalità alla base dell’archivio, ovvero quelle di una connessione significativa alla memoria e di una su conservazione, per appropriarsene positivamente e fare dell’apparente distruzione una modalità per produrre una personale ricostruzione narrativa. In questo modo l’artista ritrae il volto di un mondo inesistente o temporaneo, al quale si ha accesso e con il quale poter avere un personale contatto.

 

Margherita Pedrotta, Brucia ancora, dettaglio (courtesy by Parentesi Tonde)

 

Margherita Pedrotta, Brucia ancora, dettaglio (courtesy by Parentesi Tonde)

 

M.B.: Infine vorrei domandarti: archiviare e bruciare, che nesso c’è nell’ordine di queste cose?

M.P.: Non ho mai usato realmente le fiamme, ma passo mesi a tingere gli oggetti e a scioglierne i contorni con il calore. É un lavoro di scelte. Molti oggetti avevano anche un’importante testimonianza storica, eppure un ordine vero e proprio non c’è nel mio archivio. Durante la realizzazione dell’opera mi dedicavo di volta in volta alla storia di persone diverse (ci sono tanti temi di giovani donne palermitane degli anni ’70 e biglietti aerei ad esempio), ma non do nulla alle fiamme. È un lavoro di profonda calma in cui prima vivo con quegli oggetti, li studio in ogni minimo particolare e infine li amo così tanto da cambiarne la loro storia. Solo alla fine li organizzo in un archivio.