Ricerca e militanza del rischio
intervista a Luca Granato
Incontriamo Luca Granato, giovane artista cosentino, che attraverso le diverse modalità espressive dell’arte, porta avanti una missione forte, tutta basata sull’uomo e sul luogo da cui viene, sulla società e sulla politica, con un’attenzione maggiore nei confronti del suo caro meridione.
Dalla spiaggia di Cutro agli spazi di VAM Gallery a Treviso, i resti della terribile tragedia avvenuta tra la notte del 25 e 26 febbraio 2023, in cui hanno perso la vita novantaquattro migranti partiti dalla Turchia a pochi metri dalla costa italiana, diventano materiali di opere forti, difficili da digerire per la loro atrocità, ma di assoluta delicatezza e rispetto. Lenti nel sogno, la mostra di Luca Granato a cura di Lucrezia Caliani, diventa un sincero omaggio alle vite perdute, con lo scopo di sensibilizzare maggiormente nei confronti di realtà verso le quali, ancora troppo spesso, viene riservata un’attenzione politica e collettiva ridotta ai minimi termini.
Luca Granato di origini cosentine, nato nel 1999, porta avanti da tempo una ricerca di stampo sociale con una particolare attenzione nei confronti del meridione e delle complesse dinamiche che avvengo in esso.
Quasi al termine della sua mostra lo abbiamo incontrato per indagare la sua pratica e la necessità della sua ricerca.
Quindi Luca? Cosa sei? Come ti definisci?
Sono un ricercatore e un artista visivo.
Dove nasci e dove sei adesso nel mondo?
Sono nato sulla costa tirrenica calabrese, dove vivo e lavoro.
Vorresti essere nato in un altro posto o vivere altrove?
Non ho questo desiderio. Pur sentendo a volte la necessità di conoscere come sia il mondo fuori, sono felice di esser nato e vissuto qui, con tutte le bellezze e le contraddizioni di questa terra.
Come è iniziato il tuo interesse per l’arte?
Nasco come graffiti writer ai tempi del liceo. Da lì ad alcuni anni di pittura informale su tela il passo fu breve. Ad un certo punto misi da parte la tela come supporto e incominciai a lavorare direttamente con il materiale che trovavo sia in città che in campagna, come filo spinato, reti, lamiere. Attraverso questi materialirifletto sui concetti di costrizione e precarietà.
Ad oggi usi diverse tecniche, ce n’è una che senti maggiormente tua?
Sebbene abbia sperimentato molto, non sono legato ad una tecnica in particolare. Mi piace lavorare con materiale denso di storie e di ricordi.
Ci sono artisti o opere a cui guardi?
Mi piace molto la pittura: sono affascinato dagli affreschi bizantini, dall’ultimo Tiziano, dal ‘Bue macellato’ di Rembrandt e dai grovigli di Emilio Scanavino. Ma se dovessi pensare a dei punti di riferimento fondamentali direi: Jannis Kounellis, Gino De Dominicis e Regina José Galindo.
Che film e che libri consiglieresti?
Non sono un fanatico del cinema, ma ho apprezzato molto il film del regista greco Babis Makridis “Birds (Or How to Be One)”. Se potessi consigliare dei libri: “Bellezza e verità delle cose” di Antonino Anile, “La rosa nel bicchiere” di Franco Costabile e “La nausea” di Jean-Paul Sarte.
Come ti confronti con quello che fai? Non c’è mai un momento di rifiuto?
Considero quello che faccio il riflesso di ciò che vedo attorno a me. In genere, sono lavori che nascono da ciò che rifiuto.
E la tua ricerca? Come la definiresti e perchè dovrebbe interessare al pubblico?
Intendo il mio lavoro come una ricerca con un’attenzione antropologica sulle condizioni sociali, politiche ed economiche delle aree marginali mediterranee. Forse l’aspetto interessante di alcuni miei lavori è che offrono una sintesi visiva diretta e immediata di fenomeni e situazioni che osservo attentamente.
Come nasce una tua opera?
I miei lavori nascono dalle suggestioni di ciò che mi sta intorno. Cerco e documento l’eredità poetica e drammatica dei luoghi che abito, le ultime testimonianze del legame tra uomo e terra, per costruirne una mappatura storica e geopolitica. Credo che, all’origine di un’opera, ci sia un’idea o un lume iniziale spontaneo dal quale poi si incomincia a progettare e affinare, pur restando sempre in ascolto e in attenta osservazione di ciò che accade nel mentre.
E come capisci se un lavoro è finito?
Quando non parla più di me.
Qual è stato il lavoro più difficile da realizzare?
Emotivamente, tutto il progetto “Lenti nel sogno”, dedicato alla strage di Cutro. Burocraticamente, invece, il monumento che sto realizzando da circa due anni in ricordo per Peppe Valarioti, sindaco di Rosarno ucciso il giorno stesso della sua elezione. A distanza di più di quarant’anni dalla morte e nessun colpevole riconosciuto dalla legge, la politica locale si oppone alla sua memoria.
Dove pensi che stia andando la tua ricerca?
Credo di star ricostruendo una mappatura storica e sociopolitica a partire dallo studio diretto dei fenomeni e delle condizioni delle aree meridionali. L’obiettivo, forse, è cercare la radice intima di alcune dinamiche e strutture che reggono ancora la vita quotidiana nelle provincie del mezzogiorno e costruire una rete di persone per abbatterle.
Il meridione torna spesso nel tuo lavoro, ma cos’ha di così importante? Senti di avere una missione nei suoi confronti?
Mi piacciono le situazioni complesse e contraddittorie. Mi piacciono i modi di pensare alternativi. Mi piace guardare i fili d’erba tremare. Abbiamo tutti una missione nei confronti del meridione.
Indicami un punto del tuo lavoro in cui l’idea di paesaggio si incontra con quella di meridione?
Credo che l’attenzione verso il paesaggio si incontri costantemente in tutto il mio percorso. I luoghi e il loro cambiamento sono sempre l’oggetto della ricerca dei miei lavori: il progetto “Something about us” è una rimappatura dei territori socio-culturalmente desertificati attraverso le storie dei tessuti recuperati sul campo; con “What if it were like this forever?” inseguo i resti dei brutali incendi dolosi che devastano il paesaggio calabrese. In atti performativi come “Hoeing the sea”, “Postcards from Anthropocene” e “What if it were like this forever?” il soggetto interagisce con l’esterno sempre attraverso azioni effimere.
L’Uomo in tutto questo dove si inserisce?
L’uomo è sempre al centro del mio lavoro. Cerco di comprendere le strutture antropologiche delle relazioni socio-territoriali.
Nel tuo lavoro cosa ti dà più soddisfazione e cosa invece più delusione?
Amo conoscere le microstorie locali e perdermi nei luoghi. Le delusioni sono legate alle aspettative, non è un campo di mio interesse.
Parliamo di “Lenti nel sogno” la tua mostra da VAM Gallery a Treviso curata da Lucrezia Caliani, perchè è importante?
“Lenti nel sogno” è una testimonianza in prima persona di quei giorni tremendi sulla costa e delle settimane che ne seguono. E’ importante perché non rappresenta, ma mostra direttamente ciò che resta di una tragedia umana intenzionale.
Quali criticità hai riscontrato in quel lavoro?
Ho impiegato diverse settimane per raccogliere il materiale dalla spiaggia e quasi un anno prima di rivederlo e decidere di lavorarci. Mi mancava il coraggio di toccare quei materiali, infatti le opere realizzate sono essenziali, simboliche, ma dirette.
Come ci si può affezionare a quelle opere?
Sono opere che richiedono silenzio, lentezza. È l’odore che ancora evoca quel paesaggio.
Che mi dici del rapporto tra la mostra e il pubblico?
Il pubblico si muoveva piano e con rispetto nel silenzio di quelle stanze. Molti realizzavano per la prima volta ciò che sui media non viene mai mostrato.
E invece il tuo rapporto con quelle tragedie?
La mia rabbia va verso l’intenzionalità istituzionale che, troppo spesso, causa questi fatti. Sono felice di vedere la popolazione locale reagire laddove non agisce il potere.
Come pensi si stia muovendo il sistema cultura nei confronti delle tematiche che affronti?
Assistiamo ad una presa di coscienza collettiva della necessità di intervenire nei luoghi che abitiamo, per noi e per i luoghi stessi. Al sud spesso ci si perde nell’estetizzazione e nella spettacolarizzazione di aspetti culturali e identitari come delle emergenze contemporanee. Ho fiducia nelle proposte indipendenti e nelle iniziative autonome.
Cosa pensi del rapporto tra arte contemporanea e società?
Non ho un’idea precisa. Posso dirti che apprezzo tutte quelle pratiche che creano relazioni, che mettono in moto meccanismi di cambiamento e che incidono nel territorio e nelle comunità dove si realizzano.
Che valore ha e perché fare tutto questo?
Occorre testimoniare ciò che non è sotto gli occhi di tutti e – quando lo è – ciò che non vogliamo vedere. Per comprenderci, per redimerci.
In tutto ciò l’artista che ruolo ha?
L’artista è un militante del rischio: racconta i fenomeni che lo riguardano e a volte li catalizza su di sé. Mostra alternative e tenta di accelerare i processi.
Per te cosa vuol dire contemporaneo?
Rispondere alle esigenze del mio tempo.
Invece cosa c’è tra i tuoi prossimi progetti?
Formare una rete organizzata che produca alternative economiche, culturali e sociali nel mio territorio.
Che idea hai del futuro?
Attualmente vaga, instabile, precaria. Mi piacerebbe vedere un giorno le conseguenze dei nostri sforzi.