L’energia delle connessioni invisibili
Intervista ad Alessandra La Marca
A pochi passi dal Naviglio Pavese a Milano, l’art space Finestreria accoglie – in modalità open studio – le opere pittoriche della giovane artista Alessandra La Marca. Un’immersione nel sottosuolo alla scoperta delle connessioni e dei legami invisibili tra gli organismi: metafora della coesistenza e della necessità vitale delle relazioni.
Lo scorso febbraio, presso lo spazio milanese Finestreria, si è tenuto l’open studio di Alessandra La Marca* dal titolo “Immersione aerosa” a cura di Claudia Ponzi. Per tre giorni la galleria ha accolto e mostrato al pubblico le opere pittoriche della giovane artista, presentandole con una modalità espositiva non convenzionale: grazie ad una staffa di legno, posta sulla cornice, i dipinti potevano essere ruotati per visionarne anche il retro. La possibilità di accedere all’altra faccia del quadro, senza la costrizione della fruizione frontale, impone una visione scientifica e profonda a supporto delle tematiche che la La Marca indaga. Questa serie di lavori affronta le connessioni invisibili e sotterranee tra diverse specie vegetali, come ad esempio la Monotropa una pianta incapace di fotosintetizzare che per vivere riceve nutrimento ed energia da altri organismi, senza però danneggiarli. Questa metafora, dall’accezione positiva, è una riflessione sulla coesistenza e sulle connessioni, visibili e invisibili, conosciute o inconsapevoli che determinano un equilibrio tra i viventi. L’artista pone una certa attenzione alla marginalità scegliendo di volgere il suo interesse verso quelle forme di vita che nella loro essenza minuta conservano un’energia vitale ed una forza generatrice a cui difficilmente daremo importanza.
L’osservazione delle connessioni e delle relazioni tra gli organismi vegetali è il fulcro della serie pittorica presentata in galleria. Come e perché ti sei avvicinata a questa tematica di ricerca?
Da quando ho iniziato a studiare in accademia, 5 anni fa, ho avuto l’urgenza di avvicinarmi a questo tipo di ricerca, inizialmente mi sono interessata al Terzo paesaggio (luoghi grandi e piccoli abbandonati dall’uomo e dominati dalla flora), ispirata da Gilles Clément che con i suoi scritti ha dato voce a ciò che ho provato quando per studiare mi sono trasferita da Potenza, una piccola città tra le montagne, a Milano. Proprio a Milano, durante le mie passeggiate di esplorazione, ho iniziato – inconsapevolmente – a cercare con lo sguardo i piccoli dettagli di vegetazione che si formano sul ciglio della strada, tra una crepa nel cemento o sugli edifici dismessi.
Volevo dare importanza a questa piccola vegetazione spontanea che spesso risulta marginale ma racchiude una forte energia generativa.
Con i lavori presentati in Immersione aerosa presso Art Studio Finestreria questo interesse è semplicemente evoluto; avevo bisogno di indagare più a fondo ciò che mi affascina, scoprire i meccanismi nascosti di questi elementi e la natura non umana ma viva si è rivelata estremamente suggestiva. Autori come Donna Haraway, James Lovelock e Lynn Margulis mi hanno aiutata a comprenderla meglio.
Dalle infinite connessioni tra piante di specie diverse che avvengono nel sottosuolo, silenziosamente e all’oscuro dal nostro sguardo; ai modi in cui ogni specie si adatta per vivere in armonia anche quando l’umano gli si scaglia contro; alla forza dei licheni che attraverso la simbiosi diventano così forti da riuscire a sopravvivere nello spazio lontano dalla casa Terra; all’ossigeno prodotto da piante terrestri e alghe che attraverso il respiro ci permette di diventare chimicamente parte dell’atmosfera. Questi sono tutti esempi di estrema ispirazione per me.
Trovo che i funzionamenti biologici della natura possano essere metafora di vita anche per noi umani. A me personalmente hanno fatto cambiare la visione di piccole cose, come degli allenamenti per la sensibilità, narrarli è il mio modo per comunicare quanto questi piccoli ma grandi soggetti possano far riflettere su aspetti del nostro quotidiano.
La possibilità di andare a vedere cosa c’è dietro il quadro è il momento in cui l’artista si espone. La costruzione dell’impianto visivo si mostra nella sua essenza più sincera e genera una connessione tra il pubblico e l’artista che svelandogli il processo gli permette l’accesso al momento intimo dell’atto creativo. Ecco che attraverso questo svelamento, quella connessione tra viventi, metaforicamente espressa nei soggetti, si concretizza.
Come mai scegli di mostrare l’altra faccia della superficie pittorica che componi? Trovi che la rappresentazione si completi mediante questo svelamento?
È da tanto che stavo ragionando su questo tipo di display, trovo che mostrare entrambi i lati della tela rispecchi la mia ricerca, rivelare il retro vuol dire dare una visione primordiale, incontrollata e stratificata rispetto al fronte del dipinto che è molto più figurato e soggetto al controllo. Svelare il processo grazie alla tela grezza priva di imprimitura dona allo stesso soggetto la possibilità di avere diverse sfaccettature; permette di dare valore anche agli errori e ai cambiamenti.
Claudia Ponzi la curatrice della mostra mi ha fatto notare che come in una ricerca scientifica sembra che mostri le fasi del processo di ricerca; mi ha dato questa chiave di lettura, per me inconsapevole, ma molto vera.
La pittura per Alessandra La Marca è solo uno dei mezzi che utilizza. La scrittura o la manipolazione sonora risultano essere ulteriori strumenti di cui si serve nella ricerca per mettere a fuoco e sublimare le tematiche: quasi drammatizzandole le sovrappone al lavoro visivo.
Oltre alla pittura ti servi di altri mezzi come la scrittura e la composizione sonora. Come dialogano questi linguaggi con la tua ricerca visiva?
Il mio rapporto con la pittura è complicato, è qualcosa che quasi non mi basta, ho bisogno di strutturare sempre un pensiero ben definito, e per farlo uso la scrittura che sullo stesso piano della pittura e della componente sonora fanno parte del lavoro; si completano a vicenda. Sono tutti mezzi che uso per dare corpo a ciò che mi interessa comunicare.
Il sonoro deriva dall’esigenza di dare voce a ciò che ho da dire, la pittura mi serve per visualizzare per immagini e in modo immediato i pensieri, la scrittura per dargli una forma leggibile, più lenta e riflessiva.
Che programmi hai per il futuro?
Sicuramente di continuare a produrre opere e approfondire la mia ricerca. Raccontare la mostra a così tante persone grazie alla mia prima collaborazione con una galleria mi ha fatto guardare le opere esposte attraverso sguardi che non conoscevo e ognuno ha lasciato in me un’emozione. Lo scambio così intenso con l’altro ha reso reale l’idea di creare connessioni e spero sia stata una cosa reciproca. In particolare questa serie di lavori ha tante storie che desidero ancora scrivere e c’è l’idea di proseguire la collaborazione con Art Studio Finestreria e Claudia Ponzi con cui, fin da subito, ho lavorato armoniosamente e nel rispetto delle rispettive visioni.
Bio_ Alessandra La Marca* (Potenza 1998) è un’artista visiva, laureata in Pittura e Arti Visive presso la NABA – Nuova Accademia di Belle Arti. Attualmente sta concludendo gli studi in Arti Visive e Studi Curatoriali. La sua ricerca indaga i funzionamenti biologici del mondo vegetale e animale per trarne degli insegnamenti, approfondisce il rapporto tra naturale e artificiale e le modalità in cui elementi eterogenei possono convivere in uno stato di mescolanza e adattamento.
Tra le sue mostre recenti Terre Sconnesse (Galleria Civica Villa Valle di Valdagno), Invisible a cura di FloatingIsland; rassegna video del festival Abbiatissima presso il PACTA dei Teatri Salone di Milano, Immersione aerosa a cura di Claudia Ponzi in Art Studio Finestreria è la sua prima mostra personale. Vive e lavora a Milano.