Le pubbliche relazioni
Definizioni territoriali contestualmente legate alla terminologia di pubblico presuppongono soggetti attivi che si avvicendano in rel-azione a un contesto, a un paesaggio, allo spazio altro da sé. L’uomo è un animale sociale e vive negli interstizi aleatori delle dinamiche partecipative perché agire all’interno di una comunità è una spinta necessaria di coabitazione e di movimento, costituzione di una rete valoriale di profondi intrecci.
E se tutti gli uomini sono animali sociali e gli artisti sono uomini, allora gli artisti sono gli attivatori di fondamenti di interazione, disvelatori delle contraddizioni, antropologi mancati che sintetizzano nell’arte gli anfratti dell’esistenza collettiva.
L’effimera constatazione del sottofondo della vita e l’emersione delle prassi compartecipate catalizzano il fluire degli avvenimenti innescati dall’artista che, come uno sciamano, condensa il suo humus nell’esperienza condivisa, l’essenza più recondita del vissuto memoriale.
Il legame indissolubile dell’inconscio comune si era stretto attorno alle mura degli edifici e si era legato alla montagna. Il nastro veniva interposto tra i vicoli e arrotolato attorno al paesino di Ulassai, così da risvegliare gli animi dei suoi abitanti per rimarcare il rinvio simbolico del senso di appartenenza a un luogo. Quel luogo sperduto che Maria Lai non poteva mai dimenticare.
Promotrice di un qualcosa che ancora non si riusciva a circoscrivere, più di una performance, più di un happening, Maria Lai era riuscita a riunire un’intera popolazione, a tal punto che i contrasti furono dissipati e le relazioni sottese degli individui si fecero opera. Lei diventò il collante silenzioso dei ricordi antichi e delle leggende.
La pratica estetica si amplifica a favore dell’estemporanea vicinanza che si stabilisce tra il noi collettivo come facenti parte di un sistema reale e non si riduce alla mera “cattura” del sovrasensibile di cui noi umili umani non saremo capaci di cogliere, ma solo di contemplare. Invece, ecco che la scintilla vibrante è l’incontro e l’artista tenta di insinuarsi sugli estremi del rapporto, diventa il mediatore delle pubbliche relazioni.
E di Incontri Adrian Paci ne è stato il fautore, promotore del raccoglimento, visitatore dei confini e celebrante di rituali. Come quando decide di approdare nella terra di scambio per eccellenza, il nucleo nevralgico del Mediterraneo, e sceglie di rimanere a osservare la piazza gremirsi della gente di Scicli. L’incrocio delle mani, che si stringono per un contatto temporaneo e atemporale al tempo stesso, accende la sollecitazione sensoriale e il gesto ripetuto riattiva la solennità del quotidiano.
“Noi siamo” il pubblico causale e casuale a popolare la narrazione degli eventi, i protagonisti inconsapevoli di un processo itinerante, siamo divenuti gli attori della messa in scena artistica. Nui simu, espressione di quella sicilianità ancora una volta ricorrente, gli ex minatori delle zolfatare dell’entroterra isolano, che Marinella Senatore in un documento video ha voluto indagare per captare l’organizzazione intrinseca del lavoro e la scansione del ciclo operativo, con la curiosità di osservare l’attitudine all’aggregazione di questo nucleo sociale.
Ed è quel noi, volutamente reiterato qui all’infinito, il perno su cui ruota tutta l’anima dei progetti della Senatore, che man mano si sono espansi, includendo un numero di persone sempre più ampio (ricordando Rosas) e lasciando ai partecipanti l’occasione di raccontarsi e di scrivere le loro storie, in modo tale che l’artista ne fosse semplicemente il garante di identità. Una narrativa che percorre e culmina nella corporeità del teatro della danza in The School of Narrative Dance, che sembra ricordare tanto la straordinaria Pina Bausch. Il corpo come mezzo espressivo e tramite di unioni senzienti.
Un sentire condiviso dai pensieri e dalle parole, dalla forza della comunicazione che si sparge nel tessuto connettivo della comunità. Parole, parole, parole, ma non soltanto parole, sono la testimonianza delle voci di qualcuno che sta raccontando la sua esperienza di dolore e la lascia impiantarsi nello spazio di condivisione cittadino, lì dove tutti possono riflettere. In questo modo Elena Mazzi riesce a raccogliere le vicende, le ricuce e le riveste. Dona loro nuova combinazione.
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Il contatto ha trasformato l’esistenza di ciascuno e la trattativa delle parti viene riformulata. Il patto è stato compromesso e il cambiamento è stato avviato. L’arte è la cifra risuonante dell’umanità.