Intervista ad Enzo Fiammetta
Direttore del Museo delle Trame Mediterranee
Fondazione Orestiadi di Gibellina
di Salvatore Davì
La Fondazione Orestiadi e il Museo delle Trame Mediterranee di Gibellina, istituiti da Ludovico Corrao, sviluppano una prospettiva in cui il corpo stesso della narrazione si basa sui profondi rapporti che intercorrono tra i diversi oggetti presenti in collezione, i molteplici progetti e le diverse opere d’arte che attraversano gli spazi espositivi. Il significato dato all’oggetto è semiotico e metonimico, ovvero si incentra sul rapporto che lo stesso oggetto ha con un altro oggetto o un’altra idea. Il valore interdisciplinare coniuga l’esigenza di sviluppare un corpo narrativo complesso che rende visibile le relazioni sintagmatiche tra opere d’arte e manufatti prodotti da culture diverse. Il focus dell’indagine è in primo luogo il bacino del Mediterraneo che nel corso dei secoli ha assorbito e veicolato plurime metodologie di lavoro che stanno in rapporto dialogico tra esse e con la nostra contemporaneità. Enzo Fiammetta, direttore del Museo, porta avanti il progetto di questa struttura interculturale che anima e connette luoghi suggerendo un singolare progetto espositivo.
Quando e come è nata la Fondazione Orestiadi?
La Fondazione Orestiadi nasce nel 1992 per iniziativa di Ludovico Corrao con lo scopo di conservare e valorizzare l’enorme patrimonio di opere e idee che gli artisti hanno realizzato a Gibellina, contribuendo al progetto di ricostruzione della città, dopo il terremoto del 1968.
Come è nato il progetto del Museo delle Trame Mediterranee?
Il progetto nasce da un’idea di Ludovico Corrao, che dall’inaugurazione del museo, avvenuta il 15 gennaio del 1996, ci vede lavorare insieme. Nel 1996, erano trascorsi quasi trent’anni dal terremoto, la città era già in gran parte costruita, i cittadini avevano vissuto quegli anni con uno straordinario spirito di partecipazione al progetto di ricostruzione insieme con gli artisti e intellettuali, che avevano scelto di dare il proprio contributo alla ridefinizione dell’identità di Gibellina.
In quegli anni, le Orestiadi di Gibellina avevano prodotto opere di livello assoluto, proponendosi come uno dei festival più importanti d’Europa, il Cretto di Burri era stato realizzato, come lo vediamo oggi, Pomodoro, Schifano, Paladino, Consagra, John Cage, HYPERLINK “http://it.wikipedia.org/wiki/John_Cage” Philippe Glass, Diamanda Galas, solo per citarne alcuni, decidevano di proporre qui i loro lavori e le sperimentazioni. Se Gibellina accoglieva, dava spazio alla ricerca dei nuovi linguaggi contemporanei in tutte le arti, il Museo si proponeva e si propone, come luogo di incontro delle produzioni artistiche di tutti paesi mediterranei, ma a partire dall’idea che la Sicilia debba ritornare ad avere un proprio ruolo e dare un proprio contributo al dibattito culturale, sia per la sua posizione geografica che per quella che è la sua storia millenaria che dallo sbarco degli arabi nell’827 a Mazara a quello dei disperati che approdano a Lampedusa in questi anni, la vede terra multiculturale per eccellenza. Dare voce alle molteplici culture, che nella nostra isola si sono sovrapposte e che da noi sono state rilette e riproposte con nuovi canoni.
Quale taglio ha l’istituzione che rappresenta? Quali sono i punti su cui si fonda il Museo e la sua programmazione artistico culturale?
Un interessante testo di Ferdinando Bologna, Dalle arti minori all’industrial design, traccia la storia di quello che è stato in Italia dal Rinascimento a oggi il rapporto tra arti maggiori e arti definite minori, in Italia è sempre esistita questa fatale distinzione, cosa che non accade in altre culture, come quella giapponese o quella inglese.
Il concetto di arte nei paesi Mediterranei, è declinato in maniere differenti, le arti decorative hanno una loro centralità nei paesi del Maghreb, come pure nella storia dell’arte siciliana, basti pensare che due dei nostri principali capolavori sono: un mantello, quello di Ruggero conservato a Vienna e un soffitto, la Cappella Palatina di Palermo.
Il Museo cerca di abbattere la storica gerarchia tra le arti, considerando la produzione artistica dell’uomo senza distinzione tra arti maggiori e minori, senza nord e sud. Considerare gesti, manufatti, idee, oggetti quotidiani, tutti degni di concorrere alla definizione di un concetto di cultura che non appartiene a un popolo, ma a tutti gli uomini come genere. Dove ognuno concorre a partire dalla propria storia, più o meno recente, con pari dignità.
Per la mostra dell’Islam in Sicilia, che abbiamo chiuso proprio in questi giorni, con grande successo di pubblico e critica, abbiamo chiesto ai curatori delle sezioni: Contemporanea, Achille Bonito Oliva; Archeologica, Alessandra Bagnera; Multimediale, Lorenzo Romito e Stalker; Etnoantropologica, Tonino Cusumano e Pino Aiello, di confrontarsi sullo stesso tema a partire dai loro specifici ambiti di ricerca.
Qual è il rapporto che intercorre tra il Museo e il contesto sociale di Gibellina?
Il Museo ha un rapporto continuo con la città e il territorio, attraverso i laboratori didattici che annualmente realizziamo per i bambini delle scuole di Gibellina e delle città vicine. Questo nostro progetto, lo scorso anno, ci ha permesso di vincere il Premio ICOM per il miglior progetto italiano di mediazione Culturale superando in finale il MAXXI di Roma e il Museo di Scienze Naturali di Venezia.
L’interdisciplinarietà è uno dei punti fondamentali del Museo. Quali immagini, che in qualche modo rappresentano il confronto interculturale, ci proporrebbe?
L’allestimento, di cui lei accennava nel testo introduttivo, si fonda sul concetto di sequenza formale, teorizzata da Kubler e Focillon e dalle teorie del puro visibilismo di Heinrich Wölfflin, il quale costruisce un sistema critico per una storia dell’arte “senza nomi” impostato su coppie di simboli contrapposti (lineare – pittorico; forma chiusa – forma aperta ecc.) attraverso le quali analizzare l’evoluzione degli stili artistici. Altro nostro importante punto di riferimento è Alois Riegl, con il suo fondamentale testo Problemi di stile. Con questi presupposti teorici gli oggetti sono collocati secondo rimandi continui tra loro, le decorazioni diventano il motivo conduttore, il legante per una lettura trasversale dell’arte. Tra gli esempi più evidenti, il raffronto tra i segni delle ceramiche di Carla Accardi, ma anche delle sue opere su tela e le pitture delle terrecotte berbere del Marocco, le trasparenze delle opere di Consagra o dell’israeliano Shay e le Musharabie arabe, le scritture di Boetti e quelle dei calligrafi magrebini.
Una delle opere che riassume meglio il nostro lavoro è il “tappeto volante” di Stalker in esposizione permanente nel nostro museo, una grande installazione realizzata dalla comunità armena di Roma, che riprende le Mukarnas della Cappella Palatina di Palermo, riproducendole attraverso migliaia di corde di rame. Quest’opera è il manifesto del possibile rapporto di felice coesistenza di culture differenti, del rapporto tra antico e contemporaneo.
Come dialoga con le altre istituzioni private e pubbliche?
La Fondazione e il Museo hanno sempre cercato il dialogo con le istituzioni private e pubbliche che condividono e apprezzano il nostro lavoro. Negli anni abbiamo realizzato progetti in tanti paesi del Mediterraneo, Medio Oriente ed Europei, collaborando con innumerevoli istituzioni pubbliche e private, italiane come il Ministero degli Esteri e la Regione Sicilia e straniere come la Fondazione spagnola Al Andalus e tunisine. La Fondazione è oggi un importante punto di riferimento per tutta la Sicilia. E il premio ICOM vinto lo scorso anno, ci ha dato ulteriore visibilità in Italia e in Europa.
La Fondazione e il Museo fanno parte della neonata Rete Museale e Naturale Belicina che riunisce diverse strutture operanti nel territorio. Qual è l’intento del progetto?
In tutti noi della Rete, che raccoglie quindici comuni e importanti istituzioni private, oltre che la nostra Fondazione, il Cresm, il CAM, le riserve di Santa Ninfa e delle Grotte di Entella, i parchi di Selinunte e Segesta, c’è la sensazione della necessità di dover intraprendere una strada comune, a fronte dell’attuale fragilità delle singole strutture museali, che oltre a dovere operare con fondi esigui, scontano la mancanza di un organico progetto culturale di sviluppo di questo territorio.
C’è consapevolezza che l’identità di ogni luogo o piccolo centro del Belice, di cui i musei sono espressione, si possa consolidare solo in un sistema integrato a scala territoriale e che solo attraverso la creazione di una rete, si possano superare gli attuali limiti, per una significativa valorizzazione del ricchissimo ed inestimabile patrimonio di cui siamo portatori.
La creazione della rete, l’impegno delle amministrazioni e degli enti, il bisogno incontrarsi, di discutere sui temi legati ai musei è già un primo successo.
Obiettivo è quello di trovare gli strumenti per l’attuazione di iniziative comuni legate alla didattica museale, alla creazione di laboratori per bambini, al merchandising che aprirebbe i musei alle aziende artigianali del Belice.
Punti di forza e punti deboli della gestione di uno spazio in Sicilia?
La Sicilia dovrebbe recuperare un propria centralità del dibattito culturale, cosa che già avviene penso al cinema, alla musica, alla letteratura, queste espressioni alcune delle quali trovano la ribalta nazionale, operano in un contesto estremamente fragile, perché possano, in tempi brevi, trasformarsi in nuova risorsa economica, come avviene in altre parti del mondo dove le sperimentazioni artistiche e i luoghi che le sostengono vengono seguite con attenzione, perché sono le aziende che più rendono economicamente. Gli operatori culturali creano opportunità a diversi livelli, di occupazione, di ricerca sui territori, di offerta turistica. L’investimento pubblico nella cultura è quello più redditizio, se parte da un progetto politico che si pone obiettivi di sviluppo sostenibile del proprio territorio e non penso l’attuale situazione di crisi sia da collegare alle contingenze nazionali ed internazionali.
L’Italia oggi non investe nella ricerca né scientifica, né culturale, a differenza di altri stati europei, e questo nei prossimi anni produrrà effetti nefasti.
Gibellina rinasce dal terremoto con Ludovico Corrao e la sua gente, ritenendo l’arte in tutte le sue espressioni vitale per la rinascita e l’identità di un popolo. Oggi non è così
(a) Mimmo Paladino, Montagna di sale, scenografia per la “sposa di Messina”, 1990, cortile del Baglio Di Stefano, Fondazione Orestiadi, Gibellina (TP)
(b) Carla Accardi, ceramica, Nuove Ceramiche Gibellina, 1990. Terracotta, Marocco, XIX sec. Museo delle Trame Mediterranee, Fondazione Orestiadi, Baglio Di Stefano, Gibellina (TP)
(c) Stalker, Tappeto volante, 2002, corde di canapa e rame, Museo delle Trame Mediterranee, Fondazione Orestiadi, Baglio Di Stefano, Gibellina (TP)
(d) Musharabia, Tunisia, XIX sec. (in primo piano). Pietro Consagra (in secondo piano), gonfaloni per la festa di San Rocco 1982, Museo delle Trame Mediterranee, Fondazione Orestiadi, Baglio Di Stefano, Gibellina (TP)
—