Intervista ad Andrea Kantos
di Dimora Oz
Raccontaci di Dimora OZ.
Dimora Oz è un laboratorio di arti visive, performative e multimediali. All’interno del suo spazio troviamo diverse aree progettuali: Oz Store, Spazio Performance, Spazio Expò, Black Room, Coworking, Officina e Green Lab. Quest’ultimo spazio accoglie un impianto idroponico, capace di sviluppare coltivazioni urbane col minimo di impronta idrica; la Black Room contiene una striscia di macerie antecedenti al recupero dello spazio e ricorda lo stato di degrado in cui versava. Oz Store ospita diversi progetti di design siciliano fra cui Edizioni Precarie e Rizma. Attualmente abbiamo dieci artisti/coworkers (oltre me, Alessandro Giglio, Andrea Mineo, Claudia Di Gangi, Gandolfo G. David, Luca Campanella, Marianna Messina, Nike Pirrone, Patrycja Stefanek, Valentina Parlato), a cui vanno sommati i collaboratori che ci accompagnano nel nostro percorso di crescita (Federico Bonelli, Dario Lo Cicero, Gaspare Richichi, Carlo Fiore/Venticaratteruzzi, Andrea Di Gangi, Sandro Scalia). Alcuni dei coworkers ricoprono una o più aree di competenza, come la grafica o la comunicazione o ruoli che vanno dalla gestione specifica degli spazi e la programmazione.
C’è stato un evento particolare che ha determinato la nascita di Dimora OZ?
Fra il 2011 e il 2014 in Sicilia si è sviluppato un grande fermento relativo a progetti di arte contemporanea. Le relazioni sviluppate all’interno di progetti come ZAC, Macerie (un concept di Andrea Mineo con cui ho iniziato a collaborare dalla seconda edizione) o altri progetti collettivi hanno creato e consolidato una rete fra artisti di età e discipline diverse, ma con la forte esigenza di portare avanti la propria ricerca. Questo humus culturale ha fatto sì che il progetto di Dimora Oz crescesse rapidamente, anche grazie al supporto di Roberto Bilotti, che ha sempre investito su progetti d’arte contemporanea e sul centro storico palermitano, raccogliendone le sfide e le criticità, permettendo nello specifico che la sede del laboratorio si sviluppasse all’interno di Palazzo Barlotta Principi di San Giuseppe (Via Sant’Agostino, 31).
Dimora OZ accoglie linguaggi eterogenei che privilegiano “dinamiche relazionali di collaborazione e partecipazione”, da cosa nasce questa esigenza?
Nasce dal semplice fatto che i problemi di qualsiasi natura, quindi nello specifico quelli che si presentano nella ricerca artistica, possono trovare supporto nell’approccio interdisciplinare. Gli obiettivi sono fondamentali, ma l’attenzione ai contenuti deve camminare in parallelo con le modalità, come ad esempio i comportamenti. Senza un comportamento adeguato non vi è consapevolezza relazionale, vengono meno i presupposti di collaborazione, i mezzi diventano cedevoli; sotto questo punto di vista si può parlare di una passaggio fra pratica interdisciplinare a quella transdisciplinare. Gli artisti che sono presenti nel coworking di Dimora Oz, stanno portando avanti dinamiche progettuali e di relazione che non sono vincolate dall’identità del collettivo, sperimentando una nuova formula ibrida di esistenza artistica. La stragrande maggioranza delle produzioni (eventi, pièces, performances, laboratori o opere) avviate da Dimora Oz sono state coadiuvate trasversalmente, e a vari livelli, dagli artisti presenti nel laboratorio. Ovviamente ci sono stati momenti di crisi e conflitti, dove ogni livello logico, (identità, valori, credenze, capacità, comportamenti) è stato messo in discussione, risolvendosi però sempre in modo positivo, creando una programmazione molto stringata che ha portato, in poco meno di sette mesi, diciassette produzioni artistiche fra cui due residenze e un workshop per un totale di otto eventi, senza contare il contributo concreto che il laboratorio ha offerto a progetti direttamente o indirettamente collegati a Dimora Oz, come Les Enfantes Terribles, progetto coreografico di Valentina Parlato, Orior per Smart Cities al Museo Riso o le performances di Claudia Di Gangi e di Dario Lo Cicero o gli ensembles di quest’ultimo.
Lo scorso 5 gennaio è stato presentato il progetto ORIGINI/Strutture, di cosa si tratta?
ORIGINI/Strutture è un progetto promosso in collaborazione con PaMaP Lab. Prima parlavo di ZAC e Macerie; per il primo PaMaP Lab ha creato l’allestimento dell’agorà centrale in cui avvenivano gli incontri. Macerie, similmente a ZAC, dialogava con la stessa comunità partendo da stilemi precisi come il recupero degli spazi attraverso delle mostre. All’interno di ORIGINI/Strutture troviamo appunto molte collaborazioni e temi che sono trasversali a tutta l’esistenza di Dimora OZ e della comunità artistica e intellettuale della città, quali sostenibilità artistica e individuale (Explicit. di Marianna Messina), o progetti community specific (Meetings di Patrycja Stefanek) o la ricerca di simboli di transizione (Aion/Sol Invictus di Gandolfo Gabriele David e Caronte di Claudia Di Gangi). All’interno del progetto troviamo anche i lavori di Valentina Parlato, Mr. Richichi, ma per ovvi motivi sono molto legato a quello che ho realizzato con Andrea Mineo: ReMoto a Luogo (Osservazioni). In questa performance/installazione video troviamo la prima stilizzazione estetica e metaforica di un approccio che ha contraddistinto due anni di riflessioni e che, contratto in diverse formule, si è riversato sia nella ricerca artistica ma anche in quella transpersonale (ovvero l’idea che attraverso un’attenta osservazione del prossimo si possano ricavare tutte le soluzioni necessarie sul piano individuale e collettivo, elaborando con gli altri strategie risolutive). Il rapporto Symbola 2014, uno dei pochi studi in Italia (ma ce ne sono altri, come quello di Federculture) che annualmente quantifica il peso della cultura nell’economia nazionale, colloca tragicamente Palermo al 94° posto; questo è il risultato della mancanza di proposte progettuali serie, continuative, innovative e contemporanee e che in qualche modo riflette in modo straordinariamente fedele la situazione attuale a cui molti artisti stanno cercando di offrire soluzioni. Dimora OZ, ORIGINI/Strutture e i progetti che stiamo realizzando vengono ideati proprio nell’ottica della buona progettualità che ha obiettivi molto specifici, dinamiche scalabili e continuative, offrendo allo stesso tempo riflessioni legate a processi di placemaking (ovviamente il centro storico è un punto di riferimento fondamentale), resilienza, sostenibilità (di vario genere, anche alimentare), diritti, impegno civile e problem solving culturale.
Qual è il ruolo di realtà come Dimora OZ all’interno del “sistema dell’arte”?
Un “sistema” è tale se la qualità delle parti che lo compongono vivono in una buona comunicazione reciproca; inoltre la realtà del sistema dell’arte configura forse non uno ma più sistemi. E il termine “sistema” rimanda appunto a quel che in terapia si definisce rapporto Sistemico-Relazionale come un insieme di eventi nodali che legano i soggetti. La relazione non è tanto determinata dai contenuti ma dalla qualità con cui vengono comunicati; per comunicazione è da intendersi ovviamente sia l’insieme di strategie e risorse (necessarie), quanto l’azione relazionale, l’estrinsecazione di bisogni e obiettivi in un flusso costante di scambio. Fatte queste premesse, il coworking di Dimora Oz è uno dei primi in Italia interamente dedicato alla ricerca artistica, gli artisti che sono al suo interno promuovono un laboratorio chiamato ORIGINI, a cui loro stessi partecipano, non soltanto con la produzione e la ricerca, ma con l’esperienza (a volte virtuosa altre tortuosa) e il confronto. Per l’inaugurazione di Dimora OZ (avvenuta nell’estate del 2014) o per ORIGINI/Strutture abbiamo usato un approccio che in qualche modo testa e consolida quello che poi sarà il risultato del laboratorio, dove l’insieme dei progetti residenziali, oltre ad incrementare il network del gruppo o dei singoli, porterà alla collettiva finale. In definitiva non parlerei tanto di ruolo, quanto di obiettivi, i quali sono tali, tanto più sono concreti e specifici. In politica i ruoli determinano gli obiettivi, ma dal mio punto di vista sono le modalità e gli obiettivi (raggiunti o da raggiungere) che configurano ruoli.
Come definiresti il panorama artistico siciliano?
Se per panorama intendiamo il tessuto su cui stanno crescendo rapidamente progetti e risorse non posso che esprimermi favorevolmente, diversamente trovo che il contesto non sia ancora maturo e solido. Il fatto è che la visione artistica che forse prima rappresentava storicamente un processo avanguardistico, oggi deve crescere in un quadro più generale della situazione, che è il contesto in cui lavora il creativo, l’intellettuale, il critico, l’operatore culturale o il cultural designer. Spesso i problemi sono determinati da mancanza di comunicazione (interna/esterna) o dalla qualità della stessa, quindi usando l’immagine cara alla programmazione neurolinguistica, vediamo che il “sintomo” è un collasso contestuale fra parti e istanze interne le quali non sono riuscite a comunicare e a raggiungere i loro obiettivi specifici. “Panorama”- “sistema”- “ruoli”- “parti” sono nominalizzazioni di quella complessità che si rende a volte più leggibile attraverso la comunità, il contesto, i conflitti e le risorse al suo interno. Dimora Oz stessa, al suo stato attuale, è un progetto che nasce sicuramente in un connubio di crisi e fortune, estrinseca queste due polarità, tenta delle soluzioni o si sofferma su alcuni problemi. Ci sono molti spazi che in modo analogo avviano e promuovono ricerca culturale (Re Federico, Caravanserai, Neu Noi, Push, Fab Lab, Moltivolti, Booq, Bocs) o progetti di innovazione sociale (Fab City Palermo, Social Street, Muovity/Mobilita Palermo, TrafficO2, Guerrilla Gardening, Codifas), ci sono gallerie o spazi non istituzionali con una lunga esperienza (Galleria Francesco Pantaleone Arte Contemporanea, Von Holden Studio, Galleria Nuvole, Galleria Rizzuto, Galleria X3) oppure nuovi spazi (L’A Project, Le Mosche, N38E13, TMO, Associazione Flavio Beninati); in Sicilia troviamo tantissime altre realtà, nuove o consolidate (Farm Cultural Park, Fondazione Orestiadi di Gibellina, Ritmo, ZO, Parking 095, Impact Hub, Carta Bianca, Fondazione Brodbeck, Periferica, Trasformatorio, Detto Fatto/Rudere Project). Come dicevo alcuni di questi progetti hanno un’esperienza più che decennale, ma sicuramente ognuno pur con la propria specificità esiste e si misura con diverse difficoltà; c’è da chiedersi non tanto perché non si riesce a trovare o equilibrare un certo mercato in cui investire i talenti e le risorse, quanto il fatto che forse il modello di mercato a cui ci si riferisce non è adatto a Palermo (penso alle dinamiche statunitensi della seconda metà del secolo, dove il privato ha contribuito alla produzione/promozione artistica, incrementando un modello di mercato florido, salvo poi avviarne anche le derive). Forse Palermo potrebbe essere la piattaforma creativa da cui far partire produzioni culturali da posizionare in mercati/territori più agevoli, ma questa è la prima parte di una soluzione che origina da logiche opposte, rifondando la mobilità sociale locale, utilizzando in primis il grandissimo flusso turistico che attualmente (e incredibilmente) è un target poco valorizzato; i margini di crescita in questo settore sono molto interessanti, a partire dalla percezione che si ha del turista, che dovrebbe essere accolto e coinvolto come un residente, cioè qualcuno che fidelizzato ad un contesto torna a fruirne in forma più o meno continuativa. Prima si accennava al sistema dell’arte, come se questo fosse possibile senza essere inglobato in un sistema più grande, che appare sicuramente come un sistema economico, mentre dal mio punto di vista è prettamente filosofico (tutti i sistemi cognitivi su cui poi vengono strutturati le dinamiche economiche, politiche, sociali e culturali, partono da mitologie filosofiche/ideologie, e uso la parola “mito” come punto di origine, perché penso che una buona pratica filosofica possa determinare profondamente l’individuo e la collettività in cui vive). Ora dal mio punto di vista (e in realtà non mancano delle evidenze abbastanza oggettive) questo macro sistema forse non è adeguato a tutte le latitudini. Non credo nemmeno che andare contro un sistema voglia dire munirsi di simboli provocatori, opinioni feroci, teorie o azioni distruttive, quanto la concretezza di pratiche, quindi la realizzazione (non facilissima) di sistemi paralleli, che possano offrirsi sul mercato della sostenibilità (dove per mercato intendo ovviamente l’uso del modello più opportuno alle proprie necessità). Esistono le transition town, modelli di resilienza e economia collaborativa, community che vanno dalla permacultura al downshifting, studi sul capitalismo cognitivo, progetti di placemaking, alcuni di questi temi sono meditati (singolarmente e collettivamente) all’interno di Dimora OZ. Uno dei panorami più augurabili vede l’integrazione dei sistemi, logicamente esistenti nella loro forma relazionale/sistemica; le varie disfunzionalità manifestate in questi anni originano dalla mancata consapevolezza che l’insieme, pur costituito di parti, deve procedere e percepirsi come un solo organismo.
Quali saranno i prossimi obiettivi e progetti di Dimora OZ?
Gli obiettivi principali di Dimora OZ hanno una formulazione abbastanza semplice e concreta. Porteremo avanti il laboratorio di ORIGINI, ospitando diversi artisti italiani e non, dando una preferenza ai secondi e cercando di dare delle opportunità ai primi. Sicuramente ci saranno altri eventi collaterali ad ORIGINI e nello specifico immagino Dimora Oz non soltanto come un laboratorio di arti visive, performative e multimediali, ma come una Art Factory, capace di rintracciare committenze locali e internazionali, avviare delle produzioni sostenibili, incrementare la qualità della ricerca. Ovviamente quest’ultima parte è la più complessa e ambiziosa ma è anche quella a cui devono essere destinate le risorse interne e quelle esterne; fra queste ultime inserisco anche quelle politiche (purtroppo se non risorse regionali, almeno quelle comunali), i cui soggetti devono essere visti come interlocutori e non come nemici da abbattere (non è nuova la tesi che la ristrutturazione politica debba partire dal basso, quindi dagli abitanti, dalle circoscrizioni, dal Comune di riferimento, e infine dallo Stato. Nel 2014 Andrea Cusumano è diventato Assessore alla Cultura, un artista che credo possa continuare il lavoro di sensibilizzazione avviato in questi anni sulle buone pratiche culturali). Ho citato diverse realtà importanti e ovviamente penso che ognuna abbia obiettivi specifici, ma che necessariamente devono essere coinvolti su una direzione più concertata. Credo che i prossimi cinque anni saranno un banco di prova per generazioni e idee; la riqualificazione urbanistica della città, la qualità della programmazione, la gestione sapiente dei fondi europei, il dialogo fra progetti e operatori culturali, possono offrire la sinergia adeguata per trovare molte soluzioni. Dimora Oz, in un modo o nell’altro, sta dando il suo contributo.
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(1) Caronte, performance di Claudia Di Gangi, Set Design di Andrea Kantos, Dimora OZPaMaP Lab, ORIGINIStrutture, Palermo – foto di Patrycja Stefanek
(2) In primo piano Pezzi di Parti, installazione di Alessandro Giglio e Axis Mundi, installazione di Gandolfo Gabriele David, Dimora OZ, ORIGINI, Palermo – foto di Andrea Kantos
(3) Officium, performance di Federico Bonelli, Dimora OZ, ORIGINI, Palermo – foto di Andrea Kantos
(4) ReMoto a Luogo (Osservazioni) di Andrea Kantos e Andrea Mineo Performance_Video 21min, Dimora OZ_PaMaP Lab ORIGINI_Strutture riprese di Andrea Di Gangi