Intervista ad Alberto Gianfreda
Chi è Alberto Gianfreda?
Indago con la scultura le Cose che incontro, mi sento un ricercatore!
Qual è stato il tuo iter formativo e lavorativo. Oltre ai tuoi studi, quali sono gli incontri che ricordi ancora come “significativi” per la tua professione?
Ho scelto di studiare all’Accademia di Brera, dove ora insegno, dopo aver incontrato al liceo un super Marcello Maloberti. È un ricordo lontano nel tempo ma vicino da averlo ancora dentro. Succede quando senti la grandezza della lezione, ma non sai se l’hai capita fino in fondo, eppure continua ad alimentarti.
Diceva sempre tra il serio e l’ironico: “Poetico”.
Poi ho inseguito alla Staatliche Akademie der Bildenden Kuste di Stoccarda Giuseppe Spagnulo, incontrandolo solo l’anno successivo in Italia, dal quale, assieme ad altri maestri come Nunzio Di Stefano, ho imparato la verità della materia nella scultura.
Incontri ai poli opposti responsabili del mio desiderio di leggerezza poetica dentro alla presenza della materia.
Dall’esperienza tedesca in maniera inattesa mi sono portato a casa il dialogo con i temi dell’architettura, corso universitario compresente alle “Belle Arti”, situazione che purtroppo non si trova più nelle accademie italiane. Da quel momento ho continuato a coltivare il dialogo con tanti amici architetti ai quali devo riflessioni e sperimentazioni avviate sull’arte per lo spazio pubblico.
Poi tornando a Brera mi sono specializzato in Arti e antropologia del sacro. Altro ambito estremamente interessante con cui verificare i linguaggi della scultura tra funzione e riflessione.
Adesso mi interessa indagare tutte queste dimensioni ritenendo che una sola non basti più a dire la complessità e l’articolazione delle esperienze che viviamo.
Cosa vuol dire, nel 2017, essere/fare lo scultore? Come s’inserisce all’interno del sistema dell’arte contemporanea la scultura e, in particolare, la scultura avente come soggetto il sacro?
La domanda è piena di sottintesi che andrebbero affrontati uno ad uno. Provo per punti e poi con un disegno per aiutarmi:
- La scultura e l’arte esistono a prescindere dal “sistema” che è invenzione affascinantissima ma recente, almeno per come lo intendiamo oggi.
- La scultura è un linguaggio elastico e permeabile, quindi declinabile in contesti di ricerca differenti tra cui, quelli del sacro ad uso liturgico, quelli del sistema dell’arte, quelli dello spazio pubblico e della committenza privata.
- Storicamente chiesa, spazio pubblico, committenza privata e “sistema dell’arte” erano la stessa cosa. Oggi sono quattro mondi differenti, con linguaggi specifici, che devono essere conosciuti, se si ha il desiderio di “affrontarli”.
- L’arte ad uso liturgico non si inserisce nel sistema dell’arte, come in nessuno degli altri tre ambiti, ciascuno fa da sé, usa linguaggi specifici che non hanno più nessuna continuità e influenza reciproca se non l’arte stessa ma che non può prescindere dalla continuità con il contesto.
Tutta l’Arte è antropologicamente sacra, a tratti si è affievolita questa percezione, ma nel tempo della tecnologia che ha estremizzato il rapporto mondo/immagine, l’arte e la scultura tornano a giocare una partita importante nel rapporto dell’uomo con il Mondo.
Lo scorso 22 aprile è stata inaugurata presso la Fondazione Casa della Divina Bellezza, la mostra “Nell’attimo l’incontro” a cura di Giuseppe Ingaglio. Ti va di raccontarci questo progetto espositivo e questa tua collaborazione con la fondazione di Forza D’Agrò (Me)?
Il progetto è nato per l’interesse condiviso con il presidente Alfredo La Malfa verso i temi dello spazio sacro. Così abbiamo iniziato a lavorare a “Nell’attimo l’incontro”. Un titolo su cui ci siamo confrontati a lungo che racchiude il senso del progetto. Questo tocca la dimensione temporale, l’attimo, elemento determinate anche nelle mie sculture che hanno come prerogativa la mobilità, e la dimensione della relazione, l’incontro, altra questione che indago attraverso l’accostamento di materie differenti. Il progetto espositivo, che si sviluppa nel contesto intimo della casa/fondazione, raccoglie quattro sculture di dimensioni e materiali differenti, tutte caratterizzate dall’essere possibili in quel momento ma probabili ovunque, sempre diverse nella manifestazione della forma. Assieme innescano una riflessione su temi fondanti per la scultura, il tempo e lo spazio, che sono le stesse categorie con le quali l’uomo può esprimere il suo senso del sacro.
Assieme alle sculture sono presenti due opere del Museo Diocesano di Caltagirone “Il martirio di Santa Febbronia” del Vaccaro e il Crocifisso di autore ignoto, che la religiosità popolare fa risalire alla mano del demonio. Il dialogo con il patrimonio artistico è occasione di approfondimento sulla continuità e la discontinuità dell’immagine e della sua origine. Ma questo meriterebbe un’altra risposta!
Che consigli ti senti di dare a quanti studiano scultura oggi con l’ambizione di poter esercitare la professione per cui si stanno formando?
Il numero degli studenti di scultura è in crescita costante. Sono sempre di più gli studenti che approfondiscono questo ambito di ricerca, ciascuno con attese e immaginari profondamente differenti legati a questa “disciplina”. Consiglierei solo di essere più aperti possibile, ritenendo valida qualsiasi strada e qualsiasi contesto all’interno del quale sviluppare un proprio discorso. Auguro ai nuovi ricercatori di saper sempre sottoporre la scultura al rischio del cambiamento, soprattutto quando questa sembra dare le risposte cercate.