Intervista a Pietro Gaglianò
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Chi è Pietro Gaglianò? Che musica ascolti, qual è l’ultimo libro che hai letto? Insomma, raccontaci brevemente di te.
Le tre cose importanti sono quello che mangio, le persone con cui passo il tempo e i libri che leggo. In questo momento ho sul comodino “Monuments and Memory” di Robert S. Nelson e Margaret Olin, “Crimini in tempo di pace” di Filippi e Trasatti (un saggio sull’antispecismo), e un romanzo di Elizabeth Strout. La maggior parte del tempo la trascorro a leggere e a scrivere, o a parlare con persone con cui è possibile farlo, e a volte anche con quelle con cui sembra inutile (ma non lo è mai).
Da quanto tempo fai il curatore? Vuoi parlarci del tuo iter formativo e lavorativo?
Curatore a chi? Mi sono laureato in architettura a Firenze un bel po’ di anni fa, mentre studiavo danza per lo più. È stato grazie a questa combinazione (tecniche discese dalla sperimentazione di Merce Cunningham e l’attenzione allo spazio architettonico e alla dimensione pubblica) che sono arrivato a occuparmi di linguaggi contemporanei. Non ho mai adottato un ruolo formale, e preferisco mantenere un orizzonte ampio, da studioso o da autore di progetti che si intrecciano attraverso le discipline (la visualità, il teatro, la danza, e moltissimo anche la formazione). Il più possibile in deroga rispetto alle tendenze, alle copertine dei magazine, ai guinzagli del sistema mercantile.
Qual è il ruolo del curatore oggi e quale si accinge a ricoprire, secondo te, in futuro all’interno del “sistema dell’arte”?
È un termine equivoco ‘curatore’, brutto quasi quanto ‘critico’. Per me andrebbe sostituito con qualcosa che implichi lo sguardo verso le cose là da venire e non solo verso la raccolta di quanto già avvenuto. E oggi, nonostante la quantità di percorsi formativi che vengono proposti sulle ‘curatorial practices’, il ruolo al quale si riferisce il termine ‘curatore’ ha sempre più un valore esornativo, o di mediatore, o peggio, di indaffarato parolaio.
Penso che la tensione professionalizzante penalizzi la qualità etica di questo ruolo, quella che si nutre di un’attività di approfondimento, di articolazione del pensiero, di osservazione e sintesi, il tutto sempre applicato allo spazio di verifica, al dialogo con gli autori, al confronto con i processi e anche con gli esiti formali.
Non riesco mai a fare previsioni, ma spero che il futuro veda un po’ di agonismo in meno e una seria occupazione a beneficio degli artisti e della loro ricerca.
Quali caratteristiche sono indispensabili per fare questo lavoro? Vuoi dare un consiglio a chi voglia intraprendere questa professione?
Studiare. Per fare qualsiasi lavoro che attraversi le arti bisogna studiare, tantissimo, il più possibile e senza mai smettere. E bisogna provare sempre a mantenere un sguardo mobile, dal punto di vista dell’artista a da quello del pubblico. Per il resto la considero una forma di resistenza più che una professione…
Credi che il ruolo del curatore sia trasversalmente riconosciuto? Perché?
La domanda secondo me riguarda “chi” dovrebbe riconoscerlo. Il sistema autistico del mercato? L’anagrafe? La società? Forse spetta agli artisti fare delle scelte in questo senso… Ogni volta che un artista mi chiede di fare un pezzo di strada insieme sento di aver già fatto bene una parte del mio lavoro.
Parlami di un progetto e/o di un incontro, per te, significativo?
Il mio archivio mobile thewallarchives.net è una specie di biografia fatta per capitoli, ognuno scritto da un autore che ho incontrato. È quasi tutto lì, in continuo aggiornamento…
In occasione del progetto “Nuvole – viaggio nell’arte indipendente” che si è svolto a Scicli dal 9 all’11 Maggio 2014 hai avuto modo di conoscere meglio il panorama artistico siciliano. Che idea ti sei fatto?
“Nuvole”, con tutta l’energia di Sasha Vinci e delle altre persone che lo hanno reso possibile, è un caso esemplare di come le cose avvengono, muovendosi al ritmo dello spazio sociale, rispettando la dimensione simbolica dell’arte, sviluppandosi come processo virtuoso. Moltissimi artisti con cui mi confronto o con cui ho lavorato sono siciliani o vivono in Sicilia (tra gli altri due grandi come Francesco Lauretta e Adalberto Abbate, che ho presentato per “Nuvole”, la mia amata Loredana Longo, Paolo Parisi, Fabrizio Ajello, studio plus plus, alcuni di loro sono tra i miei amici più cari); a Scicli ho scoperto un mondo ancora più ampio e articolato, di ricerche autonome, di capacità di visione originale. Ho potuto conoscere anche le realtà indipendenti promosse da artisti e teorici, tutto un universo pieno di stimoli, con i quali conto di tornare prestissimo a confrontarmi e a coltivare un dialogo.
Puoi anticipare ai lettori di Balloon i tuoi progetti futuri?
A Scandicci, al Teatro Studio si sta concludendo un percorso di esplorazione sulla realtà della performance in Italia, “PIECE”, che ha coinvolto tra gli altri Francesca Grilli e Luigi Presicce. Poi, a giugno ci sarà Madeinfilandia (madeinfilandia.org), uno spazio fatto da artisti per artisti, dove mi sento completamente a mio agio come ambasciatore, e alla fine del mese sarò a Fosdinovo per la residenza “Invasioni”. Voglio ancora citare il lavoro con Archiviazioni l’associazione con cui mi occupo di arte e sfera pubblica “a sud” (archiviazioni.org), e l’amatissimo Guilmi Art Project (guilmiartproject.wordpress.com), dove prende vita un progetto di formazione sperimentale: “Nuova Didattica Popolare”.
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(1) Ritratto, photo MALE / Guaizine.
(2) Luca Pancrazzi, Mi disperdo e proseguo lasciandomi indietro un passo dopo l’altro, a cura di Pietro Gaglianò, Assab One, Milano.
(3) Mauro Stagi, Share, performance per “PIECE”, a cura di Pietro Gaglianò, Teatro Studio di Scandicci, 2014, photo Anna Cerrato..
(4) The Wall (archives)”, “un muro” performance di Muta Imago, photo Niccolò Burgassi, 2012.
(5) Nuova Didattica Popolare, Guilmi Art Project 2013.
Contributo caricato il 19/05/2014