Intervista a Francesco Balsamo
Partiamo dalla fine, ovvero, dal tuo ultimo progetto espositivo “Dal mancato finale” (mi scuso subito per i giri di parole) che inaugurerà il prossimo 21 dicembre presso lo spazio culturale indipendente Ritmo di Catania.
Chandra L. Candiani, autrice delle note critiche sulla tua personale, sostiene che ci siano due Francesco: uno poeta e uno pittore. Ci parleresti di queste tue due anime che convivono nello stesso corpo?
Forse (cara incertezza) in questo caso partire dalla fine è partire dall’inizio, ma forse in ogni caso lo è, in un lavoro che ha la pretesa di essere “artistico”, fine e inizio coincidono, sarà retorico di sicuro, forse il lavoro artistico è circolare, non so. Un inizio ci sarà stato, in nostra assenza, ovviamente ci riguarda, ma da lontano, ci precede, e il finale ci sorpassa, forse né principio né finale sono alla nostra portata, possiamo, come adesso, concederci digressioni, chiacchierate, non c’è fine e non c’è neppure un, o il, fine.
Pure io mi scuso per i giri di parole. Quindi mi manca un fine e un finale, già, sono ancora vivo. Sono interessatissimo a quel finale, a come finirò io, ma “saranno gli altri ad accorgersene” (J. R. Wilcock). Lutto e ironia adesso, adesso che provo a dirti, fanno il loro giro fianco a fianco e mi fanno un cenno d’intesa. Chandra è un poeta che sa essere diretto, lei intuisce subito l’essenziale e ho l’impressione che per sua saggezza non si separi mai da compare dubbio, i suoi interrogativi somigliano ai miei, per queste e altre ragioni le ho chiesto di scrivere la nota. Forse come ogni poeta si specchia sulla pagina e scopre di non somigliarsi affatto, ma di somigliare invece al mondo, e si ritrova. Adesso che l’ho detto non sono sicuro che per lei sia così, devo chiederglielo, forse questo riguarda solo me. Aver chiesto a un poeta delle note critiche di sicuro significa che non volevo delle note critiche, volevo invece delle “riflessioni liriche”. Ho chiesto a un altro poeta la stessa cosa, e ho due poeti, Chandra Livia Candiani e Giampaolo De Pietro che hanno scritto, che si sono “affacciati sopra” i miei disegni. Un progetto espositivo sostenuto da due poeti è già una scelta molto significativa per me. E adesso provo a risponderti: due anime che convivono nello stesso corpo? vorrei crederci. Sì, Chandra dice bene, il dualismo c’è stato per anni, forse come dici tu anche di due anime, ma adesso credo che l’anima sia una; una, ma scissa, non completamente conciliata con se stessa, il più delle volte sperduta, ultimamente più incline a compromessi, sta invecchiando. Io pittore, io poeta, ovviamente non è solo un fatto di linguaggi, di mezzi, prima la vivevo come una specie di schizofrenia, quando il pittore lavorava il poeta doveva essere altrove, e morire un po’, perché sia il poeta che il pittore vogliono, devono, occuparmi tutto il tempo, garantirsi la quotidianità, devono poter lavorare in ogni momento della giornata e scacciare l’altro per occupare tutto lo spazio, mentale e fisico. Avrei avuto bisogno di due vite in un tempo soltanto, invece di due vite da alternare: per alcuni anni pittore e per altri anni poeta. Non ci sono riuscito. Il pittore non la voleva la “concretezza aerea” delle parole, voleva potersi misurare con l’ingombro e il peso dei materiali che usava, avere una carriera, conoscere curatori e galleristi e magari potersi affermare, voleva insomma, forse un po’ ingenuamente, che gli venisse riconosciuto il proprio lavoro, e desiderava tutte le forme della “concretezza tangibile”.
Il poeta è più pericoloso, è un sabotatore involontario, uno sciocco armato di candore e malizia, si sa isolare, fino a essere un eremita, un eremita con rimpianti però: la vanità del poeta è più insidiosa di quella del pittore. Parlo di me, quindi so di cosa parlo.
il poeta è anche più affamato di riconoscimenti, perché molto più insicuro del pittore, e dovrebbe farsi bastare la sua carta stampata che non gli frutta denaro, e continuare a starsene storto in un angolo ad aspettare. Deve solo aspettare, meno affaccendato del pittore, aspettare che s’alzi la marea delle parole a sollevarlo, ad aiutarlo a non sentire più tutto il proprio peso, il suo peso pesante, e augurarsi solo il peso tragico della leggerezza delle parole, le parole con le loro potenzialità micidiali, in agguato, con il rischio che gli diventino nemiche, estranee, insulse, cosa che mi accade puntualmente. Il pittore lo preferivo, ma il poeta ha avuto la meglio, è stato più forte, più tenace, è riuscito a stordire il pittore con le frasi che servivano, con tutte quelle (e queste) parole si sa imporre, o ha bisogno di credere di esserci riuscito. Quindi non due, ma uno soltanto. Faccio il poeta, e non dipingo più. Disegno. Sono un poeta che disegna e mette a frutto quello che ha imparato dal pittore, disegno mentre aspetto che si formi una poesia, nel frattempo, e tutto quello che non trova una forma scritta (probabilmente non potrebbe mai trovarla per quanto è cifrato e annodato) si “risolve” in uno o più disegni, ma non c’è dipendenza, non c’è neppure una relazione, scelgo sempre di separare poesie e disegni, di creare fra loro una distanza, e in quella distanza vivo io. Sono sicuro che il pittore che ero non avrebbe mai accettato, non si sarebbe mai concesso, il gusto passatista dei miei disegni, i vezzi illustrativi, tutta quella letterarietà, quelle divagazioni nostalgiche…
Scusami, mi sono dilungato a diluvio.
Ci daresti qualche anticipazione sulla mostra?
Decidi tu se parlare dei lavori o della tua prima collaborazione con lo staff di Ritmo.
La mostra è anche quello che è lasciato fuori dalla mostra ma continua a farne parte, non dichiarato apertamente, ma rimasto latente. Farebbero parte di questo “progetto espositivo” alcuni brani copiati da un saggio di Angelo Maria Ripellino intorno all’opera di Bruno Schulz, citazioni scritte nel mio taccuino, che considero molto esplicative, sono state delle premesse quindi possono essere giustissime anticipazioni della mostra:
“La memoria rimescola e affastella in disordine gli avvenimenti. L’incongruenza dei sogni scompiglia la logica successione del tempo, mettendo in forse persino l’irrevocabilità della fine.”
“amava le risurrezioni burattinesche, gli irrazionali ritorni, il commercio con l’oltretomba. Pazzi tinti in chermisino, schiuma di turlupinesca stoltizia, maestri di filastrocche, i suoi personaggi muoiono e rinascono con futilità di cagliostri”.
Inoltre una mostra è anche tutto quello che precede e prepara la mostra stessa: le occasioni di dialogo con chi condivide il progetto, lo scambio di pareri, il confronto di esperienze e la professionalità di ognuno condivisa. Ho imparato, entro certi limiti, ad accettare i compromessi, mi sembrano inevitabili e sostanziali, ad esempio quelli riguardo gli allestimenti, mi accontento, semplifico facendo delle rinunce. Lo staff di Ritmo mi ha sorpreso: proprio riguardo l’allestimento hanno trovato delle soluzioni molto ingegnose, devo ringraziarli ampiamente per il loro impegno. Di volta in volta, di mostra in mostra, la loro volontà è quella di adeguare lo spazio alle necessità dei progetti che ospitano, spesso succede il contrario e non sempre è un vantaggio. L’allestimento che vedrete è parte essenziale della mia mostra ed è solo merito loro.
Quanto le tue letture hanno influenzato i tuoi disegni e le tue pitture e viceversa?
Non so quanto perché non so come le mie letture influenzano quello che disegno; delle volte, come ho già detto, anticipano, coincidono con i temi, con la costellazione di temi, sempre gli stessi se ci penso, che credo di affrontare, e non so se li affronto davvero o se invece ci sto “di fronte” e aspetto. Mi domando spesso: ho dei temi? ho un progetto? Non so quasi niente di quello che farò, e ci capisco poco pure di quello che ho fatto. Aspetto non so cosa e leggo dei libri, molta letteratura, pochi saggi, moltissima poesia, leggo e come succede a tutti trovo coincidenze: frasi che potrebbero addirittura spiegarmi quello che faccio, o perché lo faccio. Alcune volte anticipano altre volte seguono e giustificano a me stesso il mio lavoro. Ma sì, nelle letture trovo più di quanto saprei trovare se sapessi guardarmi intorno. Ma c’è vera differenza fra quello che trovo nei libri e quello che ho intorno? Come alcuni sanno, io l’intorno non lo so addomesticare, meglio ritrovarlo imbrigliato, o trasfigurato, o decantato, o deformato, o sintetizzato, o figurato, dispiegato più che spiegato, nei libri.
C’è stato un evento o un incontro in particolare che ha segnato una svolta nella tua ricerca?
Figurati, sarebbe più facile risponderti se mi chiedessi il contrario! direi che ci sono stati solo eventi e incontri che hanno segnato in particolare, che hanno orientato la mia ricerca, bisognerebbe solo sceglierne uno che adesso potrebbe sembrarmi più significativo di altri.
Dunque. Difficile, sono stati tutti significativi e sono diventati una trama fitta fitta. Sono nodi, sono me, sono quello che sono diventato. Ma circoscrivo, o circo e scrivo. Bel circo e bel circolo: perdo o prendo tempo…? devo accorciare la distanza: penso a ieri. Sì, l’evento particolare di ieri, quando ho scritto che sono un poeta che disegna. Se sono poeta disegnatore posso stare dentro un contesto generale, quello della ricerca artistica, o del “sistema dell’arte” (se preferite definirlo così), accettando la mia estraneità a quel sistema, soffrirne meno se me ne sento escluso. Io sono altro, e sono altrove (quasi sempre). Ho capito la mia “misura”. La mia “misura” è come la statura, potrei vivere la mia statura come il mio limite? Questa consapevolezza improvvisa di “cosa sono” artisticamente è un avvenimento, altro che evento! E grazie per avermi offerto l’opportunità di capirlo.
Come definiresti il tuo lavoro?
Devo proprio definirlo? sarebbe un lavoro finito se riuscissi a definirlo. Mi sto scoprendo elusivo nel tentare di rispondere a queste domande? definizioni no, rispetto al mio lavoro vorrei sentimenti, e considero sentimenti tutto quello che mi muove, ogni slancio, ogni ripensamento. C’è la fissità, anche nel movimento, e viceversa: nel movimento c’è fissità.
E ambiguità, e nature gobbe e travestimenti e, ma raramente, denudamenti… Una persona che conosco ancora poco, Alessio Trabacchini, recentemente mi ha scritto in una mail una frase che ho apprezzato moltissimo, lasciatela passare come una definizione mia sul mio lavoro: “A me le tue cose sono piaciute subito (in un modo strano tra lo struggimento e l’ironia).”
Quanto il contesto in cui vivi o da cui provieni ha influenzato ed influenza la tua ricerca artistica nella scelta delle tematiche e dei supporti che utilizzi?
Vivo nel mio “contesto mentale”, che è un modo un po’ ricercato per dire che vivo isolato la maggior parte del tempo scegliendo di circondarmi solo di certe cose. Chandra ha scritto che il mio studio potrebbe essere a Varsavia ma anche a Cracovia, forse Budapest. E’ proprio così. Sono certo che indipendentemente dal contesto in cui vivo continuerei a fare quello che faccio, probabilmente anche se vivessi a Berlino, invece di Viagrande, sceglierei le stesse tematiche. Ovvio, avrei più stimoli, più sollecitazioni, ma solo perché troverei più “materiale”… aumenterebbero le vecchie fotografie che colleziono, ma continuerei a scegliere solo un certo tipo di immagini. Ripeto ancora, sono “altrove”. Inizialmente avevo pensato di scegliere per questa mostra un titolo che mi sembrava emblematico e quasi una dichiarazione di intenti, inizialmente il titolo era “Il misantropo”, e non solo per il riferimento all’opera teatrale di Molière, la concezione della mostra, vedrete, è molto teatrale, ma proprio per una certa mia propensione sempre meno segreta. Uso la carta, mi appassionano gli album da disegno, i quaderni, i taccuini, le vecchie carte ingiallite, e come ha scritto Guido Ceronetti, la carta è stanca; certa carta, la mia preferita, è ugualmente stanca ovunque la si possa ancora trovare.
Quanto è importante per te il confronto con ciò che ti circonda: società, mass media, altre ricerche artistiche, ecc. Quanto e come ti influenza?
Molto importante e per niente importante. Quello che conta è il momento della riflessione, della rielaborazione, della “gestazione” solitaria. Devo preoccuparmi di covare l’uovo e non pensare se proviene dal mio pollaio o da quello di altri.
Chi sono gli artisti che ami di più e perché?
Guardo e riguardo le incisioni di Dürer, Rembrandt, Goya, Morandi. La pittura di Balthus e quella di Giacometti, i pastelli e le incisioni di Redon, i disegni di Degas e Lautrec. Dormo sotto il manifesto di una pittura di Klee, sarebbe il mio santo protettore, conosci un pittore più poeta di lui? E nel mio studio ho al muro la riproduzione di un’opera di Osvaldo Licini, altro pittore-poeta insieme allo scultore-poeta Fausto Melotti, sono devoto anche a loro. Mi piacciono moltissimo i disegni di Lorenzo Viani e quelli di Lorenzo Tornabuoni. La pittura di Alberto Gianquinto. Ho imparato a usare in un certo modo le matite colorate guardando le opere di Gianfranco Ferroni. Ma anche il primo Vespignani. E i pittori della Scuola Romana? Mafai e Scipione, le poesie di Scipione sono strepitose. E amo Alberto Savinio e tutti i suoi tentacoli e tutte le tentazioni alle quali ha saputo cedere. Ti sembra roba “vecchiotta”? Sono cose al sicuro: ormai scampate alle mode, spero.
Ne escludo molti altri, adesso non c’è più tempo, devo concludere. Dico a me stesso, poi ti pentirai di non averli menzionati, ma amen, manca davvero pochissimo al finale, che almeno qui, ci sarà. Saluto i miei contemporanei, quelli che frequento personalmente, quelli come me esposti a tutte le correnti, quelli in pericolo, i combattivi disarmati, i coraggiosi che si difendono con lealtà, tutti quelli che amo anche se non mi dichiaro, anche se non mi schiero con loro e spesso li lascio soli perché non mi organizzo per andare a vedere le loro mostre. Ma li seguo, e da morto saprò vegliare sulle loro opere meglio di quanto riesco da vivo, perdonatemi tutti, se rimando.
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(1) Una malinconia, un giuramento e una piccola eclissi improvvisa. 2012, olio e matita su carta 46 X 66 cm
(2) In partenza (o in arrivo). 2012, olio e matita su carta 24 X 25 cm
(3) Lunatico con pendolo. 2012, olio e matita su carta 42 X 61 cm
(4) Portato via, su una sola ruota. 2012, pastello su carta 30 X 26 cm