Intervista a Elisa Strinna
di Giuseppe Mendolia Calella
Chi è Elisa Strinna? Parlaci brevemente di te…
Mi piace pensare me stessa come una persona curiosa che, come altri, ama “comunicare” in senso ampio con il mondo. L’arte è la dimensione che mi permette di attuare questa comunicazione.
Quanto il contesto in cui vivi o da cui provieni influenza la tua ricerca artistica nella scelta delle tematiche e dei supporti che utilizzi?
Sono cresciuta in mezzo alla natura, piuttosto isolata. Questa vicinanza prolungata con l’ambiente naturale lo ha reso un importante referente della mia esperienza di vita. Già nei primi approcci con l’arte ho iniziato esplorare vari linguaggi esistenti in natura, ed a studiare le differenti forme di rappresentazione di cui l’uomo si serve per dare vita a ciò che definisce “cultura”, tratto che ritiene distintivo della sua specie.
In questa analisi cerco di mettere in discussione la separazione tra “natura” e “cultura”, nel tentativo di comprendere se l’una necessariamente escluda l’altra. Anche la natura produce forme di rappresentazione dell’accaduto che si possono classificare come “scritture”. Trovo interessante scoprire se esista una continuità tra forme di rappresentazione dell’uomo e della natura, ed è per questo che nei miei lavori cerco di far parlare dei materiali stessi, più che utilizzare i materiali per produrre degli artefatti. Così come mi affascina cercare una continuità tra differenti realtà, mettendo in relazione ambiti apparentemente distanti e svelandone insolite convergenze.
Quanto è importante per te il confronto con ciò che ti circonda: società, mass media, altre ricerche artistiche, ecc.? Quanto questo ti influenza e come?
Pratico un confronto piuttosto costante con la realtà che mi circonda, leggendo, viaggiando, conoscendo persone ed artisti, vedendo mostre, film, ascoltando musica, provando a sintonizzarmi con la “temperatura” del mondo. Cerco di coltivare relazioni con artisti miei coetanei, nel tentativo di condividere le scoperte ed i saperi, ma non è facile.
Vivere nella civiltà dei mass media ci fa sentire “costantemente connessi” con l’intero pianeta. Ma l’esperienza virtuale non può sostituirsi, a mio parere, a quella che si realizza nel mondo fisico. Una sovra esposizione all’informazione mediatica credo possa interferire con la nostra libertà interiore. Penso quindi sia altrettanto fondamentale coltivare una certa solitudine, per potersi confrontare con ciò che abbiamo di più vicino, in particolare con noi stessi.
Chi sono gli artisti che ami di più e perché?
Negli ultimi anni tra gli artisti che maggiormente hanno contribuito alla mia formazione ci sono Jimmie Durham e Maria Thereza Alves. Le loro ricerche, che sento molto vicine, sono state per me un continuo stimolo di crescita e riflessione. Oggi tra gli artisti che mi interessano ci sono per esempio Ragnar Kjartansson,, Angela Ricci Lucchi e Yervant Gianikian, Anri Sala, Tino Sehgal, Marcel Broodthaers, Francis Alys, Fischli and Weiss, Willie Doherty, Apichatpong Weerasethakul, Dieter Roth, Costantin Brancusi, Janet Cardiff & George Bures Miller, Renè Magritte, György Ligeti. Nel loro modo di raccontare e in ciò che raccontano trovo delle suggestioni che mi fanno riflettere.
Come definiresti il tuo lavoro?
Credo i miei lavori oscillino tra il piano della sperimentazione e quello della dissertazione. Sono operazioni linguistiche che hanno a che fare con la rappresentazione in senso lato, che s’interrogano principalmente sulla percezione che l’uomo ha di se stesso e sulle relazioni che stabilisce con il mondo che lo circonda.
Come definiresti il sistema dell’arte contemporanea in Italia?
Trovo carente ed ambiguo il sistema dell’arte contemporanea in Italia. Non è un sistema che sostenga adeguatamente la “ricerca” degli artisti che sono lasciati in balia del libero mercato.
A mio avviso l’arte è un campo di ricerca in cui può maturare un sapere che ha dimensione collettiva. Quella estetica è una modalità attraverso cui conoscere il mondo e relazionarsi ad esso, valida quanto quella scientifica. Ma l’arte come altri ambiti oggi è vittima di un sistema che sta cercando di imporsi come esclusivo in ogni ambito di riferimento della realtà contemporanea: il sistema capitalista. Accade che l’arte spesso sia considerata per il suo potere d’incrementare il valore di uno scambio economico, piuttosto che per il suo valore conoscitivo. Non a caso le gallerie, in Italia, sono ritenute tra i maggiori referenti in campo di arte contemporanea.
Hai partecipato a numerose manifestazioni, festival e mostre importanti. Nel 2010 anche al progetto di residenza 6Artista presso il Pastificio Cerere di Roma. Nell’ambito della residenza sei anche stata alla Cité Internationale des Arts di Parigi; nello stesso anno hai partecipato alla Scuola Superiore di Arti Visive della Fondazione Ratti di Como. Ci racconti come sono andate queste esperienze così importanti?
Il lavoro di Hans Haacke così direttamente politico mi ha portato a riflettere a mia volta sulle dinamiche proprie dei sistemi di potere, interessata in particolare al modo in cui questo influenza le relazioni che instauriamo con il mondo che ci circonda. Il periodo di residenza al Pastificio Cerere e alla Citè des Arts sono stati un capitolo in cui ho cominciato a mettere in atto tali riflessioni. Nella città romana che per secoli ha visto arte e potere istituzionale accomunati, mi sono trovata a studiare le forme in cui il potere oggi s’insinua nella nostra quotidianità, nelle relazioni che abbiamo con la natura, gli oggetti, nel rapporto con l’“altro” e con l’arte stessa.
Variazioni su Canestra di Frutta. Torni a lavorare sul tema della natura morta… una tematica assai interessante nell’arte contemporanea. Di cosa si Tratta?
La natura morta è la prima forma di rappresentazione bidimensionale che è stata utilizzata come strumento di scambio. Nell’antica Roma in cambio di nutrimento ed ospitalità si offriva la rappresentazione del cibo stesso, un’iconografia profana che immortalava un “memento mori”.
Accostando diverse nature morte realizzate nel corso della storia, leggiamo non solo il trasformarsi degli stili, ma anche le diverse modalità con cui abbiamo approcciato il mondo. Non a caso nell’Epoca Medievale, profondamente tesa verso l’ultraterreno, il genere della natura morta è stato scarso, se non nullo.
Il gesto dello scambio nasce dal bisogno di possedere qualcosa. Nel momento in cui i nostri primari bisogni sono soddisfatti ci troviamo spesso a scambiare per il puro desiderio di possedere. Il consumismo fa leva sulla continua sollecitazione di questo desiderio. In Variazioni e negli altri lavori scaturiti sulla scia di tali riflessioni ho cercato attraverso il passato di raccontare il presente, indagando in particolare nella Ragazza Mela il desiderio di possedere, che oggi sembra essere tra i primi motori delle nostre vite.
Il suono è parte fondamentale di alcuni tuoi lavori. Penso a Sinfonie sismiche o a Wood Songs non è così?
I discorsi sono il prodotto di una serie di segni che uniti assieme assumono un significato, sono quindi una forma che restituisce senso. Non credo che il discorso sia una prerogativa esclusiva del linguaggio parlato. In questo caso il suono m’interessa come “discorso”.
Le forme possono essere in grado di comunicare contenuti a diversi livelli. La storia produce un insieme di forme e di segni a cui è possibile applicare varie chiavi di lettura. Nei miei lavori di traduzione cerco di applicare una chiave di lettura sonora a forme che sono il risultato di precisi percorsi storici naturali ed umani. Cerco una continuità tra i “discorsi dell’esistente”, ed il suono si fa strumento per cercare questa continuità, interagendo con un particolare ambito della nostra percezione. Potrei dire che attraverso il suono tento di tradurre l’energia, la natura intima dei processi presi in esame, in un linguaggio acustico.
Che progetti hai per i prossimi mesi? A cosa stai lavorando?
Oltre a voler fare un viaggio fuori dall’Europa che duri qualche mese e concorrere per delle residenze all’estero, per il momento sto lavorando ad un progetto di traduzione sonora in collaborazione con Elena Mazzi e Trial Version. Il progetto dovrebbe essere esposto a gennaio nella galleria Massimodeluca di Mestre. In questo caso l’intento è di porre a confronto una “Scultura Sonora” ed una performance vocale, due testimonianze risultanti da differenti processi storici: uno che si riferisce ad eventi naturali ed un altro ad eventi umani.
(1)
(2)
(3)
(4)
(5)
(1) Wood Songs, courtesy Elisa Strinna and Eva Cenghiaro, installazione sonora, dimensioni variabili, differenti qualità di legno e giradischi, 2008. Foto Nuvola Ravera.
(2) Sinfonie Sismiche, Sinfonia Italiana 1908-1980, 2009, courtesy Elisa Strinna in collaborazione con Christian Casse, Francois Casse e l’INGV, installazione sonora, 220x65x75 cm, legno, plastica, metallo, carta. Foto Danilo Correale, Palazzo Ducale, Genova.
(3) Sulla Natura Morta (Serie Senza Titolo, acquerelli e collage su carta cotone 22×18 cm, Variazione su canestra di Frutta n.4, stampa su carta cotone montata su alluminio 60×43 cm, La ragazza mela, Video SD, 8.20 min, Galleria Sara Zanin, Roma, 2011-2013).
(4)/(5) Variazioni su Canestra di Frutta, stampe su carta cotone montata su alluminio 60×43, Museo Macro, Roma, 2011, foto Cinzia De Nigro.
Intervista caricata il 07/11/2013