Intervista a Dario Giovanni Alì
di Giuseppe Mendolia Callella
Chi è Dario Giovanni Alì? Che musica ascolti, qual è l’ultimo libro che hai letto? Insomma, raccontaci brevemente di te.
Sono un critico e curatore d’arte contemporanea con una formazione letteraria. A novembre scorso mi sono laureato a Torino in filologia italiana, con una tesi su un volgarizzamento di S. Gregorio Magno. Da gennaio vivo a Milano, dove lavoro come curatore indipendente e redattore di CERCHIO magazine.
Scorrendo le mie playlist, non ho ancora capito quale sia il criterio attraverso cui seleziono la musica che ascolto. I nomi sono tanti, ma per farti un’idea clicca qui. In quest’ultimo periodo sto ascoltando soprattutto minimal techno e PC music. L’ultimo libro che ho letto è La macchia umana di Philip Roth, mentre quello che ho cominciato a leggere è la biografia di Marcel Duchamp scritta da Bernard Marcadé e intitolata La vita a credito.
Sei stato tra i partecipanti della seconda edizione di CAMPO la scuola per curatori della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo… Ci racconti questa esperienza?
Quando ho cominciato a frequentare il corso, ne sapevo davvero poco di sistemi e processi curatoriali. CAMPO è un’esperienza formativa che purtroppo, allo stato attuale, in Italia non ha corrispondenze in ambito accademico. Ha riempito un vuoto, offrendo la possibilità agli aspiranti curatori di entrare a contatto diretto con le realtà artistiche delle principali città italiane. Durante il corso, ho avuto l’opportunità di incontrare alcuni tra i massimi rappresentanti della scena artistica nazionale e internazionale, e di maturare una precisa metodologia curatoriale. È stata un’esperienza che ricordo con il sorriso. Non capita tutti i giorni di ritrovarsi a casa di Carolyn Christov Bakargiev a parlare delle grandi questioni della curatela contemporanea in un clima dimesso e così spontaneo che mai ti aspetteresti.
Quali caratteristiche sono indispensabili per fare questo lavoro? Vuoi dare un consiglio a chi voglia intraprendere questo percorso?
Per fare questo lavoro, tutto è utile ma nulla è indispensabile, l’improvvisazione è caratteristica diffusa in tutti i mestieri e a tutti i livelli. Ma per farlo bene sono convinto che le prerogative indispensabili siano lo studio approfondito della storia e del presente dell’arte, l’esercizio costante delle proprie facoltà critiche e di analisi e la capacità di intessere un rapporto di fiducia e duraturo con gli artisti. Il consiglio, che do soprattutto a me stesso, è di non banalizzare o enfatizzare mai il lavoro degli artisti, a seconda delle esigenze o strategie del caso, ma di offrire allo spettatore delle chiavi di lettura che gli consentano di comprendere e apprezzare, da diverse prospettive, tutte le opere presenti in mostra. L’altro consiglio che mi do è di tenere sempre a mente che il fine della mostra è l’arte, non il momento dei saluti.
Qual è il ruolo del curatore oggi e quale si accinge a ricoprire, secondo te, in futuro all’interno del “sistema dell’arte”?
Oggi il curatore vive in una zona di confine. Oltre che come organizzatore di mostre, può intendersi anche come figura critica, ricercatore e mediatore. Ciò non significa che tutti svolgano o siano in grado di svolgere le suddette mansioni, anche se ciò sarebbe auspicabile. In futuro non so, mi auguro solo che il ruolo non si riduca mai a quello di un semplice tecnico delle mostre che deve far quadrare i conti dell’azienda. Dal mio punto di vista, il curatore è – e deve restare – una figura critica e militante in grado di produrre, accanto all’artista, pensiero e nuova cultura.
Credi che il ruolo del curatore sia trasversalmente riconosciuto? Perché?
In Italia non lo è ancora del tutto, almeno non nell’ambiente accademico, com’è testimoniato dalla quantità purtroppo insufficiente di corsi specialistici in curatela. In Paesi come la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti funziona diversamente. Più sono le aziende che si dedicano alla promozione e valorizzazione dell’arte, maggiore è la richiesta di figure professionali specializzate che si occupino di far funzionare il motore. In primis è lo sviluppo del mercato a richiedere la presenza istituzionalizzata di una simile professione. Mentre le università straniere incoraggiano questo trend, le facoltà umanistiche italiane restano invece rinchiuse in solide torri d’avorio in cui il mondo rimane sempre uguale a se stesso.
Parlaci di un progetto e/o di un incontro, per te, significativo…
Un progetto significativo, ma ancora incompiuto, sarebbe quello di realizzare una «mostra letteraria» orientata su un autore. Mi piacerebbe rivitalizzare, con un rinnovamento dei dispositivi e dei processi curatoriali, questo genere espositivo quasi sempre circoscritto al mero biografismo e all’esibizione smaccata di oggetti e manoscritti-feticcio. Vorrei portare un autore letterario all’interno di un museo, coinvolgendo artisti, critici, curatori, scrittori e filologi in un progetto interdisciplinare ambizioso che non si limiti a un recupero storico dell’archivio dell’autore, ma che funga da vero e proprio laboratorio di ricerca e sviluppo. Unire in mostra le arti alle lettere è il progetto significativo che vorrei realizzare.
Per quanto riguarda invece gli incontri, i più significativi sono stati di certo quelli con i libri che hanno formato il mio modo di pensare e agire.
Siciliano d’origine, hai vissuto a Torino e adesso vivi a Milano… Che idea ti sei fatto del panorama artistico della Sicilia?
Non ho un’idea definita. Mi sono trasferito a Torino a diciotto anni, quando ancora il mio interesse per l’arte era confinato ai libri di testo studiati al liceo. Da quel momento non ho più avuto alcun legame reale con la Sicilia, se non per trascorrere le mie vacanze estive. Conosco alcuni artisti siciliani che apprezzo molto e non dubito che il panorama sia ricco e variegato. Il problema, in Sicilia, non credo sia il «panorama artistico», ma la struttura su cui poggia questo belvedere, un sistema dell’arte che, per quel che mi è parso di capire, è ancora molto debole e male organizzato. Mi riferisco all’assenza di una politica intelligente e capace di finanziare e promuovere la propria realtà artistica oltre i confini regionali. Non mancano le iniziative, manca chi le sostiene.
Puoi anticipare ai lettori di Balloon i tuoi progetti futuri?
Da un paio di mesi sto lavorando, insieme a un’eccellente redazione di critici e curatori, alla realizzazione di un magazine online di critica d’arte contemporanea, che spero di lanciare entro la prima metà di dicembre.
Come curatore, sto invece lavorando alla formulazione di una mostra a partire da un testo, che desideravo scrivere da tempo e che tratterà di forme urbane di autorappresentazione, miti di fondazione ed estetica della distruzione. Detta così, sembra l’ennesima supercazzola curatoriale, me ne rendo conto. Per chiarire, ho intenzione di parlare di come nasca, in letteratura, l’immagine di una civiltà urbana e di come l’attuale mito di fondazione di un gruppo terroristico come l’Isis sia imperniato sull’annientamento delle culture «infedeli» e sulla loro rimozione forzata dalla Storia. Un meccanismo, quest’ultimo, di appropriazione culturale tramite sostituzione, non troppo dissimile – almeno nei risultati – da quello che la Chiesa medievale riservò al paganesimo. A essere cambiati radicalmente sono gli strumenti. Grazie alle nuove tecnologie, l’Isis ha costruito una sua estetica ben precisa, un’immagine di sé che mi interessa analizzare a fondo.
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(Copertina) MUSEO (CAVALLI E CAVALLE, CAVALLI CAVALLI) – by Renato Leotta with Dario Giovanni Alì, Sara De Chiara, Sebastiano Impellizzeri, Giacomo Leonzi, Francesco Messina, Piergiorgio Robino, Lorenzo Scotto Di Luzio – Cripta747, Torino 2014
(1) Have we become the internet, with Thomas Berra, Enrico Boccioletti, Lia Cecchin, m, Mattia Pajè, Parasite2.0, curated by Dario Giovanni Alì & Simona Squadrito, Nova Milanese 2015
(2) Hosting Interno4 #2 (Giulia Cenci, Giovanni Copelli, Nicola Melinelli, Vincenzo Simone), curated by host, Bologna 2014
(3) Hosting Roberto Fassone #3, curated by host, Torino 2014