Intervista ad Antone Israel
Chi è Antone Israel?
La persona che stai intervistando.
Quanto il contesto in cui vivi o da cui provieni influenza la tua ricerca artistica nella scelta delle tematiche e dei supporti che utilizzi?
Vengo da una famiglia che conta molti artisti, nel corso di diverse generazioni. Direi quindi che il mio rapporto con l’attività artistica e la sua pratica è sempre stato abbastanza spontaneo. Non mi sono mai sentito obbligato a provare a me stesso di essere un artista, e ho potuto fare le mie scelte con il sostegno che assicura una famiglia unita. Ancora adolescente, ho fatto la mia prima esperienza artistico-professionale come addetto alla proiezione nel collettivo “Les films à rayures”, che girava solo in Super 8 e con cui avrei lavorato a lungo. Sono poi passato alle arti plastiche per togliermi di dosso il peso della drammaturgia cinematografica e per riscoprire il dispositivo cinematografico in quanto tale.
Quanto è importante per te il confronto con ciò che ti circonda: società, mass media, altre ricerche artistiche, ecc.? Quanto questo ti influenza e come?
Ovviamente, il contesto ha il suo peso, dato che come tutti anch’io sono esposto alla
medesima situazione di fatto e subisco le stesse realtà socio-economiche della maggior parte delle persone del mio ambiente. In breve, sì, sono influenzato, anche se avrei voglia di risponderti il contrario. Che si tratti di questioni sociali oggetto dei mass-media o checchessia d’altro, è certo però che queste influenze non entrano nelle mie ricerche tali e quali, né sono prese mai di petto. Io tendo piuttosto a trattarle come assiomi, come sottofondi retorici più che teorici, che intervengono a sostegno del lavoro retroattivamente.
Chi sono gli artisti che ami di più e perché?
Mi ispiro poco all’arte contemporanea… Amo Marijke Van Warmerdam per la poetica apparentemente elementare dei suoi films e l’equilibrio fra immagine e dispositivo installativo che è capace di mettere in evidenza nei suoi lavori. Non è che un esempio fra tanti, ma direi che gli artisti che ammiro e m’ispirano di più sono soprattutto cineasti e poeti.
Come definiresti il tuo lavoro?
Sinteticamente, il mio lavoro consiste in una sorta di presentazione di movimenti e contro movimenti nel contesto di un dispositivo. In altre parole, m’interessa il sistema di rapporti coreografati fra gli elementi del lavoro. Il mio intento è trasferire il pensiero cinematografico, o piuttosto lo specifico dispositivo cinematografico, nello spazio espositivo, in modo da rivalutare lo status dell’oggetto esposto. Un proiettore da 16mm non è che lo strumento tecnico che permette la visione, ma se rivalutato scultoreamente si trasforma in oggetto pressoché magico, il mediatore di un tempo che si automatizza. Il tempo del loop, che è una tipica invenzione museale, mi interessa moltissimo perché – in un certo senso – è capace di raccontare una storia al di là della storia presentata. È il tempo della fatalità per eccellenza, narrativamente molto più ricco di quanto si immagini.
Quale messaggio vuoi trasmettere e su cosa vuoi farci riflettere con la tua ricerca artistica?
Non mi è mai piaciuto mettere il mio lavoro in un’ottica puramente perorativa, il termine messaggio mi è in verità alquanto estraneo. Al contrario, il mio sforzo va verso la ricerca di un’apertura, uno spazio nel discorso sufficiente per introdurvi un nuovo interrogativo. Naturalmente, ho le mie preferenze, le mie modalità dialettiche concettuali e formali ben radicate, ma questo ha a che fare piuttosto con il compito dell’artista di disporre i suoi mezzi, l’esito, in qualche maniera, non mi riguarda più di tanto.
C’è stato un evento o un incontro in particolare che ha segnato una svolta nella tua ricerca?
Gli incontri che mi hanno aiutato a crescere sono molti, e penso in particolare a José Luis Macas, o a Simon Artaud Monseu, o a Noemi Asper, a Benoit Papis e Lucas Jardin…ma potrei continuare per diverse pagine, ho conosciuto un sacco di gente, dopotutto.
Come definiresti il sistema dell’arte contemporanea belga e dell’arte contemporanea in generale?
Direi che in Belgio, sub-sistemi diversi operano fianco a fianco e a un artista può capitare sia di esporre in una grande galleria, che in uno spazio autogestito o di squatters. Questo genere di circolazione paradossale è per me abbastanza interessante per ciò che può rivelare in fatto di relazioni di potere. È piuttosto facile trovare visibilità a Bruxelles, e si moltiplicano le iniziative degli artisti stessi in luoghi più o meno al margine degli spazi espositivi classici. Ma per rispondere sinceramente alla tua domanda, direi che il cosiddetto sistema dell’arte non è altro che un fenomeno puramente speculativo e, in verità, marginale rispetto all’Arte in quanto tale.
Parlaci della tua ultima personale presso lo spazio ARTECONTEMPORANEA a Bruxelles diretto da Rosa Anna Musumeci.
Una mostra personale è sempre un momento molto speciale di riordino, revisione della propria pratica, nel corso della quale nuovi itinerari possono manifestarsi, o i precedenti essere confermati. In questa occasione, ho presentato due installazioni già mostrate altrove e un nuovo lavoro. È sempre interessante rimodulare vecchi lavori attorno a un inedito perché l’insieme acquista così una coerenza diversa, un altro colore.
Lavorare a questa mostra, comunque, è stato abbastanza agevole: conoscevo bene lo spazio, che è un contenitore facile da occupare e articolare, e conoscevo altrettanto bene Rosa Anna, con cui ho intrattenuto rapporti sempre cordiali di grande complicità e fiducia. Prerequisiti necessari per un artista che ama la ricerca. La collaborazione professionale con il curatore Pietro Gaglianò è stata anch’essa stimolante. In breve, una bella esperienza.
Ti piacerebbe lavorare in Italia? Se si, quale progetto vorresti realizzare nel Belpaese?
Perché no, anche se non saprei dire ora che cosa realizzerei. Lavori che possano parlare italiano, comunque.
A cosa stai lavorando?
Comincio fra poco una residenza di due settimane presso lo spazio 10/12 a Bruxelles e lavorerò essenzialmente su immagini di films familiari in 8 e super 8 trovati al mercato delle pulci da cui proverò ad estrarne nuove potenzialità narrative. E, dopo questa mostra altre proposte importanti sono arrivate ma non voglio parlarne prima che siano definitivamente concordate.
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FR
Qui est Antone Israel?
L’homme que vous interviewez.
Comment ta recherche artistique, le thèmes et les média que tu utilises, sont influencés par ton milieu social et par tes origines ?
Je viens d’une famille composée de beaucoup d’artistes et cela sur plusieurs générations. Disons que mon rapport à l’art et à sa pratique a toujours été assez naturel, je ne me suis pas senti l’obligation de me prouver que je pouvais être un artiste, j’ai fais mes choix avec le soutien que l’on retrouve dans la plupart des familles unies. à l’adolescence ma première expérience artistique, disons professionnelle, était mon rôle de projectionniste dans le collectif « Les films à rayures » qui tournait exclusivement en Super 8 et avec qui j’allais travailler assez longtemps. Disons que mon passage aux arts plastique où je pouvais m’alléger de toute la dramaturgie propre au cinéma, porte, ou est porté par la résurgence du dispositif cinématographique.
Quelle importance a pour toi la comparaison avec ton contexte : société, média, d’autres recherches artistiques, etc.? En quoi ton travail s’en inspire et comment?
Cela à son poids bien sur. Je participe à la même réalité objective que tout un chacun et je subis les mêmes réalités socio-economiques que la plupart des personnes de mon entourage, alors oui bien sur j’en suis influencé même si j’ai envie de te répondre le contraire. Après que cela soit des questions sociétales de mass media ou tout ce que tu veux, je ne me risque pas à les intégrer dans mes recherches de façons littéral ou frontale mais j’aurais plutôt tendance à en faire des axiomes, des sous bassement rhétorique plus que théorique qui viennent soutenir le travail rétroactivement.
Qui sont les artistes que tu aimes et pourquoi?
Je m’inspire peu de l’art contemporain… J’aime le travail de Marijke Van Warmerdam pour la poétique apparemment simple et si efficace des ses films et de l’équilibre entre l’image et le dispositif installatif qu’elle met en œuvre lors de la monstration. Ce n’est qu’un exemple parmi tant d’autres mais je dirais que les artistes que j’aime et m’inspirent sont surtout cinéastes ou poètes.
Comment décrirais-tu ton travail?
On peut résumer ma pratique à une sorte d’agencement de mouvements et de contre mouvements au sein d’un dispositif. Disons que c’est un système de relations chorégraphiées entre les éléments qui m’intéresse. J’ai souvent transposer la pensée cinématographique ou plutôt ce qui fait la particularité du dispositif cinématographique au codes de la salle d’exposition. ce qui suppose de constamment réévaluer le statut de l’objet exposé. Un projecteur 16mm reste l’objet technique permettant le visible mais réévaluer sculpturalement, il devient un objet de médiation quasi magique vers un temps qui s’automatise. Le temps de la boucle, qui est une invention muséale, m’intéresse particulièrement parce que dans un sens, il peut déployer un récit au delà du récit. il est le temps de la fatalité par excellence et narrativement beaucoup plus riche que ce qu’on peut croire.
Quel message veux-tu transmettre et quelles réflexions veux-tu susciter par ta recherche?
Je ne conçois jamais un travail dans une dimension purement discursive, le terme de message m’est quelque peu étranger à vrai dire, je dirais plutôt que j’essaye au contraire de trouver une ouverture, une amplitude dans le discursif pour y introduire une nouvelle interrogation Bien sur j’ai mes prédilections, des modes dialectiques conceptuelles et formelles bien assimilés, mais cela pour moi participe plutôt à une démarche de praticien posant ses moyens , la fin ne m’appartient plus d’une certaine façon.
Y-a-t’ils un événement ou une rencontre qui aillent représentés un tournant pour ta recherche?
Des rencontres qui m’ont fait grandir il y en a eu beaucoup, je pense notament à José Luis Macas ou Simon Artaud Monseu, Younes Baba-Ali ou encore Noemie Asper, Benoit Pabis et Lucas Jardin. Je peux continuer sur plusieurs pages… je connais pas mal de monde au final.
Comment décrirais-tu le système de l’art contemporain en Belgique et à l’Étranger?
Je dirais qu’en Belgique il y’a une assez grande proximité entre les différents réseaux, un artiste peut se retrouver a exposer à la fois dans une grande galerie, dans un artist run space et dans un squat. Je trouve cette circulation paradoxale assez intéressante en fait dans ce que cela peut venir révéler comme relation de pouvoir . Il est assez simple de pouvoir trouver un espace de visibilité à Bruxelles, il y’a de plus en plus d’initiatives de la part des artistes eux-mêmes pour investir des lieux plus ou moins en marges des espaces classique d’expositions. Sinon pour répondre sincèrement à ta question je définirais le système de l’art comme un système purement spéculatif et à vrai dire périphérique à l’Art lui-même.
Parles-nous de ta dernière exposition personnelle chez ARTECONTEMPORANEA à Bruxelles de Rosa Anna Musumeci.
Une exposition personnelle est toujours un moment particulier, un moment de mise en ordre, de restructuration à l’intérieur de la praxis où de nouveaux chemins peuvent surgir ou d’anciens se confirmer. J’y pressentais deux installations qui avaient déjà été montrées ailleurs et une nouvelle pièce produite à l’occasion de l’exposition. Il est toujours intéressant de réarticuler d’anciens travaux autour d’une nouvelle création, l’ensemble prends tout un coup une autre cohérence, une autre couleur. Travailler sur cette exposition à été assez confortable: je connaissais bien l’espace qui est un espace relativement agréable à occuper et à séquencer, je connaissais bien Rosa Anna avec qui mes relations ont toujours été très cordiale et dans un rapport de confiance. Et l’expérience de travail avec le curateur, Pietro Gagliano a été assez stimulante. Une bonne expérience en somme.
Aimerais-tu travailler en Italie ? Si oui, avec quel projet ?
Oui pourquoi pas. Après je ne sais pas ce que j’y ferais exactement. Des travaux qui puissent parler Italien surement
Sur quoi es-tu en train de travailler?
Je vais bientôt commencé une résidence de deux semaines à l’espace 10/12 à Bruxelles, où je travaillerais essentiellement sur des images de films de familles en 8 et super 8 trouvé au marché aux puces de Bruxelles afin d’y déceler de nouvelles potentialités fictionnelles.
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(1) Antone Israel, Téléphone sans fil, 2015, site specific dimension, 16mm Projector. Motion picture film by the artist; Piece unique. Courtesy Antone Israel e ARTECONTEMPORANEA Italy-Belgium.
(2) Antone Israel, Téléphone sans fil, 2015, site specific dimension, 16mm Projector. Motion picture film by the artist; Piece unique. Courtesy Antone Israel e ARTECONTEMPORANEA Italy-Belgium.