[in ambiente*.
Intervista a Luca Caccioni
Luca Caccioni, Alessandro Costanzo, Iginio De Luca,
Flavio Favelli, Anna Guillot, Loredana Longo, Luca Vitone
ideazione Anna Guillot
coordinamento Emanuela Nicoletti
*ambiente
Michel Couturier
Alessandro Costanzo
Anna Guillot, Domenico Mennillo
Zygmunt Piotrowski-Noah Warsaw
Ampelio Zappalorto
Per questa terza intervista relativa agli autori del progetto espositivo [In ambiente* presso On the Contemporary a Catania – progetto nel quale, come in altre occasioni, Anna Guillot chiama a convergere esponenti dell’arte odierna su una tematica condivisa –, dialoghiamo con l’artista bolognese Luca Caccioni (1962), personalità incisiva e con ruolo di protagonista nell’ambito della generazione giunta ad una ben delineata maturazione linguistico-concettuale. Durante la sua lunga carriera iniziata negli anni Novanta, periodo a cui risalgono le prime mostre, (Nuova Officina Bolognese alla Galleria d’Arte Moderna e la prima personale alla Galleria Spazia) si susseguono partecipazioni personali in importanti gallerie, musei e spazi pubblici in Italia e all’estero – Giò Marconi a Milano, Studio La Città a Verona, Palazzina dei Giardini della Galleria Civica di Modena, Spazio Aperto della GAM di Bologna, Accademia Tedesca a Villa Massimo a Roma, Galleria Sales di Barcellona e Greene Gallery di Ginevra, Galleria Carzaniga di Basilea, MART di Rovereto, Galleria Rosso20sette di Roma, Fabrice Galvani di Toulouse, Marcorossi Artecontemporanea di Verona, Musée d’Art Moderne et Contemporain de Sant’Etienne Métropole, MAMBO di Bologna, MAC di Lissone. Dal 1996 Caccioni inizia la collaborazione con la OTTO Gallery di Bologna dando luogo alle personali Zeichen theater, Scritti nel 2002, Ipnosi nel 2006 e Lotophagie. Lotus eaters nel 2008 e all’ultima, la collettiva L’Ospite, inaugurata lo scorso 24 ottobre. Dal 2003 è professore della cattedra di Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna.
La sperimentazione raffinata dell’arte di Caccioni è sempre in divenire, mediata da un uso di supporti e materiali non convenzionali come gli acetati, il pvc e i fondali scenici di opere teatrali ottocentesche. Il segno pittorico si modula e si deposita quale contenitore di una memoria personale e raccoglitore di immagini colte da un passato storico intriso di una sorta di “disegno materico”. Nella costruzione dell’immagine, l’artista opera per addizione e sottrazione di colore e di pigmenti in un processo volto alla sovrapposizione stratificata e alla creazione di forme rassomiglianti aloni, tracce ed elementi residuali. Si celebra una poetica dell’ambiguo in cui astratto e reale permangono in uno stato di sospensione evanescente. Scrittura, pittura e segno si alternano sulla tela quali codificatori fluttuanti.
Hypnosis, la fotografia scelta da Anna Guillot per la mostra [in ambiente*, è un’opera che esula dal tuo consuetudinario modus operandi. Per il tuo The pictorial archive, da cui è tratta, fai uso della fotografia a discapito della pittura, medium da sempre da te privilegiato. In questo caso l’atto ipnotico si trasmuta in formula di preghiera rituale, di cui l’immagine si fa portatrice di una verità esoterica a cui lo spettatore viene sottratto. Rarefazione, sfocatura e trasparenza si legano ad un procedimento facente parte integrante del tuo pensiero artistico. Qual è l’idea sottesa a questo lavoro?
Quell’immagine è stata estrapolata da un archivio fotografico che conta più di 5000 immagini, il The pictorial archive, che periodicamente pubblico sul mio sito e su Instagram, e che solo in rare occasioni ho esposto. Qui c’è una certa idea di concilio e congiunzione tra la pittura e la fotografia, in quanto il rapporto evocativo tra i due media è reciproco, recidivo ma anarchico. Concerne più un atto di genesi e studio dell’immagine e di sublimazione di essa, non importa con quali media sia condotta. “Ipnosi” è stata una mostra di grandi dipinti, del 2006, che aveva come soggetto la magia delle immagini e il rapporto segreto ed esoterico con lo sguardo dell’osservatore e l’empatia che ne poteva scaturire.
Addentriamoci nella tua poetica fatta di forma e segno. Il gesto pittorico viene disvelato e rivelato con lo “sfondamento”, come tu lo definisci, dell’immagine. Nel contesto pittorico, la scrittura che ruolo ha? Come si sviluppa la tua azione processuale, intesa sia in senso materico, sia in senso concettuale? Parli di voluttà dell’immagine.
La scrittura spesso viene tradita, perché inevitabilmente al cospetto della pittura diviene segno o addirittura disegno. Prima di questo narra degli accadimenti dello studio, di scoperte che sembrano giganti, di rapporti equivoci con le immagini, di cantilene e memorie, rimandi e automatismi e di desideri di poesia; ma non c’è mai un intenzione didascalica nelle scritture, che sovente non sono comprensibili, e dove se riesce la lettura appare come il desiderio di dare forma e significati nuovi all’immagine e ricercare, in un rapporto complice con gli sguardi altrui, la voluttà estremamente mutevole che le immagini racchiudono.
In questi giorni è stata inaugurata la mostra “L’Ospite” alla Otto gallery di Bologna. Collettiva (oltre te, Luigi Carboni e Giuseppe Stampone) incentrata sull’idea di linguaggio attraverso l’uso della tecnica della velatura, mirando quasi ad una sorta di scomparsa dell’immagine. Puoi darci un cenno sui lavori esposti?
Sono una serie di lavori nuovi, olio su alluminio, estremamente pittorici, quasi un elogio simbolico e paradossale della pittura come prassi e soprattutto pratica per una sublimazione necessaria e terapeutica della contemporaneità. Sono costruiti, più che sulla velatura, sulla cancellazione. Ogni lavoro è costruito da e su decine di altri lavori, che sono ogni volta cancellati compulsivamente e ossessivamente con solventi per lasciare spazio ad un’altra immagine, quasi in un gioco di evocazione, sparizione e supremazia. La risultante immagine finale dell’opera contiene la scelta forte del riuscire a fermarsi, da sempre così difficile nella pittura, e un’illusoria presunzione che le immagini sottostanti asportate si vedano ma soprattutto si sentano. Il percorso di questa pratica è reso visibile nei lavori da lasciti e memorie che sono trattenute e conservate tra la pittura diventandone parte fondante di essa, si tratti di impronte digitali, segni, gesti ed errori, come calcografie testimoni del processo pittorico e delle ritualità dello studio.
Il tempo e la memoria sono due fondamentali manifestazioni del tuo fare artistico. Quali sono le tue considerazioni in merito al futuro dell’arte oggi?
Tempo e memoria potrebbero anche rappresentare un futuro possibile dell’arte. Ma temo di non avere considerazioni e risposte utili a questa domanda.
In copertina:
Luca Caccioni
[in ambiente, Hypnosis, On the Contemporary, Catania.