Hortus Nocturnus
Intervista a Martina Cioffi
Lo scorso giugno si è concluso l’intervento di Martina Cioffi presso SpazioSERRA. Hortus Nocturnus rientra nella stagione espositiva 2023/2024 di opere site-specific, selezionate nell’ambito del tema suMISURA ed è il risultato dell’analisi del luogo e del contesto in cui è inserito, rapportato alla ricerca dell’artista comasca. Il suo linguaggio si sviluppa attraverso visioni, forme e materiali che tendono a riportare l’osservatore che fruisce i suoi spazi verso un mondo primigenio e, in parte, controllato; caratterizzato da un meno che era un tutto, carico di significati e di rispetto per il contesto che lo ospitava.
Laura Cantale: La natura che descrivi è magica e viva, così come da tempo non si riesce più a considerare; ci spieghi da dove nasce, nella tua ricerca, questa volontà di celebrazione?
Martina Cioffi: Non è facilissimo rispondere perché è stata per me una direzione molto spontanea e naturale. Da sempre gli artisti nella storia si sono interessati ad essa, certo sempre con sguardi diversi, attenzioni diverse date dal contesto storico geografico ed individuale. Non mi sento rivoluzionaria in questo, ne sono semplicemente affascinata ed innamorata. Essere in mezzo alla “natura” fondamentalmente mi fa stare bene, mi sembra di essere riconnessa ad una sorta di “piano originario”, parte del Tutto, prima che iniziassimo ad incasinarlo. Penso che non siamo fatti biologicamente per il ritmo che abbiamo creato per noi, in questi finti universi sovrastrutturati delle città. Le piante le ho sempre amate; fin da piccola ne conoscevo il nome e mi interessavo alle differenti specie. Direi che era insolito per i miei coetanei…
Gli organismi vegetali sono davvero affascinanti, più li approfondisco più mi sorprendono. Vivono un tempo totalmente diverso dal nostro, non siamo in grado di cogliere col nostro occhio le loro trasformazioni nel loro mutare, tanto da contrapporre l’appellativo vegetale ad animale, animato, dotato di anima. Una sciocchezza data una limitata prospettiva antropocentrica.
Quanto il materiale utilizzato nella tua ricerca definisce ciò che intendi comunicare con il tuo linguaggio visivo?
Da un po’ di anni sono decisamente in fissa con la ceramica; da quando mi sono costruita il primo forno, ho potuto sperimentare moltissimo, quindi ho con lei una facilità formale e di conoscenza del linguaggio che mi permette di ottenere ciò che voglio in totale autonomia, avendo discreta padronanza delle tecniche. Abbiamo una pratica quotidiana insieme, ci conosciamo. Ma alla tua domanda risponderò: dipende. Mi spiego: rispetto ad altri, trovo l’argilla un elemento di per sé significante che ben si sposa con la mia ricerca perché è al contempo materia naturale, terra appunto, presente nelle profondità ctonie del suolo e insieme materiale per costruire che accompagna la storia dell’umanità fin dagli albori, utilizzato nel suo abitare il mondo. Inoltre, mi piace poter avere con lei un rapporto diretto con le mani, immediato e senza filtri come nel disegno.
Al contempo, necessita di una precisa progettazione a monte prima di iniziare. Mi piace questo mettere insieme progettazione razionale e istinto delle mani. Allo stesso tempo, per tornare al “dipende”, nonostante questa mia palese predilezione, credo che ormai il mio linguaggio sia ben riconoscibile quindi non mi sentirei intimorita nell’utilizzo di altre materie quando più adatte alla situazione, non credo che tradirei il mio comunicare.
La scelta di determinate forme e l’articolazione degli elementi in mostra, così come il loro posizionamento all’interno dello spazio, vogliono seguire uno schema ben preciso?
Certamente. Hortus Nocturnus, come si evince dal titolo, vuole riecheggiare una struttura ben precisa. Nella call suMISURA ho visto l’opportunità di potermi rapportare con la natura “misurata” ed “ordinata” per eccellenza: quella del giardino. Oltretutto, l’architettura stessa dello spazio si presta splendidamente a un riferimento medievale: l’hortus conclusus. Il titolo dell’intervento, Hortus Nocturnus, intende quindi riecheggiare l’immagine dell’hortus conclusus medievale, stravolgendone il simbolismo. Se il giardino tradizionalmente rappresenta una natura ordinata e controllata dall’umano demiurgo, che decide se un essere vegetale è erbaccia da estirpare o specie utile da addomesticare, il mio intende ricordare, pur nel medesimo ordine, che l’onnipotente superiorità di cui la nostra specie si ammanta è solo un’illusione. Le gerarchie sono spezzate, la presa del controllo fa scivolare ombre tra le dita. Il ciclo di sculture si riferisce al mondo perturbante della natura notturna, oscura e misteriosa, dei fiori che sbocciano di notte, delle falene, dei pipistrelli, delle piante velenose, delle profondità ctonie dove sprofondano le radici del nostro inconscio collettivo mentre sogniamo.
Sono molto affascinata dalle relazioni simbiotiche tra piante e impollinatori e la loro vicinanza anche formale. (Ad esempio Stramonio e falene, Regina di notte e pipistrelli) e dalla profonda connessione della bios in generale, e dell’acqua come denominatore comune. Da un lato queste creature sono ancora ammantate da un pregiudizio negativo da cui vorrei liberarle (ad esempio la Datura Stramonium, conosciuta con il nome comune di pianta del diavolo o delle streghe per le sue proprietà psicoattive). Solo gli umani decidono arbitrariamente se le altre specie sono buone o no a seconda dell’uso che ne fanno, ancora una volta a testimonianza della gerarchizzazione e dell’auto-elezione a specie superiore che decide il destino delle altre.
Come già sottolineavo prima, la parola stessa vegetale include un giudizio. Un vegetale non è animato, privo di anima, subordinato agli animali. Quando vado ad approfondire una determinata specie di pianta ne evidenzio o ingrandisco alcuni elementi, ad esempio quelli riproduttivi, appare come soggetto. La verità è che non siamo abituati a pensare alle specie vegetali come tali, per questo sembrano spesso mostruose le mie creature. Da sempre, nella storia dell’arte, abbiamo pensato ai vegetali e al paesaggio solo come ornamento o sfondo. Il buio è culturalmente associato a valori negativi solo perché l’umano non ne ha il pieno controllo e dominio.
Nella pratica, questa visione si è concretizzata, come avete potuto vedere, con un primo intervento perimetrale volto a modificare, con un segno grafico, lo spazio, trasformando l’architettura in un susseguirsi armonioso di volte a sesto acuto create con delle mascherature scure su ogni vetro; richiamando l’architettura dell’hortus tradizionalmente custodito dagli archi. Perimetralmente, si innalzano otto sculture fitomorfe modulari in ceramica e ferro, rame e vetro. Monocromatiche, bianche e nere, intervallate da bagliori metallici e perlacei e bianchi venati, bagliori nel buio. Esagerando le morfologie delle references le ho immaginate come creature che ricambiano, al di sotto degli archi ed attraverso i vetri, il nostro sguardo di fruitori.
Al centro, una fontana a ciclo continuo con una vasca nera di forma ogivale. I suoi bordi sono dotati di rigonfiamenti ceramici dalla finitura cangiante, come magici baccelli contenenti semi, entelechia della trasformazione in potenza. La materia della vasca allude (pur non essendo) alla pietra lavica, creata dal fuoco, contiene il suo contrario. L’acqua sgorga da una ceramica nera (dall’alto una pupilla) con un piccolo frutto rosa sulla sommità. (terra/argilla, acqua, fuoco). L’aspetto mortifero e vitale convivono in questa immagine di fecondità. L’immagine della fonte si carica di tutti gli archetipi della simbologia culturale umana, ma tra questi c’è un esplicito riferimento all’Edda di tradizione norrena, in particolare alla fonte Hvergelmir: un’acqua sotterranea che proviene dal mondo dei morti e alimenta tutti i fiumi del mondo permettendo la vita sulla terra.
Infine, un cielo stellato di soffioni sospesi a soffitto a sottolineare il crocevia della pianta dell’hortus, ed inseriti, come caduti tra le ceramiche. Stelle di semi fertili, terrestri e celesti insieme. I globuli bianchi dei pappi del tarassaco contribuiscono (almeno nell’intenzione) alla creazione di un ambiente onirico legato al notturno. Il soffione riprende la forma sferica dei moduli di ceramica nera delle sculture al contempo rappresentandone l’opposto: una natura bianca effimera, destinata al volo, alla dispersione, alla trasformazione.
Quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Se per futuro intendi l’immediato, ovvero questa estate, mi sto dedicando alla realizzazione di un’opera permanente per il Monte Barro e ad un’opera effimera per il borgo di Monte Vaccino in occasione del festival Risalite.
Per tornare alla tua domanda sulla materia, nessuna delle due, per esigenze tecniche/progettuali, sarà in ceramica.
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