La seconda Open Call di Balloon project è dedicata alla fotografia. Nella fattispecie l’interesse è orientato alla fotografia come mezzo privilegiato nella documentazione e divulgazione dell’operato artistico, analizzando le relazioni e i confini tra mera rappresentazione e divulgazione intrinseca ed estrinseca all’opera. La fotografia come occhio sull’arte e la fotografia come arte che però comunica la stessa.
I quattro interventi selezionati, molto diversi tra loro, analizzano i molteplici aspetti del fotografare nell’epoca del digitale e della condivisione di massa in tempo reale mettendo in luce aspetti sociali, relazionali e storico-artistici.
Valentina Lucia Barbagallo e Giuseppe Mendolia Calella
MOUSSAKÀ
di Roberta Guarnera*
«Annunciamo un’importante scoperta del nostro famoso pittore del Diorama, Louis- Jacques Mandè Daguerre. La scoperta ha del prestigioso. Sconvolge tutte le teorie scientifiche della luce e dell’ottica, e rivoluzionerà l’arte del disegno. Monsieur Daguerre ha trovato il modo di fissare le immagini che si dipingono da sole entro una camera oscura, sicché esse non sono l’impronta fissa e durevole che, come un dipinto o un’incisione , non ha più bisogno della presenza dell’oggetto»[1]… Queste sono le parole riportate sulla “Gazette de France” il 6 gennaio 1839; da allora la fotografia, un’ arte ancora giovane, ha subìto un’evoluzione sia del medium che del suo spazio; ma bisognerebbe andare più a ritroso ossia all’anno 1826/27, quando per la primissima volta venne realizzata la fotografia di Nièpce “Vista dalla finestra a le Gras”. Ebbene questa foto non segnerà solo dal punto di vista scientifico di “cattura della realtà circostante”, ma anche dal punto di vista concettuale della visione del mondo.
L’occhio fotografico si mostra alla vita per raccogliere al suo interno i saperi da tramandare.
Il suo concetto però non varia, e per quanto ci siano stati alcuni sforzi da parte dei pittorialisti, nel convertirla in “arte”, la sua visione si concentra sulla realtà, che di per sé è arte e non essendo assoluta, è tutta ancora da scoprire, da “registrare”, da raccontare…tutta ancora da scrivere… Con la luce.
La fotografia ha cambiato e cambia tutto entra in contatto con la nostra vita privata e pubblica, proprio perché appartiene all’uomo, diventa indisciplinata e sfuggente. Come afferma Marvin Heifermann, con la sua ricerca nel “la fotografia cambia tutto”, la maggior parte delle fotografie, scattate ogni anno, non ha valore artistico, ma assume il vero valore nel modo in cui adempie ad un’efficace funzione.
Tale documentazione non solo segue i tempi del reale, ma si adegua al modus di trasmissione; se al suo stato d’origine seguiva le regole della narrazione scritta, in quanto la luce si “scriveva” sulla carta fotosensibile e la grana ne avvalorava la sua “battitura”, ad oggi la sua narrazione segue una regola forse poco poetica, ma comunque contemporanea : la comunicazione.
Viviamo in un epoca in cui il linguaggio è dato da un botta e risposta, d’automatismo tattile (la tastiera per intenderci) e allo stesso tempo corretto, qualora il nostro lapsus si manifesti, dal cosiddetto T9 o correttore ortografico della macchina, allo stesso modo procede la fotografia, in quanto creazione e serva dell’uomo, subisce o forse ha già subito un’evoluzione ontologica.
La fotografia è quel linguaggio universale che permette a noi tutti, abitanti del mondo, ma diversi, per lingua, colore e cultura, di raccontarci e conoscerci… «la fotografia è l’unico “linguaggio” compreso in ogni parte del mondo e, superando tutte le nazioni e le culture, unisce la famiglia umana. Indipendente da qualsiasi influenza politica – dove la gente è libera- rispecchia la vita e gli eventi in modo veritiero, ci permette di condividere speranze e disperazioni altrui , chiarifica condizioni politiche e sociali. Noi diventiamo testimoni oculari dell’umanità e della disumanità degli uomini…»[2].
Proiettiamo in essa la nostra percezione del mondo, traduciamo il nostro “dato di fatto” in dati condivisi e condivisibili.
Potremmo definire quest’era, quella dell’ “Homo photographicus”[3], in cui la fotografia risponde all’esigenza della cattura dell’attimo e dove la tecnologia ci asseconda, donandoci una fotografia a portata di “click”, sempre tascabile, presente e pronta ad attestare che la nostra presenza è reale e che non siamo semplici ombre e che possibilmente quella “grotta” l’abbiamo abbandonata…
Mentre ancora ci si interroga sulla funzione della fotografia, questa con l’invenzione e l’accrescimento della televisione, in quasi tutte le case della popolazione mondiale, s’è tramutata sempre più in immagine.
Oggi non ci limitiamo a guardare immagini, ma le produciamo in gran quantità, giga-quantità o forse pure kilo-quantità, consegnandole ai cosiddetti destinatari-utenti del nuovo deposito: lo spazio on-line.
Ma i valori di registrazione, memoria, verità ed archivio non sono stati, nella fotografia digitale, eliminati ma hanno semplicemente subìto un adattamento, come Fontcuberta afferma: “un darwinismo tecnologico” ma non è solo una prospettiva digitale, che parrebbe quasi scontato, quanto una direzione verso il virtuale. È questo spazio virtuale che si tramuta in un vero e proprio archivio dell’esperienza, poiché la realtà fatta di codici numerici, account, minuti, ore e giorni, scorre e le persone terrorizzate da un’inconscia amnesia, conservano i loro attimi di vita su social network, photoblog, photo-sharing, che diventano sempre più traccia e comunicatori delle immagini, di quell’immaginario che fa parte dell’uomo, giustificandone la sua esistenza e la sua sopravvivenza.
Paradossalmente, come la stessa Sontag afferma, preferiamo l’immagine alla realtà, poiché rimane soggiogato al nostro controllo e talvolta divengono più empiriche della realtà stessa. A questa asserzione ci si pone un pensiero sullo sguardo : la realtà diventa immagine o l’immagine diventa realtà?
La nostra visione, la nostra immagine è caratterizzata e soprattutto condizionata dalla stessa visione dell’ambiente.
La realtà non è univoca a tutti gli sguardi, poiché, come è bene ricordare, la realtà viene sempre manipolata da una porzione di immagine, ed a quella porzione verrà attribuita un significato dettato dall’ interpretazione dell’ambiente circostante, che a sua volta è “codificato” da leggi culturali e/o da leggi di estetica e iconiche.
Ma tornando all’ immagine della realtà, porto ad esempio la mia realtà tipo :un’ immagine composta da una scrivania, libri, penna, matita, evidenziatori, computer… la mia realtà è circoscritta e chiusa, ma chi e quanti di voi si sono realmente sentiti rappresentati? Per quanti ed a quanti questa realtà appare vera?
Paradossalmente in questo momento un clandestino o un bambino siriano ha un’altra visione della realtà: cupa, dolorosa, sofferente, ma allo stesso tempo viva ; perché tiene conto del tempo e per quanto ancora potrà rimanere vivo. Un’ immagine proiettata verso il futuro, nella quale è rappresentata una realtà molto più realistica della mia. Con questo non voglio certamente affermare che la sua realtà sia migliore, dal punto di vista di bellezza e/o concettuale, ma solo una riflessione sugli sguardi nei quali viene proiettata la realtà; perché guardare con un’altra visione determina la composizione della realtà nella sua immagine più ampia.
Su tale fenomeno è incentrato il mio progetto di ricerca “Moussakà”, proprio sul social network Facebook.
Moussakà è un progetto di ricerca fotografico e di archivio interattivo, il cui nome deriva da un tipico piatto greco affine alla parmigiana siciliana, riguardalo studio sulla fruizione della fotografia, attraverso una modalità d’ “investigazione” su Facebook.
La scelta del nome, volutamente provocatoria, nasce dalla lettura del libro di Francesco Bonami “Lo potevo fare anch’io”, in cui paragona l’arte al cibo, in modo da essere sempre più fruibile ad un pubblico poco attento alle vicende artistiche, affermando:
«L’arte è come il cibo, nessuno dice “non me ne intendo” quando va al ristorante. È il cibo dell’anima
e della mente: dopotutto si mangia anche per piacere,non solo per sopravvivere».
La mia ricerca si basa su un sistema del tutto democratico, poiché invito ad interagire con e sulle mie fotografie i cosiddetti “Amici” che appartengono a diverse categorie: studenti di fotografia, fotografi professionisti, grafici, critici d’arte, ma anche giornalisti ed altri, attraverso una formula di ricettario con il quale possono mantenere integralmente la ricetta o modificarla secondo il proprio gusto.
“Gusto” termine un po’ atipico per argomentare e definire la fotografia, ma credo sia il termine più appropriato, in quanto non ci troviamo solo nell’era del digitale, ma anche nell’era della vera e propria estetica.
In un’epoca in cui è l’immagine a determinare chi siamo e non il nostro senso di etica, anzi è diventato secondario se non nullo. Soprattutto in un periodo in cui si parla di globalizzazione voglio verificare quanto la fotografia possa essere condivisa e condivisibile.
Era il periodo di Maggio 2015 quando ho ufficializzato pubblicamente il mio progetto, iscrivendomi nel social network Facebook.
“Moussakà” era ufficialmente un progetto fotografico ed un archivio interattivo; e per renderlo facilmente intuitivo e fruibile a tutti gli utenti ho creato una sorta di ricettario/ regola:
«Il moussakà (in greco: μουσακάς) o mussacà è un piatto tipico della cucina greca, balcanica e medio- orientale, a ne alla parmigiana di melanzane nella versione siciliana». Il mio account ed il mio album prendono questo nome proprio perché vuole essere una sorta di ricettario ( ossia un insieme di foto a colori ed in bianco e nero) col ne di studiare e comprendere la fruizione ( intesa anche come consumo) delle mie fotografie.
Dunque «io vi do la “ricetta” sta a voi cambiarla (sempre se lo vorrete) secondo il vostro gusto».
Dopo un’attenta riflessione ho capito cosa sia per me la fotografia in questa fase della mia ricerca artistica, è il nutrimento della conoscenza, della memoria e della consapevolezza di “essere stato” inteso come documentazione ed interpretazione della presenza dell’individuo in un determinato spazio ed in un determinato tempo.
La fotografia è materia quindi può evolversi, modificarsi e può essere plasmata dall’uomo.
Il titolo “Moussakà” rimanda volutamente ad una pietanza dunque si adatta perfettamente all’interpretazione della fotografia come nutrimento e come “ricetta” che l’uomo può seguire o alterare. Lo studio / progetto “Moussakà” esamina anche le impostazioni di modifiche delle immagine stabiliti dai social network come : Instagram, Facebook…
But last, not least la moltitudine di immagini che realizziamo e l’impeto di condividerle con il resto del mondo , sui social network, sottolineano il fatto che stiamo “modificando” un nuovo rapporto con la fotografia.
«Quanto più pensavo a che cosa sono le fotografie Tanto più diventavano complesse e suggestive»
Susan Sontag “Sulla fotografia”
[1] Fotografia, Walter Guadagnini, Zanichelli Editore.
[2] Helmut Gernsheim (Creative Photography), 1962.
[3] La foto (camera) di Pandora, Joan Foncuberta.
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BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
– Walter Guadagnini, Fotografia, QUARC FOTOGRAFIA Zanichelli Editore, 2000
– Joan Foncuberta, La (foto)camera di Pandora. La fotografi@ dopo la fotografia, Contrasto, 2012
– Francesco Bonami, “Lo potevo fare anch’io”, piccola biblioteca Oscar Mondadori, Milano, 2007
– Susan Sontang, Sulla fotografia, Realtà e immagine nella nostra società, Piccola Biblioteca Einaudi Ns, Torino, 2004.
– https://archive.org/details/creativePhotography
– https://www.facebook.com/roberta.moussaka?fref=ts
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Biografia dell’Autore
*Roberta Guarnera si è specializzata in Fotografia, materia principale del suo percorso artistico, presso l’Accademia di Belle arti di Catania, presentando una tesi sperimentale dal titolo: “Il dedalo dell’archivio. Lo spazio on-line come raccolta dell’esperienza”. Durante gli studi sperimenta e approfondisce il ruolo della fotografia contemporanea con il progetto fotografico ed archivio interattivo, su Facebook, “Moussakà”, con il quale intende studiare la fruizione (intesa come consumo) della fotografia. Con “The Colour Experience part III” vince nella categoria fotografia e digital art il “Premio Ricoh” per i giovani artisti italiani.
B-RESEARCH – di Balloon Contemporary Art, Research, communication, Curating Art &Publishing Project
ballooncontemporaryart@gmail.com
Catania
Un progetto di ricerca a cura di
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Gruppo di selezione
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Cristina Costanzo
Maria Giovanna Virga
Giovanni Scucces