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GREENder

 Relazioni sostenibili

 

Il mio rapporto con le parole, suscettibile di un approccio euforico, nevrotico e primordiale, mi costringe a viverle emotivamente, a provare simpatie e antipatie, sintonie e repulsioni fonetiche.

Mi accosto ai lemmi con la stessa paura e lo stesso delirio di Johnny Depp a Las Vegas.

La parola per la quale, adesso, condannerei alla custodia cautelare più risarcimento danni morali è “sostenibilità” che, insieme a “resilienza”, “distopico” (e molte altre), fanno un glossario criminale responsabile dell’uccisione colposa di pensieri, parole, opere o missioni. Sostenibilità è un termine che, prima ancora di significare, fallisce il suo valore semantico, per via dello spreco inquinante del suo impiego.

Il concetto di sostenibilità lascia emergere in Architettura tutta la sua fragilità e sdrucciolevolezza ideologica. Qualunque costruzione ha insita una trasformazione distruttiva e impattante, ergo in-sostenibile, specie quando si proclama green e sostenibile: diffidare dagli edifici al verde, honesti e sinceri.

Dinanzi alle città Smart, alle Green cities, alle città che pensano di essersi svegliate kafkianamente grigie malgrado lo siano nate, arrivano gli assistenti sociali: i green ambassador, i terapeuti freudiani del sostenibile e dell’impatto 0 che interrogano le città “Quand’è stata l’ultima volta che ti sei vista verde?”. Questi hanno come loro mandanti una governance nata prima degli ‘70 che  traduce “green” su Google translate,  giusto per sincerarsi di non esser finita in una convention della Lega.

Questi ultimi fanno G20 sul cambiamento climatico, con uno spreco di parole impattante che ogni anno è responsabile del 90% dell’assottigliamento atmosferico. Alle loro fumate bianche fanno seguito programmi  e soluzioni da mettere in atto entro il 2050 (vale a dire: caxxi vostri).  Ed è subito  “ForestaMI”, “OrticolaMI”, “Biodiversificami”, “GiardinaMi”.

 

Qui potremmo già concludere sorseggiando un George Carlin Riserva del ’94, le cui note aromatiche si conciliano bene con la nostra riduzione di Sostenibilità su un letto di Km0 rigenerato.

 

Mario Cucinella | Ritratto

 

Tuttavia tra selve oscure e boschi verticali, un Virgilio che dagli inferi della speculazione dozzinale ci lascia una speranza di visione illuminata è Mario Cucinella. Nel contesto datato del rampantismo architettonico anni ’90, Mario Cucinella risulterebbe l’anti-archistar. Da Parigi si è infatti ritirato a vivere sui colli Bolognesi, nelle “aree interne” secondo una calzante definizione da lui stesso coniata che  descrive bene il 60% del territorio italiano.

 

 

L’Italia, inseguendo un po’ il sogno occidentale, ha inventato per sé stessa il concetto di metropoli.  Ma da noi, in effetti,  il concetto di metropoli è una perversione teneramente provinciale, una velleità e una fantasia brianzola forse.  La metropoli italiana è come la scaramanzia, non è vera ma ci si crede. “La città metropolitana di Torino ha 350 comuni, dentro c’è anche Bardonecchia. Ma secondo te uno di Bardonecchia si sente cittadino metropolitano di Torino?” osserva Cucinella in un’intervista e continua: “L’Italia per il 60% di territorio è una rete di città green, è una rete urbana infilata dentro un sistema naturale” “Il green c’è già, eccolo lì”.

Mario Cucinella smonta, uno per uno, alcuni dei topos sfiatati e debolmente ideologici con cui si confronta la contemporaneità nell’ambito della progettazione edilizia, dal green alla sostenibilità, contrapponendovi una visione concreta, consapevole, attenta e autenticamente rivolta tanto alla tutela quanto alla durata nel tempo del senso e della costruzione.

“Se vuoi ridurre le emissioni devi cominciare a cambiare le caldaie… ma capisco che rispetto al Bosco verticale il tema della caldaia non è sexy”

La sua è una riflessione seria e analitica, che passa anche per la mise en place di una scuola di sostenibilità per i suoi architetti: SOS school of sustainability, con progetti che rappresentano la dimostrazione plausibile di teoremi e sofismi che altrimenti svaniscono ingoiati dall’estetica del discorso.

Un approccio umanistico, un’idea di progettazione architettonica che tiene a riconciliarsi con la natura attingendovi a piene mani, senza un politico, strumentale e esibito coming out green, ma passando per la “naturalizzazione” della costruzione, per la conoscenza colta del territorio, per il riconoscimento meditato di una specificità ambientale che impedisca di dissolvere tutto nell’omologazione urbanistica che da nord a sud, da est ad ovest rischia di rendere il mondo brutto perché uguale.

In altri termini, green e sostenibilità matchano più con Piramide che con Burj Khalifa non certo per una depravazione arcaistica, passatista, o anti-progressista di chi sposa estetiche ideologizzate per finta, ma per spontanee affinità ambientali e eco-sistemiche. Non bisogna ovviamente ritornare a costruire muraglie per essere green, sia chiaro, ma il passato e la tecnica (oltre che la tecnologia) suggeriscono relazioni ideali e matrimoni combinati con la Natura per preservare doti e  patrimoni universali.