I migranti a rischio nel mar Mediterraneo
La mostra di Giles Clarke a Palazzo De Gaetani
Ogni giorno nei telegiornali nazionali e internazionali sentiamo parlare dei migranti. Di continuo, apprendiamo di nuovi sbarchi, di nuove tragedie, del sempre crescente timore da parte degli Stati di accogliere le popolazioni bisognose. Si tratta spesso di persone che provengono da Paesi in cui vige la guerra e che vivono in condizioni deplorevoli. Persone che si spingono in mare, anche a costo di mettere a repentaglio la loro vita, desiderose di un approdo sicuro da dove poter ricominciare a vivere una nuova realtà.
Proprio nell’ambio della campagna europea promossa da Amnesty International, “Prima le persone, poi le frontiere”, nasce la mostra fotografica di Giles Clarke “I migranti a rischio nel mar Mediterraneo”. Si tratta di un appello all’Unione Europea per incentivare un pronto intervento a favore della salvaguardia della vita di migranti e di rifugiati di guerra.
La mostra, presentata già in diverse città italiane, è stata inaugurata sabato 7 settembre presso le stanze espositive di Palazzo De Gaetani, sede di Trame di Quartiere, nel sobborgo di San Berillo di Catania. L’associazione ha sentito forte la necessità di aderire all’iniziativa lanciata da Amnesty, in quanto San Berillo è diventato un punto nevralgico e di scambio interculturale dei popoli immigrati nella città etnea.
Durante il vernissage, si è tenuto anche un dialogo sul problema dell’immigrazione in Italia tenuto dai membri di Amnesty International e Cesp Don Milani. Sono intervenuti Salvatore Spagano (presidente del CESP Don Milani), Giuseppe Sapuppo (viceresponsabile di Amnesty International – Gruppo Italia 303 Catania) e Marco Calisto (referente UNHCR Italia – Agenzia ONU per i Rifugiati). Mediatore, Luca Aiello, responsabile di Trame di Quartiere.
Giles Clarke è un fotoreporter dell’agenzia Getty Images che negli ultimi anni si è dedicato interamente alle questioni umanitarie e di conflitto. Diverse associazioni, quali le Nazioni Unite (OCHA), e famose testate giornalistiche, come il New York Times, hanno divulgato le immagini di Clarke per testimoniare al mondo le atrocità che rifugiati di guerra e migranti sono costretti a vivere.
Il suo lavoro è il risultato di un reportage che il fotografo ha realizzato nel settembre del 2014 in cui documenta i momenti dell’arrivo dei tanti migranti che sfidano le acque del mar Mediterraneo. Il viaggio di Clarke attraversa le isole di Lampedusa e Malta, primi porti di attracco delle navi Ong, per poi giungere alle coste della Sicilia, nell’esplorazione di alcuni centri di accoglienza ad Augusta e a Priolo Gargallo. Le immagini di Clarke sono dei ritratti vividi, forti e dirompenti delle sofferenze di chi patisce la condizione di migrante, dove qualsiasi individualità viene completamente annullata e perduta. Ecco apparire delle barche diroccate, su cui prende precariamente il via il cammino disperato verso le coste siciliane.
Tra le travi sconquassate affiorano i segni della traversata e del passaggio di quegli uomini, delle donne e dei bambini che spesso non arrivano vivi a toccare terra. Si vedono un salvagente, una scarpa, delle coperte. I barconi diventano dei relitti, accatastati nei cantieri navali, come a formare un cimitero. A prima vista, si può percepire uno stato di sospensione e di silenzio: un silenzio che spegne la vita. Ma poi, il labile confine tra la vita e la morte viene marcato dal riemergere dei volti che Clarke pone in primo piano, potentemente zoomati. Il fotografo coglie lo spaesamento, il disagio di chi porta le mani sul viso e si nasconde, quasi a voler scomparire e impotente di fronte al ricordo dell’immane tragedia. Gli uomini avanzano con un incedere militare sotto il sole cocente, scendono dalle navi e finalmente toccano l’agognata terra, avvolti dalle coperte termiche, in attesa delle cure mediche. Uomini che vagano diventano ombre sull’asfalto del porto in cerca dell’acqua e del calore umano. Si riconosce una donna che viene accolta dagli aiuti umanitari, ha lo sguardo fisso e smarrito. Si vede un bambino, accolto tra le braccia di chi lo ha salvato. Ci sono i volti di chi ce l’ha fatta e la croce di chi è stato per sempre travolto dal mare.
Dentro i palazzi fatiscenti dei centri di accoglienza, si scorgono le stanze vuote le cui mura parlano di nomi e di storie. Essi rappresentano il luogo da cui poter ricominciare: si nota un ragazzo mentre cerca di apprendere l’italiano da un libro e qualcun altro girato di spalle, seduto sul davanzale di una finestra, con il corpo rivolto verso l’orizzonte della rinascita. Tra le mani compaiono i nuovi documenti che permetteranno a tutti di recuperare la propria identità.
Le foto esposte, il cui allestimento è stato curato da Federica Castiglione, Flavia Monfrini e Marco Calisto, creano soprattutto una eco nella mente di coloro che hanno vissuto in prima persona tale tragedia. La visione è una testimonianza di un dramma personale. Ma noi, che guardiamo dall’esterno, dobbiamo osservare a mente lucida una realtà che deve cambiare.
Il reportage costituisce un monito per gli Stati europei a sostenere l’integrazione e a sviluppare il senso di appartenenza di una e una sola comunità, quella umana.
La mostra sarà visitabile fino al 26/10/2019 nei giorni di mercoledì e venerdì alle ore 15:30 – 19:30; il sabato alle ore 10:00-13:00 / 15:30 – 19-30.
Ph. Credits: Giorgio Raito, Alessandra Tomasello