Alla scoperta di Documenta 15
It’s more than an exhibition, it’s about friendship and change
Si è appena conclusa a Kassel una nuova edizione di Documenta 15, una delle più avanguardistiche esposizioni d’arte contemporanea al mondo. Si tratta di una mostra a carattere ricorrente che, dal 1955, viene riproposta ogni cinque anni a Kassel, nel pieno centro della Germania. Oltre a costituire una notevole vetrina per nuovi artisti, resta un importante momento di confronto su problematiche contemporanee ad ampio raggio.
Ma perché proprio Kassel? Città apparentemente avulsa dalle complesse dinamiche sottese al sistema dell’arte, rappresentava una delle principali industrie di armamenti durante il Terzo Reich e per questa ragione è stata quasi totalmente rasa al suolo durante la Seconda Guerra Mondiale. Ideatore di Documenta è stato Arnold Bode (1900-1977), artista ma soprattutto curatore ante litteram che, creando una mostra innovativa, intendeva reinserire la Germania all’interno delle dinamiche culturali internazionali, da cui era stata a lungo esclusa.
Nell’intenzione di configurare Documenta come un modello espositivo non canonico si cercò fin da subito di suggerire una lettura delle opere inscindibilmente legata alla matrice contestuale in cui erano state prodotte. Bode decise di discostarsi dall’abusata logica espositiva fondata su percorsi cronologici e assonanze formali, poiché intuiva che avrebbe impedito una profonda e consapevole esperienza dei diversi pubblici. Bandito ogni nazionalismo, rifiutando così il modello veneziano della Biennale, veniva privilegiata l’esposizione dei movimenti e soprattutto delle opere dei singoli artisti.
Le prime tre edizioni vengono giudicate anacronistiche perché, di fatto, erano finalizzate a recuperare un importante tassello mancante: l’arte astratta, giudicata degenerata dal nazismo. La Documenta IV del 1968, per via della situazione socio-politica contingente che parlava da sé, è stata la prima realmente contemporanea. La Documenta V del 1972 consacrerà la figura dell’exhibiton maker incarnata da Harald Szeemann; da questa edizione in avanti, per sua volontà la manifestazione avrebbe assunto le sembianze di una mostra tematica. Da ricordare poi la Documenta X del 1997, diretta per la prima volta da una donna, Catherine David che con Politics-Poetics si prefiggeva di indagare i complessi rapporti di decolonizzazione e globalizzazione allora in atto nel panorama artistico. Si è così gradualmente passati da un evento espositivo a un inedito dispositivo critico volto a sottolineare il potenziale politico dell’arte. Documenta XI viene affidata alla direzione di Okwui Enwezor, afrodiscendente di formazione americana che, avvalendosi della collaborazione di cinque curatori, tenta di dare un respiro globale all’evento. In questa occasione verrà messo in discussione il modello eurocentrico attraverso l’introduzione di cinque Platforms di lavoro “extraterritoriali”, luoghi di discussione e dibattito che anticipavano l’evento espositivo vero e proprio. Attraverso una rilettura delle relazioni tra centro periferia, il focus della undicesima edizione, verteva sulle vaste aree geopolitiche caratterizzate da complesse eredità postcoloniali. Documenta XII di Carolyn Christov-Bakargiev, riprendendo il sistema delle piattaforme, decentralizza in parte l’evento a Kabul, cercando di rendere il processo il più trasparente possibile. In questi due luoghi ,distanti 7.000 chilometri l’uno dall’altro, si provava a curare antiche e nuove cicatrici generate dalla guerra attraverso l’arte. Anche Documenta XIV Learning from Athens per volontà del direttore Adam Szymczyk, verrà in parte traslata ad Atene, nel pieno della crisi del sud del mondo. È stata un’operazione molto criticata perché la scelta di capitalizzare su un certo tipo di culture locali porta sempre con sé il rischio di lasciare solo macerie alle proprie spalle, fenomeno replicato anche con Manifesta, la Biennale europea itinerante d’arte contemporanea.
L’evento di quest’anno è caratterizzato da una curatela atipica, per la prima volta affidata ad un collettivo che si compone di pensatori, artisti e attivisti indonesiani, i Ruangrupa. Nato nel 2000 a Jakarta, il collettivo ha improntato il suo metodo di lavoro nel concetto cardine di lumbung, letteralmente “granaio di riso” dove l’intera comunità di un villaggio conserva tutti i raccolti scegliendo di gestirli comunitariamente, così da poter affrontare gli imprevisti che riserva il futuro. Dal 2013 Ruangrupa, insieme ad altri collettivi di Jakarta, ha però realizzato che nemmeno un collettivo può farcela da solo ed era quindi necessario prendere parte in modo propositivo a un contesto più esteso. Da qui è partito l’impulso alla creazione di diversi altri ecosistemi. Il primo è stato Gudskul, una piattaforma educativa informale nata nel 2018 dalla collaborazione di Ruangrupa con due altri collettivi, Serrum e Grafis Huru Hara. L’invito a curare Documenta ha rappresentato l’occasione per creare il secondo ecosistema, partendo dalle medesime premesse di condivisione del lumbung rivolto a pratiche, metodi e opere da svolgere collettivamente. Così da guest il collettivo è diventato host della quindicesima edizione dell’esposizione d’arte contemporanea più famosa al mondo.
Geraldina: È evidente il grande sforzo che avete fatto come collettivo per organizzare una mostra che non è del tutto fissa, dal momento che le esposizioni si alternano continuamente, con ritmi abbastanza incalzanti. Due membri del vostro collettivo hanno deciso spontaneamente di trasferirsi a Kassel già due anni fa, nel tentativo di costruire ponti che mettessero in comunicazione culture tanto diverse ed eterogenee. Pensate che l’edizione di quest’anno sia riuscita a coinvolgere pubblici diversi, oltre ai tedeschi che, come sempre, sono presenti?
Ruangrupa: Usare lo spazio con una prospettiva critica, per parlare di collettività e di arte, questo è il nostro scopo e non solo durante i cento giorni di Documenta. Abbiamo creato una rete composita per combinare le esigenze dei diversi collettivi coinvolti. Da Jakarta a Kassel, abbiamo cercato di completarci a vicenda; tutti sono ammessi, ognuno con le proprie peculiarità può portare qualcosa di buono alla comunità. Non si può vedere Documenta in due giorni, non è uno sport, è un’esperienza e soprattutto non è una mostra esclusiva perché abbiamo cercato di renderla davvero accessibile a tutti.
Geraldina: È come se dal grande libro di ricette, relativo a due città diametralmente opposte, mancassero alcune pagine e noi pubblico, avessimo la possibilità di creare una nuova ricetta partendo dagli strumenti che voi ci avete fornito.
Ruangrupa: È come se avessimo provato a mettere insieme il gatto selvatico e quello domestico. L’ecosistema di Kassel ha giovato di ogni nostro sforzo collettivo e per sforzo collettivo intendo venire qui e sperimentare questa realtà in prima persona, non solo installare un lavoro e andare via. Noi non siamo curatori.
L’approccio scelto da Documenta XV è di tipo interdisciplinare ed implica uno sviluppo lento e organico perché segue il ritmo spontaneo della vita sociale; non a caso l’elemento che contraddistingue la grafica di quest’anno sono delle coloratissime mani che si incrociano nei modi più disparati ed imprevedibili. Ruangrupa ha deciso far risuonare le diverse voci provenienti dai collettivi di tutto il mondo, mettendo in mostra opere, metodi e pratiche che costituiscono modelli virtuosi di condivisione attiva. Pur essendo presenti nelle diverse sedi espositive i media tradizionali, l’edizione di quest’anno prende la forma di una pratica processuale in costante divenire, attraverso lo sviluppo di un archivio che si rinnova quotidianamente, assecondando il ritmo delle mostre, che talvolta mutano forma ogni dieci giorni.
Quest’anno Documenta ha abbattuto i propri confini per allargarsi alle periferie non solo geografiche ma concettuali del mondo dell’arte e a tutta la complessità che contraddistingue il nostro ecosistema contemporaneo, “Because we can’t separate art from our lives”.
Ph Geraldina Albegiani.