Disambient: una dicotomia rincorsa
Si è inaugurato lo scorso 30 Giugno il primo progetto espositivo personale in Sicilia dell’artista palermitano Ignazio Mortellaro, contestualmente al grande opening di FUN e Farm a Favara presso il suggestivo Palazzo Piscopo. Mostra a cura dell’artista americana Lisa Wade con un testo di Salvatore Davì.
Spazio e tempo che si rincorrono in successione ciclica senza riuscire a incontrarsi in un’atmosfera di sospensione in cui l’artista tenta di generare una visione possibile o quanto meno di illustre un’eternità immobile, in evidente contrasto con la veloce e sempre cagionevole esistenza.
Ho posto alla curatrice Lisa Wade e all’artista Ignazio Mortellaro due domande in merito al progetto durante l’anteprima della mostra lo scorso 29 Giugno:
Lisa; In sicilia da NY, stavolta come curatrice! Dopo l’esperienza dello scorso anno per il progetto BOCS origini, ti sposti a Favara dove hai avuto l’ardire di mettere su casa. Come stai vivendo questo nuovo capitolo del tuo percorso d’artista?
Da quali suggestioni e da quali propositi nasce il progetto espositivo “Disambient” di Ignazio Mortellaro?
Dopo l’esperienza di NY adesso la Sicilia, dove mi trovo pienamente all’interno di fermenti creativi senza paragoni. Il vento del cambiamento soffia a Favara, città che sta vivendo una graduale rinascita che facilita la sperimentazione e le ricerche che prendono tante forme diverse. Promuovere artisti come curatrice è per me tanto naturale quanto proseguire il mio percorso artistico. Sono due binari paralleli e complementari. Un artista affermata, che adesso ha 90 anni e nonostante l’età è ancora molto attiva, una volta, mi ha detto: “un artista non deve cercare di circondarsi di galleristi, collezionisti e curatori. Un artista intelligente si circonda di altri artisti, nella culla della creatività; è così che nascono i progetti più interessanti. Gli artisti si danno sempre una mano.”
Dimmi Lisa: da quali suggestioni e da quali propositi nasce il progetto espositivo “Disambient” di Ignazio Mortellaro?
L’idea di lavorare seriamente con Ignazio Mortellaro è nata per caso, ci siamo trovati nello stesso volo per Venezia. Entrambi eravamo in fila per l’imbarco da Palermo; entrambi stavamo andando alla Biennale. Il destino ha voluto che i nostri posti fossero affiancati! (inimmaginabile, se considero che conosco solo tre persone a Palermo!). In verità seguo il suo lavoro da ormai due anni, con molta stima ed attenzione. Di recente ho avuto l’opportunità di avere uno spazio a disposizione per mettere su una mostra a Favara, in concomitanza con il mega opening di FUN e FARM, giorno 29 luglio. Ero entusiasta, ma costretta a costruire una mostra in soli 8 giorni; ovviamente con un artista che lavorasse in zona, ma con cui poter avere un impatto forte, diretto e secco, con un linguaggio e una ricerca approfondita. Avevo comunque l’idea di fare un progetto con Mortellaro, ma non pensavo che l’opportunità si potesse presentare così presto! Mortellaro ha risposto alla mia richiesta, in tempo record e con altrettanta professionalità, con un progetto molto serio ed elaborato. Ha confermato tutte le mie aspettative. La sua ricerca ha basi esoteriche che si confrontano con il tempo e lo spazio, elabora un’eleganza completa che si manifesta attraverso i disegni-fotogrammi, la scultura, le fotografie e la video installazione. “La pietra é ferma” rimane particolarmente impressa nella mente, un’allegoria bellissima di quanto è effimera la nostra vita e di quanto la realtà è legata al ciclo della natura che ci ospita, ma ci consuma, in quanto esseri umani.
La mostra di Mortellaro ha dato l’input per una nuova progettualità più ampia che vedrà coinvolti altri artisti; essa si presenta come il numero zero, un’anteprima dell’idea di una project room presso Favara con eventi brevi e incisivi. E’ significativo che questa mostra sia vista come il numero zero del progetto; il suo lavoro riguarda anche la negazione, ma lo “zero” resta sempre un valore numerico, una presenza nell’assenza.
Primo progetto espositivo personale in Sicilia per te, Ignazio! Come è andata? Hai scelto un luogo apparentemente decentrato (nonostante tu viva a Palermo). Come mai? Un’esigenza o una sfida?
Ho sempre considerato l’Arte come una necessità, la manifestazione di un pensiero. La caratteristica di questa necessità è il suo potere di declinarsi in forme multiple conservando al proprio interno una serie di invarianti logiche. L’equilibrio che si instaura tra luogo e forma della ricerca è un tema che mi interessa tantissimo. E’ per questo che scegliere un luogo lontano dai centri del sistema, e come luogo espositivo un piccolo spazio off, non fa altro che sottolineare la mia attitudine a restare periferico al mondo dei vernissage e prossimo invece alla natura delle cose, alle persone; in verità è una questione di vicinanza a me stesso. Un centro urbano di piccole dimensioni ha sempre una posizione di vantaggio rispetto all’area metropolitana, la fruizione delle gallerie, per lo più concentrata nel giorno dell’inaugurazione delle mostre, è sempre più somigliante alla frequentazione di un pub dove vai per incontrare amici e sorseggiare un cocktail con l’unica differenza che nel mentre si osservano distrattamente le opere del malcapitato artista. Quotidianamente vedo gallerie affannarsi per attrarre visitatori/collezionisti proponendo le più svariate formule come se l’arte non bastasse più ad interessare le persone. Io ho grande fiducia nella sensibilità dell’uomo e questa esperienza a Favara non ha fatto altro che confermare che non c’è nessuna sfida da affrontare, l’uomo messo di fronte ai temi universali è ancora partecipe, mente attiva e corpo sensibile. In questo periodo farei solo mostre che durano un giorno, in luoghi decentrati, ma la cui progettualità è strutturata ed il processo di costruzione solido.
Tempo e spazio, vita ed eternità. Sebrano queste le chiavi di volta del progetto “Disambient” non è così Ignazio?
Disambient nasce come esperimento, una mise en scène del principio di indeterminazione di Heisenberg, la perenne rincorsa di spazio e tempo, l’impossibile impresa di afferrarli contemporaneamente. Un gioco a tre in cui colui che è destinato a perdere sempre qualcosa è l’uomo. “Le leggi naturali non conducono quindi ad una completa determinazione di ciò che accade nello spazio e nel tempo; l’accadere (all’interno delle frequenze determinate per mezzo delle connessioni) è piuttosto rimesso al gioco del caso »(Über quantenmechanische Kinematik und Mechanik, Mathematische Annalen, 1926).
Ho deciso di esporre diversi lavori che utilizzano i medium più diversi, estratti da periodi diversi della mia ricerca per far comprendere come la traccia che disegna il pensiero, per quando invisibile, ha la forza potente ed inafferrabile della gravità.
Ho lavorato con le videoproiezioni ed il suono portando il ritmo del tempo a materializzarsi in tessiture che non hanno più scala ma che si muovono nello spazio, ho cercato quindi di fissare la luce su dei fogli conquistando nuove geografie ma trovando la sua assenza, ho portato un cuscino di cemento, una sindone solida, perché il sogno è l’unico luogo dove siamo geometri dello spazio, ci facciamo pietra, ma nel momento in cui affermiamo che la pietra è ferma non esprimiamo altro che un commento sul nostro movimento perdendo nuovamente i luoghi appena costruiti, i limiti che ci separano da tutto il resto. Vita ed eternità in questa corsa sono parole che perdono di senso, la vita evapora nel moto, l’eternità è sotterrata dallo spazio di rappresentazione.
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(1) Conservazione attraverso il granito, cemento, 46x32x20 cm.
(2) La pietà è ferma, ossidi minerali e pigmento naturale su carta, 12,8×17,5 cm con cornice.
(3) Le ore, videoinstallazione, 2010.
(4) Elogio dell’ombra, inchiostro su carta, 8×14 cm; 23×29 cm con vetro.