Fiction is action:
rigenerare è una cultura artigianale
Il libro frutto di riciclo non è un concetto recente. La certificazione FSC (Forest Stewardship Council), è una certificazione internazionale nata nel 1993, specifica per il settore forestale e i prodotti derivati da foreste gestite in modo corretto e responsabile secondo rigorosi standard ambientali, sociali ed economici.
La micro-editoria indipendente e in particolare quella che tratta il libro come oggetto d’arte ha da sempre reso motivo creativo lo stimolo del riutilizzo di materiali già in circolazione. Un esempio è il duo di graphic designers 5X LETTERPRESS che stampa con torchi antichi su “qualunque superficie inchiostrabile”.
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Altro esempio è quello di Libri Finti Clandestini, “un collettivo cosmopolita e beffardo” che crea libri, taccuini, diari di viaggio a partire dagli scarti: prove di stampa, sacchetti della spesa, carta di vario tipo, rifiutata, recuperata e riportata in vita.
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Indagare il peso del riciclo nel mondo editoriale restituisce un’immagine approssimativa ma indicativa dell’importanza di certi valori rigenerativi all’interno della cultura di riferimento. La produzione della domanda del libro cartaceo infatti è ancora prevalente rispetto a quella dell’e-book. Ma chi sa come si fa effettivamente un libro? Chi ci ha mai provato?
Un tipo di cultura che parte da un tipo di coltura – quella rigenerativa – sostiene che per rendere più consapevoli le persone su ciò che comporta il consumo di oggetti sia di fondamentale importanza la produzione artigianale stessa ad opera dei detti consumatori. È il settimo principio del Manifesto della Cultura Generativa, scritto da Gesualdo Busacca, antropologo (PhD Stanford, 2020), archeologo, traduttore, creativo e curatore editoriale calatino (CT) che abbiamo intervistato.
Non tutte le culture sono rigenerative, chiarisce Gesualdo, per esserlo devono rispettare alcuni parametri: essere “curative, non degenerative; relazionali e non antropocentriche; generative anziché paralizzanti”. Spesso questo tipo di pratiche culturali si trovano “tra le tradizioni di minoranza vissute tra le pieghe della cultura dominante”.
Un esempio pratico sono le editoriales cartoneras, un fenomeno di rigenerazione editoriale – ma non solo – avviato in Argentina nel 2003, anno di massima crisi economica per via della quale l’accattonaggio imperversava e una delle figure più diffuse era quella del/a cartonero/a, cioè chi recuperava il cartone usato e lo rivendeva per una cifra infima. Un gruppo di artisti ed editori ha avuto l’idea di avviare un ciclo virtuoso a partire proprio da questo materiale, pagando e coinvolgendo nella produzione editoriale non solo chi lo recuperava ma anche chi lo assemblava. L’idea ebbe un enorme successo e si diffuse in tutta l’America Latina.
Questo è un esempio di come la creatività porta a una rigenerazione dell’immaginario e così, potenzialmente, di molti settori del nostro quotidiano. “La pratica creativa è un laboratorio dell’immaginazione: permette di sperimentare nuove forme del reale, elaborare e criticare narrative dominanti, aumentare la fiducia nel nostro potere di cambiare le cose, creare spazi per la socializzazione” dichiara Gesualdo Busacca, che ha portato l’esempio pratico di quanto detto in ambito universitario.
All’interno del corso Ecological Humanities, presso la Scuola Superiore dell’Università degli Studi di Catania, Busacca ha condotto un laboratorio che aveva come scopo la creazione e rilegatura di un libro d’artista cartonero intitolato Jeu de nus, “gioco di nudi”. Ogni partecipante aveva portato un esempio di nudo appartenente alla storia dell’arte e l’ha rielaborato attraverso le tecniche del collage e del disegno, abbattendo l’aura sacrale che si accompagna alla disciplina e alla cultura del capolavoro e affrontando remore e pregiudizi intorno alla politica dei corpi, nell’applicazione fedele del motto Making is thinking.