Immagine latente, iconografia sacra
Liturgia dell’Immagine | Chiara Caredda
L’intimo incontro tra noi e i corpi vivi o inanimati che abitano il nostro quotidiano sta subendo, nel mondo contemporaneo, un lento e triste distacco. È subito questa la consapevolezza che mi giunge alla mente non appena Chiara Caredda (1992), artista visiva che risiede presso l’Isola di Sant’Antioco (SU), mi racconta il suo lavoro d’artista. Un lavoro analogico, manifatturiero, che ha a che fare in primis con il tocco, il gesto. Toccare un oggetto o un corpo ci fa riconoscere la sua esistenza, ma non solo, crea subito una distinzione identitaria tra la tua e la sua alterità, distinguendovi gli uni dagli altri. Siamo diversi poiché non siamo da soli, abbiamo cose – o persone – con cui misurarci. L’immagine analogica e il suo processo di creazione propone, a chi ne fruisce nella camera oscura, questo profondo collegamento – e dialogo – tra il gesto di creazione e la risposta fotografica che lentamente compare in quella carta sensibile, ai sali d’argento, adagiata nell’acqua.
La liturgia – dal greco – servizio (ἔργον) è una pratica ritualistica di matrice religiosa che affonda le sue radici nel mondo teologico antico. Liturgia era il servizio che, come popolo o comunità, si doveva offrire agli dei per venerare la loro sacralità. Nel corso dei secoli la liturgia assume forme, pratiche e declinazioni molto diverse. Essa può essere declinata, per definizione, in tutte quelle consuetudini che avvolgono il nostro fare quotidiano. Liturgia può essere l’iter mattutino di alzarsi dal letto a fare colazione o il percorso stradale che ci porta a lavoro. Il mondo dell’arte, con più precisione quello della fotografia, ne dispone moltissimi: dunque, la pratica artistica di Chiara Caredda si forma appunto nel luogo antichissimo ed originario della stessa fotografia, dove, attraverso meticolose liturgie l’immagine latente diventa, in camera oscura, la vera immagine fotografica.
La gestualità sacrale, l’offertorio visivo che Chiara crea in questo lavoro è una presa d’esistenza, una (ri)presa di coscienza su immagini preesistenti che assumono – con la sua pratica – una funzione d’immagine linguistico-didattica. Ricavando le immagini da vecchi manuali nozionistici di fotografia analogica, Caredda ritaglia immagini di liturgie analogiche, gesti sacrali e gestuali che succedono all’interno della camera oscura fatti di attese, temperature, rivelazioni e scoperte. Chi sia mai entrato nella camera oscura sa bene che il tempo, all’interno di questo luogo, è rarefatto ed esiste solo in condizione dell’immagine che si sta creando. E’ l’immagine che assume il ruolo di misurazione del tempo: è un oracolo che parla nella condizione di mostrarsi più o meno compiuto. Avvenuto il battesimo, in acqua e chimici, in una rivelazione che ci appare quasi sindonica, l’immagine si forma dinnanzi a noi, concludendo così il suo dialogo gestuale e temporale.
L’artista, attraverso questa estrazione figurativa da diversi manuali, la isola dal suo contesto creando effettivamente un’immagine altra, dove la sua funzione manualistica si trasforma in quello che effettivamente è il fine stesso del produrre analogico: formare un’immagine. Un ragionamento e un percorso che estrapolano linguisticamente la condizione prima della fotografia, ovvero il dialogo reale – e gestuale – che esiste all’interno della camera oscura, tra il fotografo e l’immagine. Come cita l’artista nel testo introduttivo del lavoro: “L’immagine, la fotografia, diventa oggetto da custodire, venerare, e come scrive Barthes ne La Camera Chiara “In latino «fotografia» potrebbe dirsi «imago lucis opera expressa»; ossia: immagine rivelata, «tirata fuori», «allestita», «spremuta» (come il succo di un limone) dall’azione della luce. E se la Fotografia appartenesse a un mondo che fosse ancora in qualche modo sensibile al mito, senz’altro si esulterebbe dianzi la ricchezza del simbolo: il corpo amato è immortalato dalla mediazione di un metallo prezioso: l’argento (monumento e lusso); e inoltre bisognerebbe aggiungere che questo metallo, come tutti i metalli dell’Alchimia, è vivo”.
Liturgia dell’immagine è un tentativo di congiungere il mondo teologico con quello della produzione analogica creando parallelismi che vanno a formare vere e proprie icone. E’ uno dei fini ultimi della sacralità, quello di creare icone – anche gestuali – che rimangono impresse nei secoli dei secoli. Ed è la corrispondenza meravigliosa che collega la Fotografia con il Sacro. Il restare.
Bio
Chiara Caredda (Carbonia, 1992) è una fotografa e artista visiva. È iscritta al corso di laurea in Beni Culturali e Spettacolo dell’UniCA a Cagliari. Nel 2020-21 ha partecipato come borsista al programma di alta formazione sull’immagine fotografica “Creare e Pensare la Fotografia”, organizzato da OCCHIO a Cagliari. Dal 2020 è nel direttivo di Ottovolante Sulcis APS per la quale cura esperienze didattiche in ambito fotografico. E’ curatrice della residenza artistica Fotosintesi – Arte Sostenibile. La sua pratica si focalizza sui meccanismi della memoria e del ricordo attraverso l’immagine. Utilizza diversi media, prediligendo l’utilizzo del collage analogico, il riutilizzo di immagini già esistenti e di varie tecniche off-camera e di stampa in camera oscura.