Editoriale

VADO FUORI A (S)FUMARE

 

Non sopporto niente e nessuno.
Neanche me stesso. Soprattutto me stesso.
Solo una cosa sopporto.
La sfumatura.
 (Maestro Mimmo Repetto)

 

Ci sono opere che a distanza di secoli dalla loro creazione, vengono ancora ricordate, studiate, analizzate e discusse. Tutto ciò non avviene esclusivamente per la loro indiscutibile bellezza e per il fascino trasmesso, bensì per le scatole di significati che rappresentano. Infatti se da un lato vi è l’oggettiva bellezza artistica –difficilmente colta e considerata– dall’altro vi è la possibilità di uscire leggermente, senza allontanarsi troppo, dai binari dell’interpretazione del significato che le grandi opere storiche conservano al loro interno. È proprio in quel punto –nuova coordinata nata dal leggero distacco dalla già consolidata interpretazione– che prende vita la nuova arte, ricca a sua volta di nuovi significati e immagini ricollegabili alla precedente natura, ma consapevole del modo e del momento in cui nasce: da una sfumatura.

Il giudizio di Paride è l’opera dell’artista ragusano Mattia Virdieri (1997), realizzata nel 2022 e basata sul celebre episodio della mitologia greca. In quest’ultimo le tre dee Era, Atena e Afrodite vengono accompagnate da Ermes al cospetto di Paride –futuro principe di Troia, considerato da Zeus il più bello dei mortali– affinché potesse decretare chi fra loro fosse la dea più bella. La vicenda in questione nasce dal famoso lancio della mela d’oro da parte di Eris, dea della discordia, che proprio sul frutto incise la frase “alla più bella” per instaurare un contrasto fra le dee.

L’opera di Virdieri, dissacrante e ironica, riproduce un antico scenario armonico, puro e poetico, con uno stile tipico da cessi dell’autogrill. Di fatti la tecnica che l’artista utilizza è grezza, irregolare, connotata proprio dall’errore tecnico voluto ed evidenziato, come nei casi in cui le linee si interrompono per fondersi a quelle di un’altra figura o come nel caso del colore che invade zone che non gli appartengono. Una tecnica infantile accuratamente scelta e adoperata per conferire alla scena immediatezza e paradosso. Di fatti la mitologia greca è già qualcosa di assurdo e stravagante, ma avvolta da un’eleganza e da una poetica conferitegli dal tempo e dai significati intrinsechi che con l’evolversi della società, con il cambiamento di valori che ne consegue dall’evoluzione, cambiano il loro modo di essere interpretati.

Spesso avremo sentito dire che la conoscenza della mitologia aiutasse a comprendere fenomeni della vita di tutti e che servisse ad apprendere molte delle emozioni e dei sentimenti umani, eppure l’opera di Virdieri, che dalla mitologia riporta il nome dell’opera e un apparente impianto compositivo, non vuol dire apparentemente nulla. Se il mito del giudizio di Paride è possibile interpretarlo come un fenomeno che racchiude in sé emozioni come l’invidia, la gelosia e la sfida per il corteggiamento, l’opera di Virdieri non ha nulla a che fare con tutto ciò, ma va riletta sotto nuovi aspetti appartenenti ai dettami della società contemporanea.

L’opera in esame è composta da quattro personaggi antropomorfi e dal viso di un enorme e molesto Pluto al centro della composizione e al di sotto di tutte le figure. Al centro, con il pene in vista e intento a urinare sulla testa di Pluto, vi è Ermes, l’unica figura maschile dell’opera, ma che in viso per via del trucco e del rossetto, appare effeminato e in netto contrasto con il resto della composizione anatomica. Sulla sinistra ritroviamo Era e Atena, private della loro originaria bellezza e ridotte a corpi orrendi e deformi, in cui alcune parti del corpo abbandonano del tutto l’essenza umana. Poiché nel mito greco queste due dee non vengono definite come le dee più belle, Virdieri le trasforma quasi in mostri orripilanti e fuoriusciti da qualche strano fumetto. Afrodite, la dea scelta da Paride come la più bella delle tre, viene qui raffigurata in un corpo androgino con la parvenza di un seno femminile e con i peli di un uomo sul petto. La sensualità e l’erotismo della dea vengono trasmesse tramite indumenti intimi, labbra pronunciate e da un viso misterioso visibile a tratti, mentre intenta nel farsi osservare, Pluto nonché Paride, la adocchia con sguardo molesto.

È evidente che il lavoro di Virdieri ruoti attorno alla sessualità, ma abbracciando temi attualissimi sul genere e sull’identità di genere, distaccandosi dall’esclusiva narrazione mitologica.

Il nome dell’opera richiama la mitologia e diventa parte integrante del nuovo processo interpretativo, in cui le emozioni e i caratteri dei personaggi vengono messi da parte per fare spazio a tematiche contemporanee alle quali è il vecchio mito ad adattarsi.

È cosi che nasce l’arte incompresa, spesso disprezzata e ripudiata, ma che è realmente consapevole della sua natura e che riesce ad ottenere consistenza di significato partendo da una sfumatura.

 

 

BIO

Mattia Virdieri nasce a Ragusa nel 1997. Nel 2021 consegue il Diploma di Secondo Livello in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Palermo. Nel 2022 realizza la sua prima personale “The Chump Champ” presso l’artist run space Parentesitonde di Palermo.