Il gioco delle contaminazioni
stratificazioni di vissuti
Allestita presso la Galleria Massimo Ligreggi di Catania, la collettiva Contaminazione (visitabile fino al 25 marzo) offre al pubblico un’opportunità unica, un’occasione irripetibile di ammirare le opere di quegli artisti già protagonisti nello spazio catanese di precedenti esposizioni, insieme a quelle che, nei mesi a venire, saranno svelate per la prima volta. Curata da Giulia Papa, la quale ha voluto creare un dialogo aperto e circolare, con l’intento di chiamare in causa ogni tipo di pubblico, la mostra presenta creazioni inedite. Sono opere che gli artisti hanno donato alla galleria, da poco esposte ad Artissima, la prestigiosa fiera internazionale di arte contemporanea di Torino.
A prendere parte a questa esperienza sono Tuda Muda, Silvia Camporesi, Tomas Kaszas, Paolo Parisi, Giuseppe Lana, Fabrice Bernasconi Borzì, Andreas Fogarasi e Ivan Terranova, nove artisti che, nonostante si esprimano attraverso medium e linguaggi diversi, portano avanti uno stesso obiettivo: raccontare attraverso le loro opere delle storie. Sono racconti visivi che nascono da esperienze intime, da tutto quello che ha contaminato gli artisti.
Intrecci artistici
Partendo dal concetto di Contaminazione, la collettiva si svela come una rete di intrecci, l’incontro e la fusione di diverse espressioni artistiche, mondi poetici e linguaggi che si stratificano in uno spazio unitario e armonico, in cui a dominare è un processo di interazione tra il luogo, dell’arte e il visitatore, un gioco continuo di riflessi e scambi. Al centro di questo movimento si trova la galleria, che nell’immaginario comune è un contenitore che ospita, presenta e vende le opere. Tuttavia, andando oltre questa visione convenzionale, la mostra mira a far emergere dell’altra verità: quella di un ambiente dinamico e vivo, in cui la contaminazione trova il suo apice nel confronto e nell’incrocio di diversi mondi personali. Qui si assiste alla fusione di soggetti diversi che si confrontano e collaborano, che tendono a rivelare esperienze emozionali e sensoriali che coinvolgono il visitatore, la sua vista, il suo cuore e la sua anima.
Una volta immersi in questo spazio, dove le opere si fanno racconto di esperienze individuali, segni visibili di linguaggi invisibili e paesaggi dell’intimità che hanno portato alla genesi delle opere d’arte, si attiva un ulteriore processo di contaminazione: Il visitatore, assorbendo i vari universi artistici, le influenze e le emozioni degli artisti, diventa parte di un movimento più grande, un agente contaminato che, come una spugna, raccoglie mondi e li trasforma nel proprio bagaglio, in vissuti intimi. In questo scambio, il mondo dell’artista e quello del visitatore si intrecciano, diventando uno solo, un universo condiviso, dove ogni frammento di realtà si fonde in un abbraccio che non ha barriere.
La mostra
Segnato da una limpida luce, lo spazio bianco, essenziale e pulito della galleria offre l’immagine di un terreno fertile, di un giardino di opere che si fanno portavoce di significati intimi. Come l’humus arricchisce la terra, le opere esposte in questo spazio, segnato da mondi differenti che si incrociano, si incontrano e si sovrappongono in un gioco di stratificazioni, rendono vibrante l’asetticità e la semplicità della galleria, nonché contribuiscono a rendere unico e prezioso l’ambiente. Ogni artista, infatti, attingendo alla propria esperienza, facendosi contaminare da quest’ultima, crea delle opere che sono racconti intimi, vissuti interiori che si concretizzano e prendono forma attraverso medium differenti.
Laureata in filosofia, il medium usato da Silvia Camporesi è la fotografia, strumento attraverso il quale crea dei racconti ispirati al mito, alla religione, alla vita reale. Alta Italiae, Sogni – Porlezza, opera presentata dall’artista alla collettiva catanese, pone al centro l’intreccio di diverse tecniche, la fotografia e il Kirigami. Partendo da due fotografie, che puntano al rigore e alla simmetria, incorniciate da due cornici bianche che formano un angolo di 90°, l’artista vuole dare voce a quei luoghi dimenticati e abbandonati, a quegli ambienti che hanno perso la voce, intrisi di storia e umanità. Incrociando riflessioni artistiche e filosofiche, le sue opere riflettono sull’identità della penisola, e pongono in rilievo l’anima del paesaggio italiano, i suoi spazi decadenti e intrisi di vita nascosta. L’artista, però, va oltre il medium fotografico, la cura e la dedizione per le forme, dando un ulteriore significato alle sue opere mediante il ricorso della tecnica giapponese del Kirigami, con la quale crea delle forme geometriche, dei moduli tagliati e piegati che danno un grande respiro tridimensionale alle fotografie. I tagli nella carta si fanno portavoce di nuova vita, di una nuova opportunità di rinascita: riflettono sull’idea che la bellezza può emergere anche nel degrado più assordante. In particolare, in Sogni, il disegno creato dall’artista è una piramide di gradini, metafora della vita e dell’esperienza umana, del cammino che l’uomo deve percorrere per arrivare a realizzare, con fatica e dedizione, i suoi obiettivi, le sue passioni e, come ci svela lo stesso titolo dell’opera, i propri sogni.
Anche Ivan Terranova, amante della musica e delle arti visive, si affida alla fotografia. Tuttavia, ricorre a questo medium come mezzo per raccontare mondi tra il tangibile e l’invisibile, per narrare le sue esperienze personali, dove ad emergere è la leggenda e il rapporto con la natura. Alla collettiva catanese, presenta Sant’Umberto (2024), un’immagine che prende forma su carta museo, un materiale che non solo conserva, ma amplifica la bellezza dell’opera. L’artista, immerso nella suggestione delle leggende, ha vagato nel cuore del bosco, dove il silenzio della natura gli ha svelato uno scenario carico di sacralità. Qui, in questo angolo di mondo, ha trovato la sua storia, un racconto che intreccia l’infinito della natura con il mistero del mito, conducendoci in un viaggio senza tempo.
La fotografia che ci dona è un’intima epifania, un’apertura verso un orizzonte trascendente. Con il suo linguaggio visivo, l’artista ci porta a varcare una soglia sacra, facendoci riscoprire una delle storie più affascinanti della tradizione cristiana, quella di Sant’Umberto, il cacciatore che, nel giorno del Venerdì Santo, incontrò una visione che avrebbe cambiato per sempre la sua esistenza umana: un crocifisso che risplendeva tra le corna di un cervo, simbolo del cammino di redenzione, lo spingeva ad abbandonare la sua vita passata e a dedicarsi al cristianesimo. Come una visione mistica, l’immagine presenta un’apparizione che sfiora l’invisibile, in cui la luce proviene dalla sinistra sussurrare quasi la presenza di Dio nell’oscurità, l’eternità nelle tenebre. Da questa ombra, due corna di cervo emergono, come testimoni di un cammino interiore, dove l’ombra non è solo buio, ma silenzio che svela segreti nascosti. La luce e l’oscurità danzano insieme, protagoniste di un gioco eterno che rimanda a un profondo significato spirituale.
Andando oltre il medium fotografico, il lavoro artistico di Fabrice Bernasconi Borzì è influenzato dai materiali industriali, al centro del quale pone le sue radici italo – svizzere. L’appartenenza a questi due mondi diversi è espressa attraverso opere precarie e fragili, dalle forme semplici e minimaliste. In Self Potrait, in cui la pesantezza del metallo si fa leggerezza, l’artista gioca la carta della figura retorica della sinestesia, facendo dunque leva sui sensi: nel caso del legno che evoca il caldo e del metallo che richiama il freddo, siamo di fronte a una danza sensoriale, a un abbraccio tra l’anima del materiale e il cuore delle sensazioni. Il legno, con la sua essenza naturale, che sembra conservare il respiro del fuoco, richiama la Svizzera, dove ha un valore profondo, mentre il metallo, con la sua freddezza lucente, richiama l’Italia, dove è simbolo di tradizione, innovazione e di una continua evoluzione, come la penisola stessa.
Andreas Fogarasi, artista di origini viennesi e vincitore nel 2007 del Leone d’Oro per il Miglior Padiglione Nazionale della Biennale di Venezia, guarda alla città, ai suoi codici di rappresentazione, ed è influenzato dal carattere sociale dell’universo urbano. Portando avanti un interereste semiologico, sociologico e antropologico, le sue opere sono delle vere e proprie mappature, delle sculture – documento. Da una parte si presentano nella loro forma tridimensionale, visibili in tutti i lati, dall’altra sono testimonianze di luoghi dimenticati, di cui ne racconta la storia. Fogarasi con le sue opere crea dei ritratti astratti, dei veri e propri pacchi di materiali. Sono dei frammenti materici, delle piastrelle, legati tra di loro da fasce di ferro, che si fanno portavoce di quei luoghi storici in attesa di essere valorizzati o che presto verranno distrutti. Alla collettiva Contaminazione, l’artista presenta Turin Stipped (Storia Futuro Arte Moda Gusto Giardini), in cui le linee semplici del minimalismo si intersecano con i significati mentali del concettualismo. Realizzata con la sovrapposizione di due mattonelle, legate tra di loro attraverso un filo metallico, prelevati da una terrazza torinese, l’opera ci conduce all’interno di un universo semplice, fatto di forme geometriche essenziali e pure, prive di qualsiasi decorativismo e barocchismo. La sobrietà è data anche dai moduli quadrati che emergono fuori dalla sovrapposizione dei due materiali, che mette in evidenza ancora di più la portata neutrale della composizione, emersa anche nei pochi colori presenti. Una semplicità, quella dell’opera di Fogorasi, che si fa promotore di significati che coinvolgono l’occhio, i sensi, l’intelletto.