Live Works Summit 2022
Il margine come spazio di lavoro
Centrale Fies è il centro di ricerca per le pratiche performative contemporanee di Dro (Trento). Si trova all’interno di una centrale idroelettrica di inizio novecento, in parte ancora attiva. La particolarità dell’edificio è che performa sé stesso come un castello. Il motivo originario era mascherare la sua funzione, sfuggendo così ai bombardamenti nemici. La suggestione attuale è che funga da emblema di un’ontologia contemporanea, che non può fare a meno di coincidere con una continua metamorfosi.
Il confine tra uno stato e l’altro, tra una forma e l’altra è motivo di indagine della performance così come è intesa da Live Works – Free school of performance, a cura di Barbara Boninsegna e di Simone Frangi, che quest’anno è giunta alla decima edizione.
Il progetto si struttura in un ciclo di residenze dedicate a progetti che intendono la performance «come uno spazio di lavoro, strumento ed esercizio culturale». La selezione dell3 partecipanti è stata condotta con un’attenzione particolare all’ibridazione della ricerca, a sottolineare «la natura di apertura e fluidità del performativo, la sua implicazione sociale e politica e la sua intellegibilità pubblica».
Il momento di restituzione al pubblico del lavoro condotto in residenza lo scorso anno è coinciso con un Summit di tre giornate (1-2-3 luglio 2022), delle quali sono state co-protagoniste le performance di alcuni ospiti nazionali e internazionali quali Philippe Quesne (1 luglio), Omar Souleyman (2 luglio) e Giulia Crispiani E ALOK (3 luglio). Quesne ha aperto il primo giorno con la sua Farm Fatale, un esperimento che unisce il microcosmo della fattoria con l’universo del dialogo filosofico. Souleyman ha coinvolto l’intero corpo del pubblico nella danza, al ritmo del suo quarto album in studio, Shlon. Crispiani ha dato corpo al sentimento con la lettura condivisa di una lettera d’amore. ALOK ha condiviso un diario corporeo, la cui schiettezza e intimità lo rende una guida post-apocalittica sulla sopravvivenza del corpo – inteso come partecipe dell’anima – alla catastrofe sociale.
Nel corso degli anni, i confini della performance e del concetto plurale di corpo che ne costituisce il medium imprescindibile sono stati indagati e allargati dagli studi del centro di ricerca, anche nell’ambito di un ampliamento dell’accessibilità alle pratiche stesse. Dallo scorso anno infatti, Centrale Fies ha indirizzato la sua linea di azione verso l’agevolazione dell’entrata nel mondo delle arti performative dell3 artist3 razializzat3 italian3, appartenenti a minoranze etniche o con background migratorio. Pensata con la collaborazione di Razzismo Brutta Stoia e di Black History Month Florence, la Agitu Ideo Gudeta Fellowship è nata dalla necessità condivisa di un’azione diretta nell’ottica di una smobilitazione delle barriere strutturali concrete che limitano il mondo dell’arte e non solo. Quest’anno la borsa di studio, a cura di Barbara Boninsegna, Simone Frangi, Mackda Ghebremariam Tesfaù e Justin Randolph Thompson, è stata vinta da Soukaina Abrour.
Balloon Project ha partecipato in quanto spettatore al secondo giorno del Live Works Summit (2 luglio). Ad introdurre la giornata è stata la performance di Selin Davasse, divisa sui tre giorni, identificati ognuno da un animale non umano tanto incline all’adattamento quanto bistrattato dall’uomo: il lupo, il piccione e la formica. La cornice di narrazione entro cui ognuno di questi animali prende la parola è una narrazione anti-autoritaria che si svolge in un futuro che lo spettatore si trova a vivere dopo il 2023. La comunità multispecie deterritorializzata, denomita Molteplicità dell’Asia Minore (MAM) è organizzata in modo anti-autoritario e anti-patriarcale, in chiara opposizione al governo che l’ha preceduta. Tale modello istituzionale è incarnato dall’intima narrazione che il funzionario statale, detto MAMMY, riserva agli spettatori i quali, due per volta, discendono in un’architettura che li accoglie come un grembo materno. Qui il MAMMY, con un atteggiamento da madre surrogata, affida il suo racconto animalesco al calore, al tatto, al suono e allo sguardo diretto, dando la possibilità ai suoi ospiti di scegliere la lingua (italiano o inglese) a cui si sentono più affini. Come una madre, il funzionario rivela la verità – seppur dolorosa – all3 suo3 figli3. Il discorso del piccione è una rivelazione sul disgusto che l’uomo prova nei suoi confronti. Il ribrezzo nei confronti di questa creatura non è altro che il riflesso di quello che l’essere umano prova nei confronti delle conseguenze dell’inquinamento che lui stesso produce. Lo sguardo penoso con cui gli umani guardano l’insistenza dei piccioni monchi e malati a sopravvivere è ricambiato dallo stesso volatile che commisera la depravazione con cui l’uomo continua a inquinare sé stesso e l’intero ecosistema mondiale.
Riemersi dall’utero, nel contesto ameno del parco, popolato da creature non umane non contemplabili in contesti urbani, Patricia MacCormack, Professoressa di Filosofia Continentale presso l’Anglia Ruskin University di Cambridge, ha tenuto una lecture che argomentava il tradimento di specie come punto di partenza dell’etica umana. Nella sua teoria, l’attivismo animalista si articola nel diritto alla self-death, nella visione dell’estasi come incontro di esseri umani non umani, incrociando le teorie queer in particolare nel concetto di mostruosità: crocevia fondamentale delle pratiche volte a decostruire l’idea sterile di normalità.
Labyrinth riders in disremembering Atlantis inizia con la manipolazione da parte di Vanja Smiljanic, di un globo labirintico composto dall’incastro di tre parti/dimensioni della realtà. Lo strumento, definito Past life therapy machine, permette di rompere la linearità del tempo in tre punti, rappresentati da tre personaggi non umani che, in un video, vengono interpellati da un funzionario terrestre, incaricato di validarne – o meno – il permesso di soggiorno sul pianeta. I tre personaggi sono infatti sopravvissuti all’inabissamento di Atlantide. Dalle interviste emerge una chiara discordanza valoriale tra intervistatore e intervistato: si raffrontano utilità e poesia, funzionalità e vitalità. L’artista chiude il pessimo bilancio a favore della comunicazione avvenuta con un tentativo di riequilibro futuribile. Oppone all’identikit istituzionale fornito dalle domande, un ritratto ad acquerello di ciascun personaggio intervistato, colorato e naif quanto quello di un bambino.
Clementine Edwards e Ada M. Patterson operano un dialogo intimo tra due specie in via di sparizione, a causa del cambiamento climatico: la falena bogong e la stella marina. A Moth Upon a Star costituisce una fusione tra la disillusione delle strategie di sopravvivenza al desiderio di tentare ancora di (ri)costruire un futuro interspecie. La performance si articola nell’estensione della parola poetica alla danza e al canto, passando dall’ode al requiem sullo sfondo dell’ambiente che tutto unisce, restituito dalle immagini in movimento che fanno da sfondo ai corpi dell3 artist3.
Fuck Moon, Bless Clouds è un canto d’amore scaturito dall’ombra e a lei dedicato. Nel suo regno, dove tutto è trepidante e in perenne trasformazione, un’enclave di paria, ostracizzati dalla società moderna è quella incarnata da Joanni Baumgartner, la cui pratica intreccia storie anti-coloniali, anti-capitaliste e queer-femministe in prospettive di accessibilità future e praticabili. La performance prende spunto dalla storica “professione” dei link-boys, portatori di torcia, che all’inizio dell’era moderna venivano pagati per illuminare le strade notturne. L’economia dell’ombra – con tutta la sua carica potenziale e indefinibile – comportava la promiscuità della loro reputazione nell’ottica dei membri della società della luce della ragione e del gas. Così la loro attività si andò estendendo oltre i confini del buoncostume, dell’eterosessualità dominante e della legge contrattuale. La pratica comportava infatti la possibilità di rapporti sessuali così come dell’imboscata del cliente, in un’etica che rispondeva solo alle condizioni di esclusività, derivata dall’esclusione, della comunità ostracizzata. La luce che simboleggia è che dà vita all’enclave dell’ombra è quella in between per eccellenza, quella del fuoco: tra naturale e artificiale, metafora di un eros a ratti indomabile e, allo stesso tempo, autentico e quindi estremamente raro.
Tutti i lavori argomentano l’eccedere in quanto pratica creativa, in mimesi autentica della metamorfosi che caratterizza la natura, la cui etica comportamentale, la sua legge principale, è quella dell’interazione.
In copertina: Philippe Quesne, Farm Fatale. Ph Alessandro-Sala.