Do judge a book by its cover, please!
Delle assonanze della moda con il mondo dell’arte potremmo scrivere un numero intero e non essere soddisfatti. Tra i ‘featuring’ che entrambi i settori hanno composto con l’editoria, alcuni sono diventati dei grandi masterpiece. La moda ha duettato fin dall’Ottocento con riviste e testate, quasi da chiedersi se la periodicità dell’uno abbia poi influenzato l’altra.
Saul Marcadent nel suo ormai classico Editoria come curatela racconta come la realizzazione di un issue (soprattutto se si parla di fashion magazine) sia sempre più simile all’allestimento di una mostra: in un sampling o in una cover, la moda mutua dall’arte la sua capacità di comunicare (e forse arriva a perfezionarla!) e di mandare un messaggio, con una sola eccezione: judge a book by its cover, please!
Non è necessario scavare troppo a fondo: la superficie è trasparente, le cover sono dei veri e propri manifesti (o maintrack) di un messaggio specifico. Prima dell’avvento delle Top Model, erano i top artist a dettare il marchio comunicativo.
Successivamente la fotografia è riuscita a svincolarsi dall’accusa di essere semplice documentazione del suo corrispettivo reale e si è immersa in mondi fantastici, supportata dai costumi avanguardisti che solo la moda poteva servirle. I magazine hanno risvegliato i più grandi fotografi, lasciandoci dei servizi impossibili da masterizzare.
Oggi, una cover come riesce a distinguersi da una semplice immagine?
Le copertine hanno iniziato ad essere pensate come veri progetti e non come semplici immagini, manifesti di movimenti (di persone, di idee, di costumi) individuali e non. Ogni copertina è concepita da una linea editoriale comune.
Visionaire (annuale one of a kind) partì con il primo numero nel 1991 alla libreria Rizzoli di New York a soli 10$ per arrivare già all’anno successivo con un’edizione stampata su plexiglas venduto su Ebay per 900$. Nel 2007 la vendita della rivista era accompagnata da un registratore per vinili e un disco con one-minute tracks edito da David Bowie. Poco dopo la vendita prevedeva un’edizione della rivista alta 2 metri al costo di 1.500$. Infine, il numero curato da John Baldessari venne venduto a 325$.
Al costoso Visionaire si possono aggiungere gli esempi dell’issue di gennaio 2020 a costo zero perchè le cover furono realizzate senza ricorso a costosi shooting, semplicemente coinvolgendo gli artisti. Emanuele Farneti commissionò a ciascuno dei sette artisti il compito di raccontare un abito attraverso l’illustrazione.
E ancora, il white issue dell’aprile 2020, a cura di Valentina Ciarallo, con il contributo di 49 artisti. Gli interventi sono stati realizzati sulla copertina bianca del magazine che si è fatto contenitore per l’occasione, un’opera d’arte da guardare e non più sfogliare, racconti visivi ed emozionali della propria condizione (Flavio Favelli spara alla rivista, Sissi ne fa un prezioso ricamo, Arienti la trafora). Ad oggi su Ebay i prezzi sfiorano il migliaio di dollari per issue.
Senza dimenticare che a settembre Vanity Fair ha svelato la sua prima operazione in Nft presentando in copertina Elodie. Rielaborata e realizzata tecnicamente dal team della start-up Valuart,l’immagine della cantante è stata trasformata in un bene digitale. L’opera è stata venduta per 25.000$.
Abbiamo chiesto a Saul Marcadent quali possano essere gli sviluppi dopo la crisi che stiamo vivendo.
“Gli autori e i gruppi di lavoro più audaci oggi sono quelli che si interrogano costantemente su cosa può essere una rivista stampata indipendente. In direzione di una serena e necessaria integrazione tra le possibilità del digitale, la ricerca sui processi di stampa, l’individuazione di nuove forme di narrazione scritte e visive e nuove forme di intimità con il lettore. E penso alla prima copertina di Purple Prose (autunno 1992), con una foto di Jeanne Dunning e la direzione artistica di Claude Closky, in cui una persona (di cui l’identità, il genere e l’età non sono rivelati) è ritratta di spalle. Attraverso questo gesto minimo, il magazine infrange la consuetudine di un volto, spesso conosciuto, che caratterizza le riviste di moda e dà il via a una delle esperienze editoriali più avventurose e significative degli ultimi trent’anni”.
so yes, judge a magazine by its cover!