Auratica
Il rito collettivo del respiro
Il 4 marzo Spazio Volta ha inaugurato Auratica, installazione scultorea di carattere pittorico e sonoro, nata dalla prima collaborazione tra la coppia di artistə Giuditta Vettese e Oliviero Fiorenzi, curata da Edoardo De Cobelli con il contributo testuale di Giada Olivotto.
Dalle vetrine di Spazio Volta a Bergamo si scorgono le cinque vele di chiffon di seta dipinte a quattro mani che terminano con delle campane tubolari. La sensazione è quella di stare guardando un paesaggio sospeso. Entrando le sensazioni si fanno reali: la seta leggerissima e trasparente che si muove ad ogni spostamento d’aria e il suono delle campane prodotto dall’azione dellə visitatorə, ci trasportano in una dimensione altra rispetto a quella in cui ci trovavamo pochi istanti prima.
Giada Olivotto, nel suo testo critico per Auratica ci parla di creature, del ventre della madre e di linguaggi d’amore. Nel suo racconto, non si sa se riconoscere una fiaba, un mito ancestrale o solamente una dedica. A chi? A noi che guardiamo, allə artistə, alle opere?
Ed è proprio questa stratificazione narrativa a caratterizzare le opere di Auratica, attraverso la sovrapposizione di simboli e linguaggi che, anche se eterogenei, sembrano avere tutti la stessa matrice.
Il titolo stesso, Auratica, ci svela l’origine: sviluppo della radice “aura” (DA “AER”, ARIA) fa riferimento a una dimensione spirituale in cui il vento e il suono, intesi come respiro e manifestazione di una presenza, sono in molte culture interpretati come il segno stesso della vita o l’essenza dell’anima, il legame metafisico che collega l’Universo o la manifestazione della divinità.
Giuditta Vettese e Oliviero Fiorenzi indagano insieme il legame tra respiro e anima su un piano antropologico e ontologico, a partire da una relazione a livello etimologico: anima, dal greco “anemos” significa vento e il termine spirituale, dal latino “spirare” cioè respirare. Il concetto di respiro, di soffio vitale, come unione tra corpo e anima fa da perno all’intera ricerca.
Questa connessione viene attivata dal suono delle campane che, attraverso l’azione dellə visitatorə, diventa celebrazione di un rito collettivo. Il rito, nella sua laicità e nella condivisione, è di fatto un aspetto essenziale nell’opera. Rappresenta l’atto della connessione, quella stessa condizione in cui ci trasportano Giuditta e Oliviero e alla quale ci chiedono di partecipare, attivando così la componente di scambio propria dell’atto rituale.
Questa dimensione è fondamentale anche per il concepimento dell’opera stessa. In un mondo frenetico, in cui ci viene richiesto di essere sempre più performanti e onnipresenti, lə artistə hanno ritagliato uno spazio dedicato alla creazione, che concedesse il giusto tempo e spazio alla creatività e al dialogo.
“Il lavoro nasce a Pontremoli in un luogo che è un rifugio, un ritrovo dove connettersi, influenzarsi. Non sarebbe potuto nascere altrove anche perché è un lavoro intimo, strettamente legato al tema dell’amore (il nostro), dell’incontro e del dialogo attraverso una forma di creazione condivisa.”
Quello scambio di cui ci parlano lə artstə, e che ha dato vita ad Auratica, è una pratica che caratterizza totalmente il processo:
“Uno ha l’idea che sia più rassicurante avere un progetto; quindi, siamo partiti elaborando uno studio cromatico e dei disegni ben definiti, ma poi i primi esperimenti con questa progettazione così rigida sono risultati abbastanza fallimentari, per cui abbiamo capito che era meglio andare d’istinto e usare piuttosto il dialogo tra noi due, mantenendo solo lo studio delle cromie.”
Ci guidano nella lettura dell’installazione dei simboli, segni grafici tracciati con del pigmento su ciascuna vela, ognuna il proprio. I simboli sono anch’essi spontanei, ma ci viene messa a disposizione la loro traduzione letterale: sorriso – luce calma – visione; abbraccio – città nostra; folgore – concentrazione – incontro; respiro – rifugio; animale d’anima – pelle – mondo.
Questi simboli ci orientano in un paesaggio che è la restituzione di un’intimità, la quale attraverso lo scambio si fa rito collettivo, diventa lettera d’amore. Dedicata a chi? A noi che guardiamo? allə artistə? Alle opere?
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