APPESI ALLA LUNA
The Zen Circus
The Zen Circus ritornano in terra sicula con il videoclip “Appesi alla luna”. Dai paesaggi lavici dell’Etna ai giardini di Villa Bellini del singolo “Catene” del 2018, questa volta fa da scenografia l’affascinante architettura tardo-barocca del Monastero dei Benedettini di San Nicolò l’Arena.
Scrive il co-regista Giovanni Tomaselli: «Volevamo un luogo che apparisse imponente, sontuoso, austero ma che, al contempo, fosse inserito in un contesto contemporaneo. Un luogo che fosse anche co-protagonista della narrazione più che semplice location». Il Monastero dei Benedettini presenta queste forti connessioni fra passato e presente, grazie al recupero condotto dall’architetto genovese Giancarlo De Carlo. Lo stesso anticonformismo lo ritroviamo nella band pisana: nei loro testi ci sono storie di vita che raccontano i nostri tempi, densi e personali.
The Zen Circus sono tra i protagonisti del folk e del punk, un punto di rifermento per la scena musicale indipendente italiana, tanto da ricevere un prestigioso riconoscimento il “Premio Mei” 2018 per la loro carriera ventennale, all’insegna della coerenza e della continua ricerca di qualità musicale e testuale.
Il singolo “Appesi alla luna” nasce dalla collaborazione tra i Ground’s Orange e Cinepila, due collettivi catanesi attivi nel panorama del videoclip italiano. Si tratta di un lavoro coadiuvato da due registi: Zavvo Nicolosi e Giovanni Tomaselli. Quest’ultimo aggiunge: «da tempo volevamo girare qualcosa insieme, ma non ci eravamo mai messi sul serio a progettare un modo per farlo. Poi è arrivata questa occasione e tutto è stato molto naturale e quasi semplice», prosegue Zavvo «ho proposto di girare un video insieme perché, conoscendo Giovanni, ero sicuro che non avremmo avuto problemi; il rapporto che c’è tra di noi e in generale tra i nostri gruppi (Ground’s Orange e Cinepila) è di vera amicizia. Il nostro è un campo fatto di prime donne e troppi galli in un pollaio, ma non è stato questo il caso… direi che siamo andati fin troppo d’amore e d’accordo, dalla scrittura alla regia e, perfino, al montaggio e color: un caso più unico che raro».
Un’idea alta di videoclip che parte da un lavoro certosino di scrittura, riguardante un ipotetico centro in cui degli ospiti si sottopongono a strani trattamenti, catapultati in un convento-mondo, tra conformismo nobile, e controllo sociale operato da uomini-panda, in una visione del tutto distopica. Scrive Zavvo: «i panda sono simbolicamente l’opposto di un certo tipo di oppressione e violenza. Sono animali abituati a vivere in cattività e che, com’è noto a tutti, hanno enormi difficoltà nel riprodursi. Questo aspetto ritorna velatamente all’interno del video, con le coppie che stanno immobili a fissarsi senza riuscire a muovere un solo passo verso l’altro (tranne i protagonisti ovviamente)», prosegue Giovanni «per i personaggi, volevamo che avessero una sorta di divisa che, allo stesso tempo, richiamasse una certa atmosfera dei Funny Games, per intenderci. L’idea era quella di realizzare un video che fosse inquietante ma pulito e luminoso». Punto focale dei videoclip è la visione di libertà ed evasione: una storia d’amore ribelle agli schemi imposti dal regime.
I registi ammettono che sul piano stilistico «ci sono diversi rimandi al cinema greco di Yorgos Lanthimos, ma anche a Pasolini: “Salò o le 120 giornate di Sodoma”, e al cinema di genere anni ‘70 e che in tanti, vedendolo, hanno pensato a “1984” di Orwell». Il senso della comicità-drammaticità è improntato da un forte senso critico che ci fa riflettere sull’identità storico-culturale di una storia esasperata e metaforica nella quale vengono alla luce le contraddizioni dell’uomo contemporaneo.
Il testo scritto da Andrea Appino è stato pensato durante una notte passata a Lisbona. Ecco com’è nato il brano: «prende vita durante una notte passata sotto il cielo di Lisbona. Silenziosa, taciturna e solitaria come la luna che illumina i saliscendi dell’esistenza che, dopo una moltitudine di gradini, si scontra nella mattina, facendoci sentire trasparenti in una città piena di persone, chiedendoci quanto di noi si possa rispecchiare in ognuna di quelle anime».
La cover del singolo non è uno scatto casuale: in primo piano, il torace di Karim Qqru, musicista del gruppo, immortalato dalla fotografa ritrattista Ilaria Magliocchetti Lombi, definita da Artwave «il terzo occhio della musica». Nel 2017, il suo scatto per la copertina dell’album “La Terza Guerra Mondiale” degli Zen Circus ha vinto l’International Photography Award, per la categoria “professional advertising/music”, e anche questa volta con la sua sensibilità da fotografa, immortala la band.
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