A prova di
In conversazione con Andréa Spartà
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La residenza a la Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Biella – parte del programma di residenze artistiche Nouveau Grand Tour proposto dall’Institut Français – si è conclusa il 30 Novembre, dopo un’esposizione della durata di una settimana. Qui Andréa Spartà, 1996, uno deɜ artistɜ selezionatɜ per il primo ciclo di questo programma, presenta come risultato del periodo di ricerca, un progetto intitolato The Weather Report.
Lo spazio industriale è attraversato da cavi bianchi di alcune ciabatte multi presa, che l’artista ha reso parte attiva del suo lavoro, mettendole in dialogo con altri elementi. Queste unità diventano quindi piattaforme che occupano una posizione centrale, e dalle quali si sviluppano le dinamiche che sostengono il progetto di Spartà. Si vedono quattro ciabatte multi presa installate con scalogni, barchette di carta, pere, foglietti che riportano la scritta MEK POL CONTROLLO, strisce adesive cattura insetti. Questa idea di microcosmo mutabile e con una data di scadenza viene confermata da ogni elemento dell’installazione.
The Weather Report nasce dall’osservazione di Biella. Sul tetto del santuario di Oropa si trova una piccola stazione meteorologica. Da qui si definisce l’idea di meteo, che verrà usata dall’artista come pretesto per parlare di imprevedibilità. Spartà lavora con cose che lo colpiscono senza un motivo apparente, come i foglietti che un riparatore di cancelli quotidianamente lascia in prossimità dei cancelli di tutta la città. Andrèa colleziona questi pezzi di carta, attraverso un’operazione rituale che lo porta fuori dal suo studio, ogni giorno, alla ricerca della stessa cosa – la stessa immagine. L’importanza di questa azione sta forse nella costanza e accettazione dell’imprevisto. Spartà non ha la certezza di trovare quei foglietti eppure li cerca, affidandosi ad una fiducia rassegnata, coltivando uno stupore cinico.
Scettico davanti all’idea di scopo, Spartà crede che non ci siano motivazioni alla base dell’esistenza. È per questo, che sembra coerente, vederlo avvicinarsi ad oggetti – come in questo caso – considerati normali o inutili nel contesto in cui sono inseriti. Anche la sua modalità di confronto con questi elementi fa vacillare l’idea di status su vari livelli. Come prima cosa, soggetto ed oggetto si eguagliano, infatti l’Io-soggetto e Tu-oggetto sono entrambɜ lì, e soprattutto l’Io-soggetto non ha motivi più validi rispetto a quelli del Tu-oggetto per esserci. Anzi non ci sono motivi affatto, e questa prospettiva fa crollare la visione binaria che perpetua una rigida distinzione verticale tra Io e Tu.
L’approccio di Spartà, ancor di più mette in discussione il concetto di intenzione. Ci si potrebbe chiedere infatti come si inserisca l’intenzione umana – qui dell’artista – e che ruolo abbia in un processo che punta alla massima riduzione di ogni gesto. In questo caso, sembra che l’artista si posizioni oltre l’idea di scelta intenzionale, guarda piuttosto a ciò che condivide il suo stesso spazio-tempo e prende atto di questa esistenza. Se vi è un’intenzionalità sta nel resistere alle dinamiche che tendono ad irrigidire le forme e i ruoli. È qui che sembra che Spartà trovi uno stupore cinico, ovvero sfiduciato nei confronti delle motivazioni deɜ altrɜ. Il suo stupirsi viene da tutto ciò che non è grandioso, che è indifferente verso gli ideali e le convenzioni del contesto in cui esiste, che è poi lo stesso contesto che lo dimentica.
Ne risultano lavori sospesi tra il ready-made ed un’estetica decadente, in cui gli oggetti coinvolti non hanno la pretesa di diventare simbolo, ma sono e mantengono la propria identità.
Seppure in un’ottica anti-narrativa la pratica di Andréa Spartà vive di una dimensione poetica, che non prova a definire bensì ad emancipare. Si riscontra una coerenza estetica ben definita. Questa componente non mira però ad abbellire, piuttosto a bilanciare. La forza dei lavori di Spartà sta forse allora nell’affidarsi completamente agli oggetti o alle immagini dai quali derivano, e alle loro eredità, rifiutando la metafora e l’interpretazione.
Non è chiaro come un cespo di catalogna che fino a poco prima era al mercato di paese abbia viaggiato in un sacchetto di plastica per trovare il suo posto a terra, accanto ad una luce gialla coperta da un’altra borsa di plastica. E come lo stesso venga poi raccolto e cucinato da Spartà per divenire il suo pasto. Ancora una volta, sembra aggiungersi uno strato di complessità, in un processo che chiede di rinunciare alla complicazione metaforico-intellettuale per riconoscersi come massa in uno spazio, in un dato momento, in un dato luogo, proprio come il cespo di catalogna. In quest’ottica, l’artista, chi osserva il lavoro o chiunque, si ridimensiona e si coglie per quello che è, niente di più o meno di un elemento instabile tra altri elementi instabili, siano questi persone, vegetali, fascette di plastica, un secchio, un tappetino da spiaggia, delle zanzariere elettriche.
Spartà sembra praticare l’accettazione di questa precarietà come costitutiva del proprio esser-ci e quello altrui da molto tempo, tanto che personale e professionale non si distinguono. Il lavoro di Andréa Spartà non vuole educare ad una visione, tantomeno fa sua la retorica della futuribilità altra e possibile. Piuttosto, rinuncia all’affanno di trovare ragioni e sovrastrutture intellettuali per giustificare l’esistenza di qualcosa che di per sé non necessita nessuna prova perché testimone della propria presenza-assenza e quelle altrui.
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À preuve de
En conversation avec Andréa Spartà
La résidence à la Cittadellarte – Fondazione Pistoletto, Biella – qui fait partie du programme de résidence d’art Nouveau Grand Tour proposé par l’Institut Français – se termine le 30 novembre, avec une exposition dans la même institution. Andréa Spartà, 1996, l’un des artistes sélectionné.e.s pour le premier cycle de ce programme, présente ici, à l’issue d’un mois et demi de travail, un projet intitulé Weather Report.
L’espace est traversé par les câbles blancs d’un certain nombre de multiprises, que l’artiste a rendu actives dans son travail, les faisant dialoguer avec d’autres éléments. Ces unités deviennent ainsi des plateformes qui occupent une position centrale et à partir desquelles se développent les dynamiques qui sous-tendent le projet de Spartà. Nous voyons quatre multiprises installées avec des échalotes, des barquette en carton, des poires, des prospectus portant les mots MEK POL CONTROLLO et des bandes de papier tue-mouches. Cette idée d’un microcosme mutable, avec une date de péremption, est confirmée par chaque élément de l’installation.
Weather Report est né d’une observation de Biella. Sur le toit du sanctuaire d’Oropa se trouve une petite station météorologique. De là, se définie l’idée de météo, qui sera utilisée par l’artiste comme un prétexte pour évoquer l’imprévisibilité. Spartà travaille avec des objets qui le frappent sans raison apparente, comme les bouts de papier qu’un réparateur de portes laisse quotidiennement près des portails de la ville. Andréa collecte ces morceaux de papier, à travers une opération rituelle qui l’amène à sortir de son atelier, chaque jour, à la recherche de la même chose – la même image. L’importance de cette action réside peut-être dans la constance et l’acceptation de l’inattendu. Spartà n’a aucune certitude de trouver ces morceaux de papier et pourtant il les cherche, s’appuyant sur une confiance résignée, cultivant un étonnement cynique.
Sceptique quant à l’idée de finalité, Spartà pense qu’il n’y a pas de motivations derrière l’existence. C’est pourquoi il semble cohérent de le voir s’approcher d’objets – comme dans ce cas – considérés comme normaux ou inutiles dans le contexte dans lequel ils sont placés. Sa manière de se confronter à ces éléments remet également en question l’idée de statut à plusieurs niveaux. D’une part, le sujet et l’objet sont égaux, en effet le Je-sujet et le Tu-objet sont tous deux là, et surtout le Je-sujet n’a pas plus de raisons valables que le Tu-objet d’être là. En effet, il n’y a pas de raisons du tout, et cette perspective effondre la vision binaire qui perpétue une distinction verticale rigide entre Je et Tu.
L’approche de Spartà remet encore plus en question le concept d’intention. En effet, on peut se demander quelle est la place de l’intention humaine – ici celle de l’artiste – et quel rôle elle joue dans un processus qui vise à réduire au minimum chaque geste. Dans ce cas, il semble que l’artiste se positionne au-delà de l’idée de choix intentionnel, regarde plutôt ce qui partage son propre espace-temps et prend acte de cette existence. S’il y a une intentionnalité, elle réside dans la résistance aux dynamiques qui tendent à rigidifier les formes et les rôles. C’est ici que Spartà semble trouver un étonnement cynique, c’est-à-dire défiant envers les motivations des autres. Son étonnement vient de tout ce qui n’est pas grandiose, qui est indifférent aux idéaux et aux conventions du contexte dans lequel il existe, qui est le même contexte qui l’oublie.
Il en résulte des œuvres suspendues entre le ready-made et une esthétique décadente, dans lesquelles les objets convoqués ne prétendent pas devenir des symboles, mais sont et conservent leur propre identité.
Bien qu’anti-narrative, la pratique d’Andréa Spartà vit d’une dimension poétique, qu’elle ne cherche pas à définir mais à émanciper. Il existe une cohérence esthétique bien définie. Toutefois, cette composante ne vise pas à embellir, mais plutôt à équilibrer. La force des œuvres de Spartà réside peut-être dans le fait qu’elles s’appuient entièrement sur les objets ou les images dont elles dérivent, et sur leur héritage, rejetant la métaphore et l’interprétation. On ne sait pas comment une chicorée de catalogne, qui se trouvait jusqu’à récemment au marché du village, a voyagé dans un sac en plastique pour trouver sa place sur le sol, à côté d’une lumière jaune couverte par un autre sac en plastique. Et comment la même chose est ensuite récupérée et cuisinée par Spartà pour devenir son repas.
Une fois encore, une couche de complexité semble s’ajouter, dans un processus qui exige de renoncer à la complication métaphorico-intellectuelle pour se reconnaître comme une masse dans un espace donné, à un moment donné, dans un lieu donné, tout comme la chicorée de Catalogne. Dans cette optique, l’artiste, le spectateur de l’œuvre ou quiconque, se redimensionne et se voit pour ce qu’il est, ni plus ni moins qu’un élément instable parmi d’autres éléments instables, qu’il s’agisse de personnes, de légumes, de lien en plastique, d’un seau, d’un tapis de plage, de moustiquaires électriques.
Spartà semble pratiquer l’acceptation de cette précarité – c’est ainsi que se définit cette façon d’exister dans une société qui vise une productivité et une croissance frénétiques – comme constitutive de son être et de celui des autres depuis longtemps, au point de ne plus pouvoir distinguer le personnel du professionnel. Le travail d’Andréa Spartà ne cherche pas à éduquer une vision, et encore moins à faire sienne la rhétorique d’une autre futurabilité possible. Elle renonce plutôt à l’anxiété de trouver des raisons et des superstructures intellectuelles pour justifier l’existence de quelque chose qui, en soi, n’a pas besoin de preuve parce qu’il est témoin de sa propre présence-absence et de celles des autres.