Intervista a Vito Chiaramonte
Direttore dell’Accademia Abadir San Martino delle Scale (PA)
La formazione artistica in Sicilia si arricchisce dell’offerta formativa, rivista e rielaborata nei contenuti e nella forma, dell’Accademia di Belle Arti ABADIR di San Martino delle Scale (PA). L’Accademia, dal suo nascere nei primi anni ’90, forma restauratori e conservatori delle bellezze del passato, ma anche artisti capaci d’interpretare il contemporaneo. Di recente la direzione di ABADIR è stata affidata al prof. Vito Chiaramonte a cui abbiamo posto queste domande:
Accademia di Belle Arti e Restauro ABADIR di San Martino delle Scale (PA). Un nuovo Direttore per un nuovo percorso: chi è Vito Chiaramonte? Ci racconti brevemente di sé.
Sintetizzerei con alcune immagini. La prima è una collina della valle del Belice che si affaccia a occidente, un paese terremotato, la vista lontana sulle Egadi. Poi le chiese e i tesori del paese, quelli che il terremoto del ‘68 aveva risparmiato ma che venivano tirate giù dall’incuria e dagli affari della DC. Altre immagini sono veramente piccole cose, apparentemente insignificanti: gli orecchini a forma della stella di Consagra che la madre di un mio amico indossava, fiera che il marito li avesse avuti in regalo, forse da Ludovico Corrao, per aver collaborato all’impresa di Gibellina. Il cinema all’aperto, in estate, nel sistema delle piazze di Purini. Le escursioni al parco archeologico di Selinunte, prima che assurdamente venisse realizzata la cintura artificiale di dune che impedisce la vista dei templi da Marinella. I primi incontri con l’arte contemporanea alle Orestiadi: la Montagna di sale di Mimmo Paladino, e Boetti, ad esempio. E poi Jan Fabre, i concerti di Philip Glass, gli spettacoli di Bob Wilson, il cretto di Burri in costruzione al chiaro di luna. E così via. Per andare più sul personale una predisposizione al disegno (subito dimenticata), i soldi messi da parte per comprare Art&dossier, ai tempi della direzione di Maurizio Calvesi. Altre immagini sono legate, invece, a Palermo. Anche qui immagini di luoghi. L’auletta dell’Istituto di storia dell’arte della facoltà di lettere, un lungo tavolo e delle panche intorno al quale si ritrova un piccolo gruppo di studenti che seguono le lezioni di Teresa Viscuso, il mio maestro. Ho lavorato con lei molti anni. Sono stato il suo ultimo allievo, il più piccolo di un gruppo straordinario che si stringeva intorno a una storica che si era laureata con Cesare Brandi, era stata assistente di Argan, aveva studiato con Assunto, e lavorato fianco a fianco con Calvesi. L’incontro con Francesca Noto, una delle intelligenze più acute che ha segnato i miei interessi teorici indicandomi la strada a Warburg e Benjamin. Le visite a luoghi allora poco frequentati. La scoperta dalla Madonna del Rosario di Anton Van Dyck. Pietro Novelli, Matthias Stom, i maestri fiamminghi, il trittico Mabuse e, indietro, fino alle soglie della modernità in Sicilia. Alla fine degli studi per la laurea l’allestimento di una grande mostra dedicata a Vincenzo degli Azani da Pavia. Poi la ricerca d’archivio, faticosa quanto fondamentale: alla fine la costruzione di una delle mie attitudini intellettuali più ricorrenti, e cioè quella di leggere ogni spazio e ogni oggetto come carichi di tempo, di una carica stratificata e intrecciata, che va letta a tanti livelli. L’emozione più grande di quegli anni è sfogliare un libro del 1624 e riconoscere due disegni di Van Dyck. Insieme alla formazione di storico dell’arte devo fare cenno all’ambito degli interessi teorici; sempre sulla linea di Brandi ebbero inizio le prime letture teoriche e filosofiche importanti, i classici certamente, da Hauser e Panofsky giù fino a Freedberg e a Stoichita, un altro grande allievo di Brandi. E da lì agli studi culturali, all’antropologia, alla psicanalisi e a Lacan in particolare. Più recentemente la passione educativa. Nella mia formazione ha avuto un ruolo l’insegnamento e il rapporto con gli alunni. La collaborazione con l’editore Palumbo con cui ho pubblicato nella manualistica: è stato un onore curare l’apparato iconografico e le sezioni di storia dell’arte di un grande libro di letteratura di Romano Luperini e Pietro Cataldi. Ma anche in questo ambito fare l’esperienza di partecipare a un gruppo di lavoro sulla multimedialità che ha precorso molti degli orientamenti attuali in tema di didattica dell’arte.
Un’Accademia storica nata per formare restauratori e conservatori delle bellezze del passato; un’istituzione che opera in un territorio preciso della Sicilia. Ci racconti gli inizi di questa Accademia e gli ultimi esiti…
Non conosco gli inizi nel dettaglio. Sono arrivato ad Abadir come docente di Storia dell’Arte solo cinque anni fa. Per me Abadir ha significato immediatamente entrare a contatto con i laboratori di restauro e con l’aula di pittura: due spazi complementari in cui lo sguardo, la mano e la testa imparano a riconoscere i loro stessi criteri. Il mio lavoro come docente di storia dell’arte cerca di contribuire a questa visione. Gli avvicendamenti dei docenti non hanno aiutato nella creazione di un indirizzo culturale riconoscibile e meditato, e di questo i primi a soffrirne sono stati gli allievi. Negli anni si sono avvicendati tanti docenti, penso ad amici che, come mi dicono, “hanno lasciato il cuore” ad Abadir: Marina Giordano, ad esempio. Intanto le vicende burocratiche non hanno consentito di dirimere il nodo ministeriale della attribuzione del quinquennio di restauro, con l’esito paradossale che proprio l’istituzione più autorevole e credibile in questo ambito veniva lasciata indietro. Oggi le cose si sono evolute in una direzione per certi versi inattesa: Abadir è una accademia che propone un corso di pittura rinnovato, arricchito dal contatto quotidiano con gli esperti di restauro, della carta e del libro antico, di pittura, di materiali lapidei, con i laboratori che segnano la pianta dell’Abbazia in una continua relazione con la storia di un complesso monumentale di impressionante ricchezza, degno dell’Unesco.
Quali novità sono previsti nell’offerta formativa?
Il corso di pittura è strutturato in modo da essere completamente in linea con gli orientamenti culturali che a livello internazionale caratterizzano la formazione delle scuole d’arte. Una linea che parte dalla pittura intesa come nome più convenzionale che sostanziale, aperto a quel “si fa con tutto” di un bellissimo titolo della Vettese per descrivere una situazione dell’arte contemporanea in cui le pratiche installative, le performance, la video arte, la contaminazione fra linguaggi, la scelta di materiali e di contesti di lavoro creativo libero sono la cifra che caratterizza il linguaggio contemporaneo. I docenti sono, in questa prospettiva, artisti e curatori che in questi anni si sono segnalati per professionalità e qualità, che hanno partecipato a grandi progetti internazionali, che animano l’intelligenza figurativa di chi ha visitato il loro studio, una loro mostra, di chi ha letto un articolo o un contributo critico. Sono loro molto grato per la disponibilità a scommettere e realizzare un grande progetto culturale. Emerge, allora, con il territorio un nuovo rapporto; Abadir e l’Abbazia di San Martino sono luoghi di tutela ma sono anche uno spazio aperto al dialogo con tutti coloro che desiderano elaborare una visione, mettere a punto un progetto, sia che si tratti di artisti di curatori, di storici, di esperti nella tutela e nella promozione. Lo scorso anno accademico, ad esempio, abbiamo realizzato un Master in catalogazione. In arrivo un master in allestimento museale e un altro ancora in Cultural Experience Design.
Da chi è formata la faculty?
Entra nel collegio dei docenti di Abadir Andrea Buglisi, un raro caso di creatore di immagini. Buglisi ha un talento innato per l’icona, l’immagine da un lato ironica e facile, immediatamente comunicativa, e dall’altro provocatoria e inattesa. Approda ad Abadir Riccardo Brugnone. Brugnone è un maestro nella elaborazione di immagini ritmiche, essenziali, fatte quasi esclusivamente di chiarori sempre un poco enigmatici. Una rara sensibilità per le variazioni impercettibili del disegno. Arriva Igor Scalisi Palminteri, uno di quei pittori che non temono la dimensione pubblica della pittura, anche quando questo significa intercettare la memoria collettiva che si manifesta nei luoghi: da un certo punto di vista il suo è il linguaggio di un pittore basiliano redivivo in una situazione di superamento difficile della postmodernità. E poi il giovane Giuseppe Vassallo, un artista e un allestitore, una sensibilità per la dimensione “sacrale” dello spazio raffinata, precisa, sicura, che non ha paura del vuoto . E poi i teorici. Agata Polizzi, storico dell’arte e curatrice: grazie ad Agata Polizzi abbiamo avuto la possibilità di ammirare e leggere alcuni degli artisti più rappresentativi del nostro tempo. E Valentina Bruschi, storica dell’arte e autrice, insieme al gruppo di Radice Eterna, di una delle iniziative di promozione culturale meglio riuscite di questi anni. Si tratta di un gruppo di artisti e di teorici talentuosi, ma soprattutto veri. La loro conoscenza è prima di tutto esperienza, frequentazione attiva del mondo dell’arte, confronto continuo con i suoi grandi temi. Si tratta di uno staff la cui ricchezza consiste anche nella eterogeneità. L’idea era di creare intorno all’insegnamento di pittura, tenuto da William Marc Zanghi, una serie di prospettive differenti, capaci di parlare agli allievi con quella pluralità di linguaggi e di immaginario che possano catturare le indoli differenti, intercettare i vari interessi, individuare gli aspetti contraddittori senza illudersi che sia sempre possibile una soluzione. Zanghi poi è un maestro in questa sorta di dubbio metodico sugli strumenti della pittura: il suo lavoro è caratterizzato da una ricerca sui materiali, sulla composizione, sul lessico, che non lascia niente di intentato. È un artista in costante ricerca, che non si è fermato al primo orizzonte disponibile. La qualità del suo lavoro e del suo insegnamento è straordinaria.
Sono previsti interventi formativi da parte di visiting professor?
Quando ho dato la notizia del mio incarico su Facebook, scegliendo una comunicazione completamente informale, ho subito ricevuto dei messaggi privati molto belli, di disponibilità a darmi una mano nella organizzazione di lezioni e incontri. Ci sono i tanti amici pittori con cui mi piacerebbe creare un ciclo di incontri con gli studenti. Ci sono le gallerie. Ci sono le istituzioni museali. C’è poi in cantiere un progetto internazionale molto interessante, di cui però non conviene parlare adesso.
L’Accademia di Belle Arti e Restauro ABADIR di San Martino delle Scale nasce per iniziativa privata ma da sempre è legalmente riconosciuta da MIUR. Quale titolo accademico si consegue alla fine del percorso? Che spendibilità professionale fornisce?
Con Abadir si consegue il così detto triennio in pittura. Mi è capitato spesso di dire che il triennio in pittura è una sorta di passpartout. Da pittura si può passare a una laurea specialistica come storia dell’arte, oppure alla formazione di restauratore presso le scuole più prestigiose, oppure alla specializzazione in design, e così via. Abbiamo puntato alla questione basilare, cioè fornire una solida formazione di competenze spendibili nei tanti ambiti in cui ci si può specializzare. È una scelta leale e matura, che non riduce le possibilità degli studenti in un momento formativo in cui è giusto che le possibilità siano ancora tutte aperte.
Chi può iscriversi?
Possono iscriversi tutti i diplomati in un istituto secondario di secondo grado, secondo le norme che regolano l’iscrizione ai corsi universitari e accademici.
Una battuta d’esortazione per i giovani diplomati che vogliono intraprendere il percorso di studi presso l’Accademia di Belle Arti e Restauro ABADIR di San Martino delle Scale.
Sabato 8 settembre 2018, e sabato 6 ottobre 2018, partiranno due workshop gratuiti aperti a studenti di scuola secondaria di secondo grado di ultimo anno e a diplomati. Questa è la prima battuta di esortazione: partecipate. Poi, al di là dei workshop, Abadir è un luogo di dialogo e di ricerca aperto, evoluto, culturalmente avanzato, naturalmente avverso all’omologazione. Gli studenti di Abadir vivono una esperienza importante sotto questo profilo.