Sciame: le “radici multiple” di un unico progetto
Lo sciame
Da un celebre racconto di Kafka: “Si crede di essere in casa propria, in realtà si è nella loro”.
Si dice “sciame di scosse”, come fossero api,
ma api che ci cacciano da casa,
api che fanno un miele amaro amaro,
di dolore, di nausea, di paura.
Ci eravamo accampati sopra il loro alveare,
ecco perché ci cacciano.
Non siamo a casa neanche a casa nostra,
anche la nostra casa è casa d’altri,
la casa di qualcuno arrivato da prima
e che adesso ci caccia.
Vengono a sciami, si riprendono casa,
la loro casa, da cui ci scuotono via,
punendoci per la nostra presunzione:
essere stati tanto fiduciosi
da credere che il mondo si potesse abitare.
Valerio Magrelli
Sciame Project è un web nel suo doppio senso: una rete virtuale di riflessioni concettuali, poetiche, filosofiche, pragmatiche, concrete. L’argomento da cui parte è un punto di rottura, o meglio una crepa che si è andata allargandosi per un anno intero: il terremoto che ha colpito il centro Italia tra il 2016 e il 2017. Si dia il caso che l’evento catastrofico abbia interrotto, tra le mille cose e vite, anche i preparativi della X mostra annuale di arte contemporanea Lucisorgenti, progetto portato avanti da Franco Troiani, di cui l’artista Miriam Montani ora raccoglie l’eredità. Dalla sospensione dei preparativi a causa del pericolo di esporre da qualunque parte, è venuta l’idea alla giovane artista di creare un terreno solido quanto virtuale: Sciame Project, appunto. Questo “trasferimento” e i motivi per cui è avvenuto non hanno potuto che influenzare l’argomento in oggetto:
“Impermanenza, Memoria, Abitare, Disabitare, Radicamento, Sradicamento e Motus sono le tematiche affrontate, scandagliate dal terremoto come causa ed effetto.
SciameProject si pone come contributo immateriale per far rigermogliare la materia ceduta, in un momento in cui ci troviamo nel punto di scegliere se disabitare la terra o radicarci ancora, con tutte le forze sensibili”.
I contributi sono stati un centinaio e la curatrice afferma che continuano ad arrivare. Sono tutti disponibili sul sito tumblr (sciameproject.net/). Il loro numero, la loro eterogeneità sono talmente consistenti e la selezione così difficile che si preferisce, in questo breve articolo, trasmettere lo spirito del progetto che tutti i contribuenti, ognuno a suo modo, di certo condividono. Il modo migliore per raccontare il progetto mi è sembrato citare, con la guida di Miriam Montani, chi ha partecipato tramite le parole: Valerio Magrelli (citato all’inizio), Annarosa Buttarelli e Daniele Capra.
Quest’ultimo riflette sul valore dell’arte in relazione all’erosione che comporta il tempo:
“Arte e letteratura trasmettono nel futuro (come un messaggio in una bottiglia) concetti, valori, estetiche, ideologie e narrazioni, in una parola l’umanesimo che impregna la vita umana, eccetto le banali necessità del vivere […]
Ad essere meno intaccato e corrotto, per un inatteso fenomeno di eterogenesi dei fini, è stato […] ciò che per sua natura è fragile, immateriale e non programmaticamente immaginato per durare”.
La filosofa invece pone l’accento sui concetti di radicamento e sradicamento:
“Di questi tempi, che si possono vivere come ‘tempi bui’, la marcia di milioni di persone migranti suscita la pena dello sradicamento. A questa pena, in questi stessi tempi, si accomuna la pena per ciò che gli eventi catastrofici naturali. […]. Anche tutto questo fa pensare alla perdita della propria dimora, e perciò alla perdita di radici. Eppure nessun fenomeno, né naturale, né prodotto dall’azione umana può portare davvero allo sradicamento.”
La Buttarelli continua, riprendendo una riflessione di Simone Weil sulle “radici multiple”:
“L’avere ‘radici’ è certamente uno dei bisogni più decisivi e anche più maltrattati di quella dimensione invisibile interiore che possiamo chiamare senza timore ‘anima’. […] E l’anima, quando se ne ha una e la si vuole conservare, non si accontenta né del luogo né delle mura, ma ha bisogno per continuare a vivere di ‘radici multiple’ che alimentino l’etica (la vera dimora), la creatività intellettuale, l’intensità spirituale, tutte necessità che non sempre sono sostenute dal luogo e dall’ambiente cui ci si riferisce per nascita o abitualmente. Anzi: spesso accade che proprio quando ci si allontana o si fugge dall’ambiente della vita consueta e abitudinaria, si arrivi al vero radicamento, ma altrove, come testimoniano migranti che trovano una lingua nuova in cui esprimere poesia, racconto e memoria là dove sono accolti, mentre non l’avevano trovata nella loro patria.”
La curatrice si augura che prima o poi il progetto possa mettere radici anche in senso fisico, con una grande mostra, ma il radicamento più importante è nell’anima di chi può apprezzarlo anche così.