COOL FRAMING – DOCUMENTARE UNA BIENNALE FAI DA TE
di Samuele Cherubini*
“While no one was watching, the citizens of Pretoria, South Africa, launched the world’s first uncurated DIY guerrilla biennale: Cool Capital. For two months, the city came alive as spontaneous street art and design interventions celebrated the city, inspiring urban renewal, achieving social coherence and, above all, putting a smile on the mind”.
Autogestita. Fai-da-te. Estemporanea. Virale. Social.
Iniziata dall’architetto Pieter Mathews nel 2012, Cool Capital è il primo esempio di Guerrilla Biennale, una esposizione autogestita e priva di curatori il cui scopo è riappropriarsi dello spazio urbano. La manifestazione si svolge ogni due anni a Pretoria, capitale amministrativa del Sudafrica, città il cui basso appeal turistico è direttamente collegato al gran numero di burocrati che vi risiedono. L’intento di Cool Capital è quindi immediato, ridare smalto all’immagine della città, coinvolgere la partecipazione di tutti i cittadini e revitalizzare il tessuto urbano attraverso interventi spontanei, autogestita e fai-da-te. Questi eterogenei contributi, documentati più o meno autonomamente dai partecipanti, vanno a formare un collage fotografico che è anche un melting pot di stili ed esperienze, il che li rende particolarmente interessanti per gli scopi di questo articolo.
Nel 2016 Cool Capital approda alla Biennale di Venezia nella forma di Padiglione Sudafricano: degli oltre 150 interventi realizzati dai cittadini di Pretoria solo alcuni sono fisicamente presenti nel padiglione. La dimensione dello spazio e i costi rendono infatti impossibile la presenza fisica di tutti gli interventi, che nella maggior parte dei casi raggiungono la città lagunare in forma di documentazione fotografica, attraverso il catalogo che contiene tutti, ma proprio tutti i progetti realizzati nella prima edizione. Come ci ricorda Pieter Mathews, Cool Capital è priva di curatori e non vi è alcun processo di selezione dei partecipanti che sono gli unici responsabili dei propri interventi, siano esse delle panchine di cemento o dei pancake rosa guarniti con i tipici fiori viola del Jacaranda tree. Agli organizzatori spetta quindi il compito di documentare e comunicare in egual misura tutti questi interventi. Nell’obiettivo di Cool Capital di ‘democratizzare’ la creatività, la documentazione fotografica assume quindi un carattere fondamentale, in quanto unica tecnica in grado testimoniare interventi eterogenei, spontanei e spesso autogestiti. Diversamente da come spesso accade il catalogo non è un feticcio destinato alla vendita, ma al contrario viene liberamente donato ai visitatori, guerrilla style.
L’esperienza di Cool Capital a Venezia non si esaurisce nel catalogo racchiuso tra le mura del padiglione sudafricano ma esce per le calli e campi veneziani contaminando tutta la città. Gli organizzatori spargono tra i padiglioni nazionali e tutta Venezia una serie di micro opere d’arte, bozzetti o saadjies come si chiamano in afrikaans, piccolissimi interventi nascosti negli angoli più impensati. Questi saadjies vengono collocati e immediatamente documentati attraverso fotografie postate sui social media seguite dagli hashtag #coolcapital2016 #saadjies. Dalla documentazione fotografica si avvia un processo giocoso di ricerca, in cui follower sono invitati a ricercare i luoghi ove sono nascoste le opere, in una sorta di caccia al tesoro che ricorda quella evocata da Sarah Thornton nella sua descrizione della biennale lagunare. L’esperienza dei #saadjies rappresenta un interessante caso di studio di utilizzo creativo della fotografia nell’ambito della documentazione artistica.
In #saadjies la fotografia cessa infatti di ‘presentare’ un artefatto e diventa il punto di partenza di una nuova pratica del fare, perseguendo un paradigma arte-vita, in cui l’arte si riferisce alla vita stessa. Esclusa ogni volontà di preservare l’opera alle future generazioni, la documentazione diventa la testa di ponte per un’esperienza museale a cielo a aperto, che rappresenta, in ultima analisi, l’opera stessa. I bozzetti fungono infatti da catalizzatore sociale, la loro presenza, quasi invisibile nella loro dimensione dello spazio fisico si ingigantisce in quello virtuale dei social media dove innesca una serie di reazioni a catena: commenti, condivisioni, scoperte e smarrimenti. L’opera in fasce rappresentata dal bozzetto raggiunge lo stadio finale nella sua deriva sociale, un stadio che giunge a compimento grazie l’esperienza fotografica. Se la storia insegna che ogni cacciatore desidera una fotografia che lo ritrae accanto alla sua preda allora è umanamente comprensibile supporre che, una volta ‘scovato’ uno dei saadjies nascosto in città il visitatore desideri condividere la propria conquista attraverso i social network. Si instaura quindi un ulteriore step in cui la fotografia diventa un’operazione collettiva in cui la documentazione è un evento che si sottopone a continue riscritture, personali, eterogenee racchiuse all’interno di un hashtag. In bacino documentario indefinito, da percorrere come fosse una traiettoria: com un fiume con tanto di estuari, affluenti, dalle tormentose rapide, con i suoi numerosi meandri e naturalmente con le sue molteplici sorgenti nascoste.
L’esperienza di Cool Capital dimostra come il medium fotografico possa mimetizzarsi all’interno dei processi di creazione e diventare motore di nuove sperimentazioni. Persa la necessità di conservare memorie ai posteri così come ogni velleità di sostituirsi all’opera stessa, la fotografia frivola e sibillina della Biennale sudafricana è testimone del proprio tempo: sbrigativa, volubile, sociale e decisamente molto cool.
_______________
BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA
– http://www.coolcapital.co.za
– http://www.southafrican2016pavilion.co.za
– Coutinho, N.; Documenting performance or activating social relationships?, Revista de História da Arte, 2013
– Groys, B.; Art in the age of biopolitics: from artwork to art documentation, dal catalogo di Documenta 11, 2002
– Lowe, A.; Il procedimento usato per creare una accurata copia de Le Nozze di Cana di Paolo Caliari (detto il Veronese). Traduzione italiana del capitolo scritto per il libro Switching Codes, University of Chicago Press, 2011
– Thornton, S.; Seven days in the art world, Norton, 2008
_______________
Biografia dell’Autore
*Samuele Cherubini (Brescia, 1984) Diplomato alla Accademia di Belle Arti di Brera, si specializza in Progettazione e produzione delle Arti Visive allo IUAV di Venezia. Nel 2016 ha fondato il Venice Documentation Project, piattaforma multidisciplinare di ricerca e documentazione delle arti visive.
B-RESEARCH – di Balloon Contemporary Art, Research, communication, Curating Art &Publishing Project
ballooncontemporaryart@gmail.com
Catania
Un progetto di ricerca a cura di
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Gruppo di selezione
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Cristina Costanzo
Maria Giovanna Virga
Giovanni Scucces