La seconda Open Call di Balloon project è dedicata alla fotografia. Nella fattispecie l’interesse è orientato alla fotografia come mezzo privilegiato nella documentazione e divulgazione dell’operato artistico, analizzando le relazioni e i confini tra mera rappresentazione e divulgazione intrinseca ed estrinseca all’opera. La fotografia come occhio sull’arte e la fotografia come arte che però comunica la stessa.
I quattro interventi selezionati, molto diversi tra loro, analizzano i molteplici aspetti del fotografare nell’epoca del digitale e della condivisione di massa in tempo reale mettendo in luce aspetti sociali, relazionali e storico-artistici.
Valentina Lucia Barbagallo e Giuseppe Mendolia Calella
NO PHOTOGRAPHY MEANTS NO HISTORY
di Laura Cantale*
UN MEZZO CHE È IL MEZZO
L’uso che si conviene al mezzo fotografico, l’insieme delle specifiche e altre classificazioni della fotografia, sono solo alcuni degli elementi che ottemperano al ruolo soggettivo che alla fotografia viene dato.
Si tratta di un mezzo e a volte si tratta del mezzo. L’unico capace di individuare, registrare e restituire il più completo esame di quella realtà altra che si arriva a desiderare come realtà “reale”.
Bianco e nero, colore… chi possiede la padronanza del mezzo fotografico scardina il cancello che relega la fotografia alla soggettività avviando così un’esplosione a catena che rende un mezzo il mezzo e, come tale, lo pone al centro di un discorso che si rinnova costantemente e non smette mai di essere trattato, arricchito e riconsiderato.
Esplode in tutte le arti e lo fa con forza e decisione uniche.
La fotografia è tutto ciò che serve a chi la usa, per tirare fuori chirurgicamente concetti, idee, capacità di espressione; quanto più tutto ciò ha luogo, tanto l’artista che pensa la fotografia, che la elabora, che la attende, che la costruisce, ottiene la giusta occasione d’espressione e coinvolgimento.
L’arte se ne ciba con irruenza, con violenza e con disperazione, restituendo al fruitore una sensazione riconoscibile, forte e unica; perché è la fotografia diventa chiave di volta.
Chi osserva riconosce il mezzo, non se ne preoccupa, non lo spaventa; perché quel mezzo avvolge e completa, sconvolge ma mai allontana e tutto ciò che riesce a mettere insieme è chiaro e mai aggressivo.
La fotografia è il mezzo che avvicina più di qualunque altro l’individuo all’arte contemporanea. Non crea disagio una foto, non crea disagio una fonte luminosa ben ricercata o ben strutturata; è come uno scritto, un documento chiaro, un appiglio per le sensazioni, uno statement di certezza e forza.
NEL SENSO DI… MARINELLA SENATORE
È possibile portare alla luce un importante concetto; l’oggettiva possibilità di “usare” la fotografia, in tutte le sue forme, come mezzo di donazione.
Ce ne fa dono Marinella Senatore che, con scrupoloso acume, restituisce la “giusta luce” a ognuno dei protagonisti del suo lavoro, che giocano un ruolo piuttosto che un altro per sua accurata scelta. È la forza della vita passata e presente quella raccontata da Marinella Senatore, la forza di un’opera generata dalla partecipazione pubblica, dalla comunità e dalla sua storia.
Ogni individuo ha la sua storia, la sua esperienza e la propria abilità; tutto ciò diventa materiale essenziale per riscrivere certe realtà, padroneggiarle o addirittura sradicarle.
Alla luce di questo, alcuni progetti di Marinella Senatore sono diventati veri e propri workshop, nel corso dei quali ogni partecipante è attore, scenografo, elettricista delle luci, fonico, operatore, ecc.
Ogni partecipante mette in gioco la propria vita, una vita vissuta completamente, sfruttando tutto ciò che poteva dare e che da; attraverso la sofferenza, la gioia e l’unicità descritte dai volti che si avvicendano in ogni scatto, singolo o collettivo che sia, in ogni sua ripresa video, in ogni suono, disegno, scultura, ecc.
Perché Marinella Senatore mette in gioco e in commistione così tanti mezzi che sembra non voler mai lasciare nulla di intentato o indefinito; e così è. Creando continuamente nuove possibilità di coinvolgimento per il pubblico, tutti sono messi nella condizione di donarsi e donare esperienze e capacità.
Marinella Senatore va oltre.
Trovandosi di fronte ad ogni sua opera è quasi una necessità quella che investe: trovare e leggere più che un concetto, rendersi conto che ci si sta preparando alla lettura senza censura di un mondo, un mondo che è contenitore di una o più storie e tutto questo le è permesso anche dal mezzo che predilige nel suo lavoro.
Esempi in merito potrebbero essere diversi; basterebbe intanto fare riferimento al cortometraggio Nui Simu girato nella città di Enna nel 2010, che si è evoluto in un “clima di workshop continuo”. Tutti i partecipanti hanno infatti, preso parte al lavoro mettendo a disposizione tutte le loro risorse; dagli ex minatori (con i quali l’artista ha scritto il cortometraggio), al singolo cittadino passato di lì per caso, scorrendo attraverso i collaboratori fidati ed esterni chiamati per lavorare con la Senatore.
Un percorso curato nei minimi dettagli, con ampio spazio per gli imprevisti e le soddisfazioni, che ha visto la realizzazione di un progetto carico dell’opera di Marinella Senatore.
Marinella Senatore, Nui Simu, 2010 – Vista dell’Istallazione al premio Furla (Bologna) e frame dal video
Come non considerare Rosas (2012), l’opera lirica per la televisione che ha visto coinvolte migliaia di persone tra addetti ai lavori, professionisti locali (l’opera è stata girata in tre città diverse – Berlino, Derby e Madrid) e semplici partecipanti che, non solo hanno avuto la possibilità di farne parte, ma hanno potuto fruire del lavoro totale e della messa a disposizione dei mezzi e delle attrezzature tecniche usate per la realizzazione delle riprese.
Un coinvolgimento ancora totale, un mezzo ancora totale e forte che, probabilmente, trova la sua più grande risoluzione in The School of Narrative Dance, la scuola itinerante che Marinella Senatore ha fondato come “sistema didattico alternativo di educazione basato sull’emancipazione dello studente”.
Emancipazione che senza dubbio avviene in senso fisico, pratico e teorico e che continua quasi a voler descrivere l’essenzialità del singolo per la riuscita della comunità, in uno scambio equo e continuo tra chi padroneggia il mezzo e chi lo fruisce e “subisce”.
Marinella Senatore – The School of Narrative Dance, Little Chaos sopra e The School of Narrative Dance, Ecuador sotto.
Nell’opera di Marinella Senatore, nell’accuratezza di ogni ripresa, nel lavoro preciso e instancabile che lei e l’insieme dei partecipanti mettono in atto, viene perfettamente naturale non perdere mai il contatto con i mezzi utilizzati, nascosti ma non del tutto; viene perfettamente naturale trovare tangibili realtà e storie che da quel momento in poi sono fissate e messe in evidenza in maniera duratura e inequivocabile.
NO PHOTOGRAPHY MEANTS NO HISTORY
Parimenti interessante e legante è il lavoro di Joel Meyerowitz (uno dei primi sostenitori della fotografia a colori) ed, in particolare, i quasi ottomila scatti che il fotografo ha realizzato al Grand Zero, dove sorgeva il World Trade Center distrutto durante l’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 su New York.
Dopo aver appreso la tragedia, Meyerowitz sente l’indiscutibile bisogno di dover creare un documento di ciò che è accaduto; diventa essenziale l’urgenza di lasciare ai posteri traccia di quello che la città di New York aveva appena subito, dello squarcio che aveva interessato la struttura urbana, della insanabile ferita che aveva portato alla luce debolezze e disagi.
Il disastro delle Twin Towers lo induce a riflettere su un concetto molto semplice: “no photography meants no history”. Non avere un riscontro fotografico vuol dire non avere storia; la documentazione attiva di un evento catastrofico o gioioso che sia dona, anche in questo caso, possibilità più o meno forti di riscontro e racconto, di coinvolgimento o distacco. Chi usufruisce di tale documentazione arriva a rendersi conto della sua essenzialità, e dell’essenzialità di chi e cosa ha fatto parte di quel momento.
Joel Meyerowitz trova il modo per ottenere l’autorizzazione a fotografare ciò che era rimasto delle due torri; egli è stato infatti, l’unico al quale la nazione americana ha accordato di fotografare le macerie delle due torri.
Una sfida per il fotografo che sopraffatto, come afferma lui stesso, da quanto aveva visto il giorno in cui ha visitato il sito, non ha recepito da se stesso nessun altro bisogno che provare ad aiutare, salvare con la disarmante consapevolezza di non poter fare nulla di diverso che guardare ciò che era accaduto, da lontano perché lontano.
Provare a fotografare e riuscirci! Perché nulla di tutto quello doveva rimanere nascosto e nessuno doveva dimenticare.
All’inizio un poliziotto gli aveva fatto notare che quello che aveva davanti non era un set fotografico ma la scena di un crimine; fu allora che Meyerowitz capisce quale doveva essere il suo contributo.
Creare un archivio per la città di New York: “no photography meants no history”. E il suo agire è stato di vera e propria documentazione.
Stabiliti i giusti legami con gli addetti ai lavori, avvalendosi delle loro competenze e, agendo nel limite del possibile e del rispetto per il loro lavoro e la tragedia appena avvenuta, il fotografo mette in atto il senso delle sue stesse parole.
La storia delle conseguenze dell’attentato alle Twin Towers è tutta in quegli scatti: Meyerowitz ottiene senza ostacoli di muoversi tra le macerie del Grand Zero e documenta, documenta, documenta. Partendo dai detriti accumulatisi dopo le esplosioni e i crolli, continuando per le operazioni di demolizione e della messa in sicurezza di ciò che ancora era rimasto, passando per gli scavi e la rimozione dei detriti, il fotografo alimenta quell’idea di archivio per la città. Le immagini sono realizzate con più tipologie di mezzi fotografici; dal banco ottico (grande formato), per una ripresa ricca di dettagli e che non lascia nulla al caso, e una più comoda 35mm, per muoversi nel difficile territorio che la devastazione aveva generato.
Quegli ottomila scatti diventano presto collezione permanente per il Museo della Città di New York, come archivio della distruzione e del recupero a Grand Zero.
Il ruolo di Meyerowitz, in questa occasione, è sì di fotografo ufficiale della tragedia, ma anche di mediatore, tra l’area blindatissima, i lavoratori che si sono prodigati per il recupero, e New York; il fotografo ha potuto catturare ogni momento.
Le foto, di notevole forza e crudezza, mettono in evidenza lo sforzo fisico e umano che ha richiesto tale recupero e ciò era esattamente quello che ci si prospettava nel momento in cui l’affermazione “no photography meants no history” è stata fatta e considerata per tale tragico evento.
Ognuno di questi documenti è archivio e racconto allo stesso tempo; archivio storico e racconto di storie, di chi ha perso la vita in un’occasione così terribile, di chi ha lavorato per ripulire, di chi ha agito per ricostruire. Il tutto ha ottenuto una risonanza mondiale che definisce e punta in maniera completa al non dimenticare mai, al considerare che se c’è la possibilità di documentare, è bene metterla in atto.
Joel Meyerowitz – Aftermarth
Nell’ultimo caso messo in evidenza, così come in quello che ha attenzionato l’opera di Marinella Senatore, l’intento principale vede la fotografia come il mezzo primario della documentazione a 360°. Che sia essa di un momento della vita, che sia di un’enorme tragedia, che sia una raccolta continua di immagini e attimi, la documentazione risulta essenziale e unica.
Senza nessuna pretesa, senza nessuna banalità, si presenta all’osservatore, all’interessato, al fruitore, con purezza e essenziale interezza, nel suo ruolo di restitutore di “realtà reale”.
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SITOGRAFIA
– http://marinella-senatore.com/downloads/Works_Marinella_Senatore_ITA.pdf
– http://www.digicult.it/it/news/arte-e-relazione-intervista-a-marinella-senatore/
– MARINELLA SENATORE COSTRUIRE COMUNITÀ – Borsa per Giovani Artisti Italiani, edizione 2013 5 OTTOBRE 2013 – 6 GENNAIO 2014 CASTELLO DI RIVOLI, TORINO – http://www.castellodirivoli.org/wp-content/uploads/2013/09/Marinella_Senatore.pdf
– Aftermath. World Trade Center Archive. Un libro di Joel Meyerowitz – http://www.cultframe.com/2006/10/aftermath-world-trade-center-archive-un-libro-di-joel-meyerowitz/
– http://www.joelmeyerowitz.com/
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Biografia dell’Autore
*Laura Cantale Diplomata in Progettazione Artistica per l’Impresa presso l’Accademia di Belle Arti di Catania. Docente di materie artistiche nella scuola secondaria è Cultore della Materia per il corso di Decorazione e Progettazione del Libro D’Artista (Prof.ssa Anna Guillot) ABA Catania. Ha collaborato con diversi artisti di fama internazionale come Marinella Senatore, Paolo Parisi e Fabio Orsi. Esprime la propria ricerca attraverso la fotografia digitale, il video e l’installazione. Suo campo preferenziale è inoltre il libro d’artista, sfruttando le diverse sfaccettature e possibilità che tale forma artistica permette.
B-RESEARCH – di Balloon Contemporary Art, Research, communication, Curating Art &Publishing Project
ballooncontemporaryart@gmail.com
Catania
Un progetto di ricerca a cura di
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Gruppo di selezione
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Cristina Costanzo
Maria Giovanna Virga
Giovanni Scucces