L’editoria indipendente è il nuovo ambito d’azione che nelle arti visive contemporanee ha saputo trovare il suo spazio mettendo insieme diversi elementi della produzione artistica.
L’autoproduzione di “edizioni” che fanno capo a progetti curatoriali o espositivi, a gruppi di artisti, fotografi, curatori, addetti ai lavori mette nero su bianco l’attuale condizione della produzione culturale italiana e straniera. Questo scritto analizza i diversi approcci al “farsi un libro” che sia capace non solo di raccontare un percorso artistico ma che sia esso stesso un prodotto artistico.
La diffusione del mezzo tecnologico di stampa da un lato e il ritorno alla copia numerata hanno dato origine a nuovo sistema editoriale alternativo con codici stilistici e contenuti innovativi e fortemente sperimentali.
Valentina Lucia Barbagallo e Giuseppe Mendolia Calella
PUBLIC DOMAIN FORMAT
di Alberto Cuteri*
La prima normativa sul copyright risale al 1557, quando la Regina d’Inghilterra concesse una licenza esclusiva di stampa alla gilda londinese Stationers Company, avanzando in tal modo una forma di controllo su quali testi fossero meritevoli di pubblicazione e quali no.
Nel 1710 approvando lo Statuto di Anna il Parlamento inglese trasferì il diritto di proprietà dagli stampatori agli autori, il cambiamento però rimase poco fruttuoso per questi ultimi che raramente disponevano di strumenti economici o tecnologici necessari alla stampa e così per ottenere la pubblicazione del proprio lavoro erano costretti a cedere gran parte dei diritti agli editori, che continuarono a conservare i maggiori benefici economici.
Lo Statuto di Anna ha il merito di gettare una luce sulla forma capitalista che caratterizzerà il rapporto tra editore, autore e pubblico: il regime del copyright da allora ha salvaguardato in nome della legge poteri economici forti o interessi particolari più che la libera circolazione delle opere. Tra il XX e il XXI secolo i legislatori hanno esteso la durata di tali licenze ad alcuni decenni oltre la vita dell’autore e accresciuto il regime giuridico al controllo non più solo della stampa, ma di ogni nuovo medium: parole, suoni, immagini, video, riproduzioni digitali, softwares. L’ampliamento della portata e della durata del copyright ha contribuito inoltre all’oblio di tante opere orfane, opere di cui si è persa traccia degli autori e che al tempo stesso non possono far parte del dominio pubblico.
“Essere nel dominio pubblico, cadere nel dominio pubblico, si dice dell’opere letterarie e dell’altre produzioni dello spirito o dell’arte, le quali, dopo un certo tempo determinato dalle leggi, cessano d’esser proprietà degli autori o de’ loro eredi.”
Dizionario dell’Accademia di Francia – 1860
Il lavoro creativo è da sempre una pratica sociale che mostra in chiave contemporanea idee, parole e immagini provenienti dalla realtà che ci circonda. Ogni nuova conquista poggia su strati sedimentati di sapere condiviso. Omero, una dei poeti più importanti per la nostra cultura, basò l’Iliade e l’Odissea sull’elaborazione e accorpamento di storie tramandate per tradizione orale; secondo molti la sua figura non è reale ma una personificazione della facoltà poetica del popolo greco. Senza entrare nel merito di ideologie o bandiere dalla nascita del Mito, passando per la Bibbia, l’Enciclopedia, il Whole Earth Cathalog, sino ad arrivare a Google, l’uomo ha catalogato indicizzato e condensato il sapere per distribuirlo, plasmando cultura formazione e direzione dei propri simili.
La figura del genio creativo è riconducibile al Romanticismo, che ha celebrato l’artista come autore spontaneo, indifferente a regole e convenzioni sociali. Questo cambiamento culturale è avvenuto probabilmente più per motivi storici ed economici che per spirito critico. Stava nascendo infatti una nuova classe sociale – quella borghese – e questo spinse molti autori a premunirsi di strumenti filosofici e legali che assicurassero un ritorno economico adeguato alla diffusione delle opere ad un pubblico sempre più vasto, ammiccando a nuove logiche di mercato e promuovendo da lì in avanti una sorta di feticismo in campo artistico nei confronti dell’autore e delle opere.
La conseguenza di questa sottomissione alle emergenti dinamiche economiche e sociali fu che le pratiche collaborative, di appropriazione e trasmissione furono recriminate, molte opere censurate.
Il plagio, che fino ad allora aveva riguardato la pubblicazione di opere da parte di falso autore subì un’estremizzazione e scrittori come Coleridge, Stendhal, Wilde furono accusati in tribunale per aver inserito all’interno dei propri testi alcune citazioni o idee provenienti dalle opere dei maestri.
Ma le idee sono virali, nascono da altre idee, ne cambiano la forma e si spingono verso nuove direzioni. Il regime di esclusività derivante dal copyright ha fatto sì che tale promiscuità venisse recriminata e delegittimato il processo creativo, succube di contingenze che spesso hanno generato gelosie e incrinato sani rapporti umani e sociali in nome di un privilegio legale, economico. L’autore – vittima ingenua? – dentro questo sistema è forzato ad essere despota nei confronti della propria opera e della sua proliferazione, sottraendo un contributo importante alla memoria culturale collettiva, operando da censore di se stesso, e incatenando l’immaginazione al volere della legge. Dal romanticismo ad oggi in molti – Lautreamont con le sue poesie impersonali, i Dadaisti, i Situazionisti, Luther Blisseth e Wu Ming, senza considerare le pratiche nate dal campionamento e dal collage in ambito musicale – hanno dato importantissimi contributi artistici opponendosi al regime d’autore.
Oggi l’opinione pubblica, grazie ad Internet ed alle crescenti possibilità di autoproduzione derivanti dall’uso di strumenti tecnologici sempre più accessibili, sta invocando nuove e alternative forme di diritto d’autore, che traggono spunto dal copyright ribaltandone alcuni principi: il così detto copyleft o permesso d’autore per esempio. Licenza di questo tipo è la GNU Free Documentation License, lanciata dalla Free Software Foundation per distribuire la documentazione di software e materiale didattico. Lo scopo di questa licenza è assicurare a tutti la libertà effettiva di copiare manuali e testi e redistribuirli, con o senza modifiche, a fini di lucro o no. Altre forme di controllo sono basate sul “fair use”, che nel rispetto di alcune condizioni, prevedono la liceità della citazione o l’incorporazione di materiale protetto da copyright oppure forme alternative di remunerazione compatibili con la concessione di uso personale non commerciale. Pratiche del genere sono riconducibili alla Creative Commons, licenza nata per coloro che desiderano condividere in maniera ampia le proprie opere secondo il modello “alcuni diritti riservati”, di cui per esempio si avvale Wikipedia.
“Il libro, in quanto libro, appartiene all’autore, ma in quanto pensiero appartiene – senza voler esagerare – al genere umano. Tutti gli intelletti ne hanno diritto. Se uno dei due diritti, quello dello scrittore e quello dello spirito umano, dovesse essere sacrificato, sarebbe certo quello dello scrittore, dal momento che la nostra unica preoccupazione è l’interesse pubblico e tutti, lo dichiaro, vengono prima di noi”.
Victor Hugo, Discorso d’apertura al Congresso letterario internazionale del 1878
Il settore delle pratiche svolte on line è di recente esploso fino a diventare onnicomprensivo. Abbiamo la possibilità di accedere ad una grande quantità di informazioni, riflesso di storie che dal mondo fisico defluiscono sul web. Come colpiti quotidianamente da schegge di dati ognuno di noi è stato abbandonato alla propria tattica di sopravvivenza in rete. La rivoluzione digitale a partire dai social network, dalle communities e dalle mailing list ha tracciato tra una notifica e l’altra nuove forme di comunicazione; il web, bruciando le tappe è divenuto il più grande medium di massa e sta riducendo i gradi di separazione, varcando le frontiere geopolitiche tradizionali e permeando nelle diverse culture tanto da influenzare il modo con cui ci relazioniamo con gli altri esseri viventi, gli oggetti, lo spazio e i territori. Il confine tra realtà digitale e realtà fisica si va sgretolando, abbiamo cominciato a colonizzare il metaspazio tra essere umano e dispositivo mobile; invochiamo la creazione di contenitori che replichino i nostri sensi; abbiamo avviato pratiche di cyborg-primitivismo e bio-hacking, produciamo protesi e applicazioni per migliorare le nostre vite, cominciamo a provare sentimenti nei confronti dei robot.
Nel mondo dell’arte si fa valere sempre più l’esigenza di impossessarsi dell’oggetto, o meglio dell’effigie, della riproduzione, per indagarne forma e contenuto. L’occhio è più rapido ad afferrare che non la mano a disegnare, il linguaggio sempre più concentrato, il supporto immateriale.
In campo artistico in molti lavorano attraverso la postproduzione di materiale pescato in rete. L’utente sul web scarta alcune informazioni e ne conserva altre; le più importanti può decidere di estrarle dal mondo on-line attraverso un salvataggio e usufruirne anche quando non è connesso, ad esempio vendendole al mercato nero di Internet.
Jacob Ciocci ha inserito sul proprio sito, nella pagina “New Expressions”, alcune istruzioni sotto il titolo “How to Create an Expression”, rivolte al pubblico per la creazione di Gif.
Altra pratica nata negli ultimi anni sul web è quella dei meme, dal greco mimema: imitazione (parola coniata da Richard Dawkins nel libro “The Selfish Gene”). Il pubblico diventa protagonista di un processo giocoso di rielaborazione e condivisione di un tema virale, che può arrivare a esplodere fino a creare un piccolo tsunami digitale.
Questi sono oggi alcuni esempi di emancipazione condivisa in rete, e lo stesso circuito dell’arte può trovare una fonte di ispirazione in tale pratica.
“non si parla, infatti, di un soggetto sempre eguale a se stesso, ma di una realtà mobile e plurale: che si costituisce attraverso tecnologie e pratiche di sé, che si ricrea incessantemente, che cambia con frequenza identità, che modifica continuamente il proprio volto e la propria forma”
M. Galzigna, Comunità virtuali e pratiche di sé, Introduzione a Pratiche collaborative in rete, a cura di M. Mapelli, Mimesis
Sta emergendo una coscienza rinnovata dalle attuali pratiche di sharing e autoproduzione della cultura; tra ricerche scientifiche e operazioni d’arte si stanno lanciando dei ponti attraverso la “teoria dell’informazione”. L’Io ne risulta decentrato. Fare cultura in modo indipendente oggi riguarda l’uso di strumenti accessibili per l’autoproduzione e diffusione piuttosto che il fatto di essere di nicchia o fuori dal mercato.
“Cosí, nell’ambito dell’intuizione si annuncia ciò che nell’ambito della teoria si manifesta come un incremento dell’importanza della statistica. L’adeguamento della realtà alle masse e delle masse alla realtà è un processo di portata illimitata sia per il pensiero sia per l’intuizione.”
Walter Benjamin – L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica
L’archiviazione e lo scambio di dati sul web ha a partire da Napster sollevato pubblicamente alcune questioni etiche e morali prima che economiche, e fatto emergere alcuni paradossi legati al sistema della proprietà privata al tempo della rete. Se accessibilità, condivisione, riproducibilità costituiscono parte del valore di un opera come relazionarsi con la proprietà privata in ambito artistico, scientifico? è davvero applicabile alle opere creative? Il copyright sottrae ancora l’informazione al dominio pubblico, perpetrando un privilegio anacronistico in favore di sistemi che spesso fraintendono il senso stesso dell’opera.
Oggi è possibile generare cultura attraverso piattaforme che archiviano un “espressione collettiva” come sta facendo Wikipedia; cataloghi e pubblicazioni dovrebbero rispecchiare tale necessità, rendendosi aperti a interventi da parte dello spettatore e capaci di restituire frammenti d’infomazione come pezzi di un puzzle di cui non si conosce il disegno unitario…
“un’opera d’arte che abbia la stessa apertura perenne della realtà”.
Umberto Eco – Opera aperta: forma e indeterminazione nelle poetiche contemporanee
Parasite2.0 : ubiquitos tribe
Sto scrivendo questo testo con il mio Smart Phone in connessione al mio cloud, mentre mi reco in aereoporto a bordo di Uber per prendere un Low Cost che mi porterà ad Amsterdam dove verrò ospitato da un utente Air BnB. In questo momento potrei essere considerato un ritratto delle nuove forme e delle trasformazioni che la nostra società sta affrontando quasi inconsciamente. “Ubiquitous Tribe” è un progetto commissionato da Città Ideale. Obiettivo richiesto è attrezzare e configurare a studio d’artista per residenze temporanee gli spazi della Sala delle Colonne alla Fabbrica del Vapore. Ma cos’è oggi lo spazio di lavoro per un artista, o per l’ormai mitologica working class contemporanea, il fantomatico “creativo”? Nella postmodernità avanzata assistiamo alla nuova egemonia del lavoro intangibile, della produzione immateriale. Il lavoro intellettuale, scientifico, la comunicazione e la produzione informazioni e data sono diventati sempre più centrali e indispensabili, soppiantando il lavoro fisico. [1]
“The Internet lacks closure, not in some cloying therapeutic sense, but literally. At every moment a website can be surfed, linked, crawled, or refreshed by any one (or several million) of billions of browsers. The net isn’t “read” like a book, “watched” like a movie, nor “attended” like the theater — it is “browsed.” The word itself suggests a restless, sideways scuttling motion, a distracted kind of snacking without end. Everything else ends — the book closes; the screen goes dark; the curtain falls; the orchestra leaves the stage. But the browser never finishes its meal, never stops, and is never sated.”
Matthew Stadler, matthewstadler.org
La rivoluzione digitale ha attivato un profondo processo di trasformazione. Venti anni fa Internet occupava lo 0% della produzione umana di energie. Oggi, solo l’economia digitale consuma il 10% dell’elettricità mondiale, la stessa quantità consumata dall’intero pianeta nel 1985. La movimentazione di data usa il 50% di energia in più dell’intera aviazione mondiale.[2] Questa nuova condizione ci porta alla “Proceleration”, l’accelerazione dell’accelerazione, e ad una notevole dilatazione e alterazione della nostra percezione del tempo. L’uso di internet ha completamente alterato la vecchia temporalità. Ci ritroviamo a rifiutare i processi lenti dovuti all’utilizzo di tecnologie considerate obsolete. La linearità della mente pre ventunesimo secolo è oggi sostituita da un reticolo, un Cloud che può essere considerato una sua nuova estensione. L’alterazione nella percezione del tempo e le nuove capacità cerebrali acquisite stanno cambiando in modo sostanziale il lavoro stesso e le modalità con cui lo affrontiamo. Ora i confini tra lavoro e non-lavoro sono diventati fluidi. Il tempo dell’ozio e il tempo libero, parte di quei diritti fortemente rivendicati dalla prima società industriale e conquistati con duri conflitti, ci vengono, quasi inconsapevolmente, estorti da quei device che sono continuamente nelle nostre mani. Il lavoro invade la totalità della nostra vita e la nostra esistenza. Quello che era un sistema basato sul “pieno impiego standardizzato” capace di gestire le biografie individuali , si fa meno rigido, rendendo flessibili i suoi capisaldi: diritto del lavoro, luogo di lavoro e orario di lavoro. Svanisce, dunque, il concetto e la distinzione tra classi lavorative [3] Dalla progressiva omologazione nella classe media del ventesimo secolo, la precarietà ci porta alla “Aclassification”.
“Aclassification (n.)a- +classification: Aclassification is the process wherein one is stripped of class without being assigned a new class.If you lose your job at an auto assembly plant and start supporting yourself by giving massages and upgrading websites part time, what are you? Middle class? Not really. Lower class? That sounds archaic and obsolete. In the future, current class structures will dissolve and humanity will settle into two groups:those people who have actual skills (surgeons; hairdressers; helicopter pilots) and everyone else who’s kind of facking it through life. Implicit in aclassification is the idea that a fully linked world no longer needs a middle class.”
“The Age of Earthquakes: A guide to the extreme present”, S. Basar,D. Couplan, H.U. Obrist
“I’m in what appears to be an office, surrounded by people who appear to be doing work. There’s a coffee machine, mugs, lever arch files, Post-it notes, hole punches, staplers, highlighters; in other words, the generic paraphernalia of business. (…) Think of the formula: lobbies, reception desks, suspended ceiling panels, laminated desks, PCs most likely running generic software designed to record a similar set of tasks and information. New York, London, Paris, Munich; coast to coast, LA to Chicago; Dublin, Dundee, Humberside; Primrose Hill, Staten Island, Chalk Farm and Massif Central all merge into a endless landscape of contract carpet tiles. “
“Offices designed as fun palaces are fundamentally sinister”, Sam Jacob, Dezeen
Nell’era del cambiamento eterno e permanente,“The Age of Earhquakes”, l’ufficio, lo studio, sembra definitivamente scomparire. All’interno delle nostre case iperconnesse e fabbriche di dati ed informazioni, alcune “Disruptive innovation” , stanno cambiando non solo quello che abbiamo a disposizione, ma anche il modo di vivere, anche la nostra presenza nel mondo. Si genera un nuovo habitat digitale che permette la dissoluzione dei luoghi di lavoro e li trasporta in dispositivi personali iper-connessi. Allo stesso tempo, si sviluppano anche forme di resistenza a questo fenomeno e un ritorno all’analogico in alcune pratiche, che rifiutano l’imperante smaterializzazione e digitalizzazione del reale. Inizia una fuga dall’iperconnessione e dall’iper accessibilità a portata di mano. Sotto la pressione di una serie di urgenti questioni contemporanee – distruzione ambientale a scala planetaria, scarsità di risorse energetiche, catastrofi naturali, economia neoliberale del capitalismo globale e grandi migrazioni ambientali, solo per nominarne alcuni- lo sviluppo tecnologico vertiginoso e il concetto stesso di umano o di natura, potranno subire bruschi cambiamenti e trasformazioni drammatiche, venendo messi in discussione. Immaginiamo un mondo tra l’iper tecnologico e l’arcaico, dove queste due forti contrapposizioni si mescolano completamente. Le presunte possibilità aperte da internet e la digitalizzazione perderanno il loro entusiasmo adolescenziale, per rivelare invece il loro reale potenziale, la nuova egemonia del corporate, arricchita dall’immensa quantità di dati che racconta noi stessi. In resistenza a questi fenomeni, nasceranno nuove Tribe, che migreranno nelle isole deserte post catastrofe, tra virtuale e reale, mescolando il nuovo e il preistorico, in un nomadismo tribale e in artefatti ibridi dello scarto. Il progetto “Ubiquitous Tribe” si sviluppa nella lotta stessa tra l’accettazione e la resistenza al nuovo paradigma imposto dall’avvento del digitale. Mescola l’apertura e flessibilità dei processi comunitari ed opensource del mondo di internet, con l’analogico e l’estrema semplicità ed ingenuità primitiva di semplici oggetti modulari di uso comune. Possiamo immaginare cosa sarà lo spazio di lavoro derivato da questa tensione?
What does the future look like for those lacking digitalrepresentation? And what does it look like for those who areoverrepresented—the digitally obese? If the conditions underwhich I exist are too precarious for me to be considered a user inthis new landscape, I may be destined for extinction, or I mayalready be extinct, part of a barren, obsolete present that will soonbe discontinued.”
“TURK, TOASTER, TASK RABBIT”, Julieta Aranda e Ana Teixeira Pinto, E-Flux
[1]- Negri, Antonio (2012) “The energy of the exodus of the work from capital” pubblicato su “Beyond Entropy. When Prototypes become Space” .London,Beyond Press Press. P. 71-72
[2]- Basar, Shumon. Coupland, Douglas. Obrist, Hans Ulrich (2015) “The Age of Earthquakes: A guide to the extreme present” .London, Penguin Books.
[3]- Beck, Ulrich (2000) “La società del rischio. Verso una seconda modernità”. Roma, Carrocci Editore.
Parasite 2.0
Estratto dal testo “Guerilla Open Access Manifesto”
L’informazione è potere.
L’intero patrimonio scientifico e culturale, pubblicato nel corso dei secoli in libri e riviste, è sempre più digitalizzato e tenuto sotto chiave da una manciata di società private.
C’è chi lotta per cambiare tutto questo. Il movimento Open Access ha combattuto valorosamente perché gli scienziati non cedano i loro diritti d’autore ma pubblichino invece su Internet, a condizioni che consentano l’accesso a tutti.
Forzare i ricercatori a pagare per leggere il lavoro dei loro colleghi? Scannerizzare intere biblioteche, ma consentire solo alla gente che lavora per Google di leggerne i libri? Fornire articoli scientifici alle università di élite del Primo Mondo, ma non al Resto del Mondo? È oltraggioso e inaccettabile.
Intanto non siete stati a guardare. Vi siete intrufolati attraverso i buchi e scavalcato recinzioni, liberando le informazioni che gli editori hanno chiuso, condividendole con i vostri amici.
Ma tutte queste azioni avvengono nella clandestinità, al buio e nascosti. Sono chiamate “furto” o “pirateria”, come se condividere conoscenza fosse l’equivalente morale di saccheggiare una nave e assassinarne l’equipaggio. Ma condividere non è immorale — è un imperativo morale.
Non c’è giustizia nel rispettare leggi ingiuste.
È tempo di uscire allo scoperto e, nella grande tradizione della disobbedienza civile, dichiarare la nostra opposizione a questo furto privato della cultura pubblica. Dobbiamo acquisire le informazioni, ovunque siano archiviate, farne copie e condividerle con il mondo. Dobbiamo prendere ciò che è fuori dal diritto d’autore e caricarlo sull’archivio del web. Dobbiamo acquistare banche dati segrete e metterle sul web. Dobbiamo scaricare riviste scientifiche e caricarle sul web in file-sharing. Dobbiamo lottare per un Guerrilla Open Access. Se in tutto il mondo saremo abbastanza, non solo manderemo un forte messaggio contro la privatizzazione della conoscenza, ma la renderemo un ricordo del passato.
Vuoi essere dei nostri?
Aaron Swartz
Estratto dal testo “In solidarietà con Library Genesis e Sci-Hub”
Nel racconto di Antoine de Saint Exupéry il Piccolo Principe incontra un uomo d’affari che accumula stelle con l’unico scopo di essere in grado di comprare altre stelle. Il Piccolo Principe è perplesso. Possiede solo un fiore, cui dà l’acqua ogni giorno. Tre vulcani, che pulisce ogni settimana.“E’ utile ai miei vulcani, ed è utile al mio fiore che io li possegga. Ma tu non sei utile alle stelle…”
Elsevier possiede uno dei più grandi database di materiale accademico, che sono concessi a prezzi così scandalosamente alti che persino Harvard, l’università più ricca del Nord del mondo, ha denunciato il fatto di non poter sostenerli ancora a lungo. Nonostante tutti i lavori supportati dagli investimenti pubblici dei quali beneficiano gli editori accademici, in particolare la peer review sulla quale si basa la loro legittimazione, gli articoli delle riviste hanno spesso un costo così alto da impedire l’accesso alla scienza a molti accademici – e a tutti i non-accademici – nel mondo, e così da renderla un segno di privilegio.
Elsevier ha recentemente presentato un’azione legale a New York per infrangimento del copyright contro Science Hub e Library Genesis chiedendo milioni di dollari di danni. Quest’azione è un grosso colpo, non solo per gli amministratori di quei siti ma anche per le migliaia di ricercatori in tutto il mondo per i quali quei siti sono l’unica sorgente accessibile per i materiali accademici.
Gli editori commerciali impediscono di fatto l’open access, lo criminalizzano, perseguono i nostri eroi e le nostre eroine, e distruggono i nostri cataloghi, di continuo. Prima di Science Hub e Library Genesis c’era textz.org; prima di textz.org c’era little; e prima di little non c’era nulla. Questo è quello che vogliono: ridurre nuovamente la maggior parte di noi al nulla. E hanno il pieno supporto dei tribunali e della legge per fare esattamente questo.
Siamo tutti custodi dei saperi, custodi delle stesse infrastrutture dalle quali dipendiamo per produrre saperi, custodi dei nostri produttivi ma delicati beni comuni. Essere custodi significa, di fatto, scaricare, condividere, leggere, scrivere, revisionare, editare, digitalizzare, archiviare, mantenere cataloghi, renderli accessibili. È fare uso dei nostri saperi comuni, non possederli.
Condividi questa lettera – leggila in pubblico – lasciala in una stampante. Condividi i tuoi scritti – digitalizza un libro – carica i tuoi file. Non permettere che il nostro sapere sia schiacciato. Interessati ai cataloghi – interessati ai metadata – interessati ai backup. Dai acqua ai fiori – pulisci i vulcani.
Dušan Barok, Josephine Berry, Bodó Balázs, Sean Dockray, Kenneth Goldsmith, Anthony Iles, Lawrence Liang, Sebastian Lütgert, Pauline van Mourik Broekman, Marcell Mars, spideralex, Tomislav Medak, Dubravka Sekulić, Femke Snelting,…
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Biografia dell’Autore
*Alberto Cuteri (1988) è nato a Catania, dove attualmente frequenta la Facoltà di Architettura (sede di Siracusa). Ha partecipato ad alcuni moduli del Master Relational Design (curato da Abadir e Id_Lab) tra Italia e Germania. Lavora per Ritmo, spazio che ospita giovani realtà artistiche.
Bibliografia di riferimento:
Anna Nimus – Copyright, Copyleft And The Creative Anti-Commons
Amy Alexandre – The plagiarist manifesto
Walter Benjamin – L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica
Paul Valéry – Pièces sur l’art, Paris (La conquête de l’ubiquité)
Umberto Eco – Opera Aperta
Sitografia di riferimento:
http://publicdomainmanifesto.org/
https://web.law.duke.edu/cspd/
https://it.wikipedia.org/wiki/Omero#La_questione_omerica
https://it.wikipedia.org/wiki/Copyleft
https://it.wikipedia.org/wiki/GNU_Free_Documentation_License
https://it.wikipedia.org/wiki/Diritto_d%27autore_italiano
http://www.creativecommons.it/
https://it.wikipedia.org/wiki/Fair_use
http://www.facebook.com/events/135836373468868/ Aformal Academy Digital Dialogue #4 – Paper or Code? When the alphabet becomes a building material
https://www.facebook.com/events/1726006637620733/1751049558449774/ Open Score : Art and Technology 2016 – Rhizome
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B-RESEARCH – di Balloon Contemporary Art, Research, communication, Curating Art &Publishing Project
ballooncontemporaryart@gmail.com
Catania
Un progetto di ricerca a cura di
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Gruppo di selezione
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Cristina Costanzo
Maria Giovanna Virga