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Il giardino invisibile di Susana Ljuljanovic

 

In occasione della sesta edizione del festival multidisciplinare di arti performative Mercurio Festival, svoltosi dal 21 Settembre al 5 Ottobre ai Cantieri Culturali della Zisa di Palermo, l’artista Susana Ljuljanovic (Roma, 1987) presenta Songs For Invisible Garden. Fondendo performance e videoarte, Ljuljanovic illustra la sua visione del mondo e la sua maniera di percepirlo tramite l’esplorazione del sè: nei paesaggi naturalistici ora acquatici, ora desertici, ora boschivi si inserisce il corpo della performer Alice Razzu, fasciato da tute leggere di tulle, come delle mute somiglianti agli involucri delle crisalidi. Grazie a quest’ultime il corpo si “attiva” come punto di incontro tra l’umano e il naturale, tra il conosciuto e il misterioso. La delicatezza del tulle corrisponde alla delicatezza con cui il corpo della performer attraversa e “sente” gli ambienti, saggiandoli senza scegliere una postura analitica, ma divenendo parte integrante di essi: il corpo dentro le tute si scherma e si svela, confondendo i confini dell’umano e del naturale. Come se essa indossasse la natura, sul tessuto con cui è avvolta sono cucite perle, conchiglie, pietre, a richiamare la materia organica.

 

Susana Ljuljanovic – Songs For Invisible Garden, Foto di Nayeli Salas.

 

L’Io naturale e l’Io umano non sono due facce della stessa medaglia, ma un volto solo: scompare così la tendenza peculiare dell’essere umano di prevaricare la natura, di dominarla, mostrando che una convivenza pacifica e un’intesa sincera tra le specie è possibile. La contemplazione della natura “assorbe” lo spettatore in un’esperienza totalizzante, se pur semplice, pura.

La potenza degli scenari è accompagnata, quasi a contrasto, da una musica minimalista e ariosa, ispirata all’album del duo sperimentale Green House – da cui Songs For Invisible Garden prende il titolo – ed efficace nel comunicare un’atmosfera rarefatta, se pur viva.

 

 

Lo scorrere delle immagini fa da sfondo alla performance dal vivo, in cui la stessa performer del video, avvolta da una delle tute, si muove nello spazio. Gli elementi naturali con cui acclimatarsi ora si mischiano agli spettatori umani, la cui personificazione nella performance è palesata da un secondo personaggio (Alfred Sobo Blay): anch’esso nascosto da una tuta di tulle, segue la protagonista in un incontro scontro quasi primordiale. Al termine della loro danza, i due svelano i loro volti guardando se stessi e la natura coi propri occhi: riconoscendoci nell’altro finalmente esistiamo.