Editoriale

 

Azione sentimentale

Lucrezia Zaffarano

 

Ottobre mese di cambiamenti e contrasti: il decimo mese del calendario segna l’inizio della stagione autunnale e rammenta antiche tradizioni rurali insite nell’uomo. A suo modo è un tempo di attesa; difatti è solo con la sua conclusione, quando i colori verdi cedono il passo ai bruni, ed il cambiamento climatico si è fatto evidente nell’avvicendarsi con la stagione successiva, che hanno inizio nuovi momenti di sacra  e profana celebrazione.

Ottobre, con le sue contraddizioni ed i suoi folclori introduce e rievoca il lavoro di Lucrezia Zaffarano (Milano 1991). L’artista, nelle sue opere propone una visione antropologica dell’arte: partendo dai costumi dell’uomo, indagandone le superstizioni, ed i gesti sacri. Nei suoi lavori vediamo rispecchiata l’esigenza umana dell’oggetto e come questo diventa metafora di pensiero.

In Azione sentimentale un volto viene cancellato. Una colata di cemento disturba i connotati fisionomici ricomponendone una nuova identità. La scultura, pur rimanendo riconoscibile in quanto tale, nel gesto pittorico della Zaffarano, diventa altro da sé.

Azione sentimentale è un opera gestuale che sottolinea la necessità dell’artista di manifestarsi e di agire oltre la superficie delle apparenze. Tramite la poetica della cancellazione del volto Lucrezia Zaffarano provoca un senso di smarrimento in cui, il ribaltamento di prospettiva, agita nello spettatore l’esigenza di una ricerca verso nuovi significati in cui identificarsi e riconoscersi.

 

 

In Italia l’arte della ceramica è una tradizione secolare: Azione sentimentale rappresenta, per l’artista, la dicotomia tra memoria e bisogno di raccontare con nuovi gesti chi siamo.

L’opera, il cui titolo rimanda alle performance di Gina Pane, nasce da un’esperienza di vita da parte dell’artista stessa: “da bambina le statuine in porcellana venivano riposte da mia nonna sopra le mensole più alte, così da essere intoccabili tesori a cui tendere. Le mostrava da vicino solo poche volte e i dettagli dorati mi sembravano un sogno. Le bramavo in qualche modo proprio perché impossibili. Quando si è ammalata la prima cosa che ha fatto è stato distruggere ciò che ha protetto tutta la vita. Cimeli preziosi frantumati in un secondo, mandala di sogni svaniti con il vento. Questo è il potere del gesto e dell’appropriazione.”  Così, gli oggetti che illusoriamente ci appartengono e che carichiamo di significati, altro non sono che un illusione ed intimamente  legati alla precarietà della vita stessa. “Per me questo è significante” , continua la Zaffarano, “le tradizioni, questioni invisibili eppure tanto pesanti, creano nella nostra società corde a cui siamo legati a filo doppio. Ma se invece avessimo il coraggio di intervenire? Di cambiare qualcosa e romperle?

 

L’opera rappresenta un simulacro in cui, tramite l’intervento di mutazione del volto da parte della Zaffarano, l’intoccabilità delle tradizioni diventano specchio della società stessa. La statua è simbolo di ciò che permane nonostante tutto, portatrice di memoria e tradizione.

Ecco dunque come il gesto brutale di umiliazione del volto, volutamente creato con il cemento, rende l’annichilamento della figura ancora più rilevante: lavorando sulla cancellatura, e sull’irricoscibilità del volto, il nostro istinto sarà quello di voler scoprire ciò che il cemento cela, di spingere il nostro sguardo oltre il gesto distruttivo, alla ricerca di un conforto e decodificare la metamorfosi dell’oggetto, tentando di riconoscere dei connotati a noi familiari e, tramite questa effimera proiezione, sentirsi al sicuro,