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EXPERIMENTUM CRUCIS 2024

A Noto “Il soffio vivente della contemporaneità”

 

Lo scorso luglio è stata inaugurata presso l’Ex-Caserma Cassonello di Noto la nuova edizione di Experimentum Crucis, rassegna internazionale di arte multimediale a cura di Rosa Anna Musumeci che accoglie e affianca il lavoro di 40 artisti in un’eterogenea selezione di ricerche e media espressivi. Il progetto espositivo è visitabile fino al 31 dicembre 2024.

 

Vista dell’allestimento. Ph M. Pometti.

 

Entrando negli spazi espositivi dell’ex-caserma, ad accoglierci vi è un ampio ambiente chiesastico (il luogo è infatti, ancor prima che un’ex-caserma, un ex-convento). Il primo impatto è coinvolgente: due grandi lavori catturano sin da subito lo sguardo. La prima è la fascinosa ed algida insegna luminosa di Matteo Attruia, polo occidentale della sala, in cui la parola WELCOME risulta mutila, le tre lettere centrali sono infatti spente sicché il ritaglio luminoso ottenuto deforma il messaggio iniziale mutandolo in WE___ME. L’asserzione d’accoglienza viene dunque ad essere defunzionalizzata, ridicolizzata e ribaltata ironicamente ma, anche, all’opposto, estremizzata; la seconda è la grande opera su carta della sammarinese Priscilla Beccari. La Caduta è composta da tre lunghe bande di carta che scendono nette dal soffitto, i soggetti e gli oggetti rappresentati sono un cavallo, un fantino, un frustino ed un cappello, tuttavia, benchè quella qui dipinta sia un’effettiva caduta da cavallo, le figure, nettamente divise dalla tripartizione e dai rapporti proporzionali, contrappongono, alla vertiginosa situazione dinamica, l’immobilità della loro lettura simbolica. Raccordo tra i due lavori è poi l’installazione Crisi di Sasha Vinci, l’opera è composta da forme di pane nero realizzate in cemento poste sul pavimento a formare un cerchio: anche in questo caso ciò a cui assistiamo è la perversione di un simbolo, il completo ribaltamento di un concetto in un processo che trova il suo primo impulso nella storia etimologica del titolo. Già da questo primo segmento comincia a delinearsi ciò che anima la rassegna (come tale, in effetti, si presenta) e le dà corpo, formando il legante capace di tenere insieme la diversificata selezione proposta, ovvero, un certo sentimento del contrasto, un atavico conflitto declinabile nelle forme della lotta, degli uomini con sé stessi, innanzitutto, così come degli uomini con la natura, in un perenne cozzare di contrari perpetuamente sottoposti ad un insolvibile esperimento cruciale.

 

Sasha Vinci e Matteo Attruia.

 

Proseguendo nello spazio, ritmato dalle cornici architettoniche delle cappelle, troviamo poi due delicate opere su carta di Venia Dimitrakopoulou piacevolmente arricchite dalla suggestione vagamente sacrale che l’ambiente riesce a conferire ed una piccola quanto enigmatica opera di Pietro Fortuna, giocosa nel suo rapporto tra forma astratta e titolo (Se un canarino pesa così, quanto pesano due canarini?), così come due opere accoppiate dalla curatrice in occasione di questo allestimento, ovvero l’opera video A fragmented world di Sara Tirelli e Elena Mazzi e il lavoro sonoro immersivo di Michele Spadaro per cui è previsto d’indossare, oltre le cuffie, uno speciale gilet capace di produrre feedback aptici. Entrambi i lavori hanno come soggetto il vulcano Etna, nel primo è possibile seguire il tragitto di un corridore che quotidianamente percorre le distese inospitali del deserto lavico della Valle del Bove; nel secondo è presentato un più letterale ritratto sonoro di ciò che dentro il vulcano può celarsi. Tuttavia, il lavoro che meglio sfrutta i chiaroscuri architettonici preesistenti è l’opera site-specific del giovane Maurizio Pometti, in cui una serie di disegni e dipinti di vario formato rivestono, ben cadenzati, lo spazio di una cappella, i delicati appunti visivi così sparpagliati si “agganciano” alla parete ed il tratto di matita evade i confini del foglio velando le sottili crepe del muro per perdersi poi nuovamente in contorni di figure di conigli e di cervi, elementi ricorrenti nel lavoro dell’artista.

 

 

Secondo polo della sala, e cuore dell’intero allestimento, è invece l’installazione di Stefano Cagol: Al prima e al dopo (di noi). L’opera è calata all’interno degli scavi della porzione più antica dell’edificio e risulta inizialmente celata allo sguardo. È essa stessa però a richiamarci all’attenzione, infatti, a cadenza regolare, un luminosissimo bulbo alogeno sospeso a mezz’aria si accende abbagliando con la sua luce intensa l’intera sala. Sotto di esso, incassate tra le rovine, troviamo poi delle assi di legno su cui sono ammucchiati diversi specchi rotti ed altri materiali riflettenti (tutti elementi di recupero provenienti dalla discarica di Noto), eppure in nessuno di essi è possibile specchiarsi ed il visitatore non riesce mai a scorgere la propria immagine, lasciando ad ogni angolazione del tutto intatta l’immagine simbolica e desolata che ci si mostra e generando così, al contempo, un certo turbamento.

 

Stefano Cagol Al prima e al dopo(di noi) 2024. Ph M. Pometti.

 

La mostra prosegue dunque al secondo piano attraverso ambienti meno caratterizzanti per cui è concessa una più libera collocazione a parete. Percorrendo le scale è infatti subito possibile vedere l’urgente e imperiosa Giù le mani dai santuari!, composta da nove ritratti-manifesto su cartone realizzati da Tiziana Pers raffiguranti altrettanti visi di maiali uccisi all’interno di un rifugio in seguito allo sgombero della polizia, così come tre lavori ad acrilico su foto di Gianluca Capozzi. Buona parte del piano è poi dedicata alle opere video (per la cui visione è presente anche un’ampia sala proiezioni) in cui è possibile vedere, tra le altre, Looping di Alessandro Costanzo, Sisifo_2 di Gianluca Lombardo e La terra Brucia di Adam Vackar. In quest’ultimo film, la narrazione, scontrandosi con l’istintiva costernazione data dalla visione di un bosco incenerito, ci fornisce una valutazione positiva dell’incendio ed in generale ci informa della complessità dei processi che coinvolgono il fuoco. O, ancora, The fourth conversation di Francesca Grilli, che mette in scena una commovente quanto confortante ninna nanna “cantanta” da un gruppo di balie sorde, così come le riprese della placida performance subacquea Doride, efferveshing di Maura Biavia in cui il legame con l’elemento naturale pare temporaneamente ristabilito. Un’ulteriore lungo ambiente ospita poi alcuni lavori di poesia visiva del giovane artista Wang Jingyun, una foto di Davide Bramante a cui ha annesso, a conferire un certo effetto plastico, dei neon commerciali di recupero, un lavoro fotografico di Lior Gal completamente velato da un ovattante filo di cotone nero e tre paesaggi di Leopoldo Mazzoleni in cui viene ad essere indagata la capacità dell’acqua di traportare, scindere e mescolare il colore: la varietà dei supporti cartacei “programmati” viene infatti regolarmente bagnata di modo che i risultati formali così ottenuti contengano in sé chiaramente espressi i processi di interazione della materia che l’acqua stratifica nello scorrere del tempo. Esperimento simile, benché con esiti ed intenti del tutto differenti, è quello condotto nella stessa sala da Antonio Guiotto in Trasformazione di un libro preso a caso dalla biblioteca di casa in cui un libro, costantemente immerso per metà in una piccola bacinella d’acqua, deforma gradualmente le sue regolari forme originarie.

 

 

Il percorso espositivo trova, infine, un’ideale conclusione nel levitante e delicato preziosismo di Francesco Voltolina Antahkarana, in cui un punto dorato, calco bronzeo di una piccola pigna, viene sospeso a mezz’aria tramite tre lunghi e sottili fili di seta agganciati ad altrettanti estremi della sala. Il punto di congiunzione così creato si fa simbolo di purificazione naturale e spirituale, crocevia tra umano e celeste nella sintesi contratta di una nuova immagine di germinante floridezza. Il valore ricettacolare in tal modo ottenuto viene ad essere acuito inoltre dalla sua collocazione: la piccola pigna dorata si fa infatti eco discreta dell’accecante lampadina di Cagol mettendosi in relazione diretta con la sottostante opera, che, dal punto di sospensione in cui ci troviamo, si ripropone integralmente al nostro sguardo ponendoci veemente innanzi una nuova prospettiva su questa trasandata zattera di plastica e cristalli aguzzi, ma, anche stavolta, nessun riflesso.

 

Vista dell’allestimento con l’opera di Gianfranco Anastasio.

 

Artisti in mostra: Gianfranco Anastasio, Paolo Angelosanto, Matteo Attruia, Younes Baba-Ali, Francesco Balsamo, Priscilla Beccari, Maura Biavia, Davide Bramante, Stefano Cagol, Gianluca Capozzi, Tiziana Cera Rosco, Alessandro Costanzo, Marco Dalbosco, Venia Dimitrakopoulou, Pietro Fortuna, Eva Frapiccini, Giovanni Gaggia, Lior Gal, Alice Grassi, Francesca Grilli, Antonio Guiotto, Gianluca Lombardo, Claudio Maccari, Claudio Marini, Elena Mazzi, Leopoldo Mazzoleni, Mattia Ozzy B., Daniele Pario Perra, Isabella Pers, Tiziana Pers, Maurizio Pometti, Michele Spadaro, Sara Tirelli, Miha Strukelj, Adam Vackar, Sasha Vinci, Serena Vittorini, Void, Francesco Voltolina, Jingyun Wang.