MËMA MË FAL
La cura del ricordo
Sino al 1 settembre è possibile visitare al Museo Civico di Castelbuono (PA) “Mamma Perdonami / MËMA MË FAL”, mostra personale dell’artista Genny Petrotta (1990, Piana degli Albanesi, PA), a cura di Eva-Maria Bertschy. Il progetto è un atto di cura collettivo nei confronti di una memoria storica andata perduta: la Repubblica contadina di Piana degli albanesi.
La memoria
“Mamma Perdonami / MËMA MË FAL” nasce dalla necessità coltivata dall’artista sin da quando aveva diciotto anni di raccontare una parte importante della storia del suo paese natale, relativa al secondo dopoguerra. Benché non marginale, il racconto è stato dimenticato o, per meglio dire, soppresso dalle cronache ufficiali.
Come si legge nella didascalia nell’opera video visibile in mostra:
Il 31 dicembre 1944, a Piana degli Albanesi, un gruppo di giovani
ribelli proclamò una Repubblica Contadina indipendente.
Durò 50 giorni, poi venne repressa nel sangue.
[…]
Queste persone volevano portare il cielo in terra,
ma sono state dimenticate.
Seicento giovani, tra i venti e i trent’anni, decisero di ribellarsi all’autorità che aveva mal gestito il raccolto al punto da permettere che chi aveva di più derubasse chi aveva meno. Dopo cinquanta giorni la polizia straziò con le torture quell’atto di libertà. Questa violenza, a differenza della strage di Portella della Ginestra, vicina nel tempo (1947) e nello spazio, poiché avvenuta nello stesso paese, non venne tramandata.
Il motivo è forse che la strage del ‘47 è riconosciuta come atto terroristico della banda criminale che sparò contro la folla di contadini riuniti per celebrare la festa dei lavoratori. Forse per via della “legalità” dell’agonia in cui fu chiusa, la repressione della Repubblica contadina fu silenziata.
Mossa dal turbamento della nipote undicenne alla repressione di un’altra ribellione giovanile – quella del G8 nel 2001 – la nonna dell’artista le raccontò le torture subite dal fratello di suo marito, Giacomo Petrotta, Leader della Repubblica dei cinquanta giorni.
La memoria
Raggiunta la maggiore età, l’artista decise di trovare le fonti e portare alla luce l’intera storia, i cui unici appigli, oltre ai poco reperibili nastri registrati dello zio Giacomo, erano le ‘’Testimonianze da una Repubblica Contadina’’ di Angela Lanza e una pièce teatrale, andata perduta, che raccontava la storia della giovane Repubblica autonoma.
Un monito è stato motore della modalità in cui il lavoro è stato portato avanti: “Sai che la storia non si mette in scena?”. L’artista ha perciò ricostruito e interpretato la vicenda e la sua trasposizione performativa e poetica in un percorso collettivo che ha coinvolto sia alcuni giovanissimi abitanti di Piana degli Albanesi sia artisti, artigiani ed esperti locali e non.
I laboratori
In una serie di laboratori partecipati dagli studenti dell’ICS SKANDERBEG, delle classi II e III della Scuola Media di Piana degli Albanesi e Luna Marie Brancaccio Ratthei, l’artista ha ragionato sul concetto di lotta all’autorità, argomento protagonista nell’età adolescenziale, e sulla memoria come esperienza attuale, personale e collettiva.
Genny Petrotta ha invitato i ragazzi a domandare ai propri nonni della vicenda della Repubblica e a discuterne poi in classe rapportandola alle urgenze locali e mondiali di oggi.
In seguito si è giunti alla fase di espressione dell’elaborazione di questa memoria, in chiave anti-monumentale, benché si trattasse di un’impresa imponente, quella che gli antichi concittadini avevano compiuto: “portare il cielo in terra”.
Lo hanno fatto anche i giovanissimi pianesi d’oggi. Con l’aiuto del pittore Giuseppe Borgia, della coreografa e performer Gloria Dorliguzzo, dell’esperto di costumi tradizionali Gabriele Petta e della musica di Angelo Sicurella hanno cucito passato e presente, in modo che dall’ordito collettivo emergessero le voci individuali di ogni partecipante, animate dalla propria interpretazione del sentimento di lotta.
L’opera video
Nel video di MËMA MË FAL, la memoria segue il filo di una narrazione poetica in albanese antico, che amplia il senso delle immagini filmiche dalle quali viene reciprocamente estesa in termini spaziali. Le prime scene ritraggono infatti la realizzazione dei copricapi tipici albanesi, i plisi, fatti realizzare dall’artista durante una residenza in Kosovo e fatti indossare, così come le gonne, sia ai ragazzi che alle ragazze.
Il Monte Kumeta domina il resto del film, rivelandosi pian piano non semplice scenografia ma co-protagonista del lavoro. Durante il racconto delle torture inflitte ai giovani ribelli si alternano infatti le immagini del corpo dell’artista coperto interamente di sale, uno dei supplizi narrati, e la levigatura della roccia del monte.
Il respiro del sale risponde all’alito della roccia. Gli scultori Francesco Albano e Simone Zanaglia sono stati invitati dall’artista a suggellare la carezza dei corpi martoriati, con un gesto analogo al Monte che ha assistito alla loro lotta.
Le fenditure rettangolari ritagliate sulla superficie rocciosa riprendono le misure delle tavole su cui erano eseguite le torture, il cui immaginario è evocato ancor più dalla pietra rossa che emerge dalla levigatura. L’ultimo atto di questo processo corrisponde a una carezza che custodisce il significato finale di tutto il lavoro: la cura del ricordo come (ri)costruzione della storia.
La produzione
“MAMMA PERDONAMI / MËMA MË FAL” è stato prodotto dalla Fondazione Studio Rizoma in collaborazione con Autostrada Biennale Prizren, con il sostegno di diverse istituzioni culturali nazionali e internazionali (Museo Civico di Castelbuono, Genía Lab Art Palermo, Postane Istanbul, Inland Madrid, Museo delle Civiltà Roma e European Alternatives Parigi).
Il progetto è realizzato grazie al sostegno della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero della Cultura nell’ambito di Italian Council (12a edizione, 2023), il programma di promozione internazionale dell’arte contemporanea italiana.