Le Geoscritture di Martina Mura
mappe di un’introspezione
Si chiude domani, 8 Marzo 2024, presso Art Studio Finestreria di Milano la mostra personale di Martina Mura dal titolo Geoscritture – Pratiche di coesistenza, a cura di Claudia Ponzi e con un testo di Elisa Barbieri. Uno stratificarsi di segni e tracce; geografie immaginifiche e attraversamenti della superficie terrestre; visioni aree su paesaggi interiori.
Le mappe interiori
Nel 1654 viene pubblicata nel romanzo Clelia di Madeleine de Scudéry l’illustrazione di un’insolita mappa che l’autrice titola come “carta del Paese di Tenerezza”, un paesaggio inventato che tenta di descrivere gli amori felici e infelici e le sue casistiche.
Carte de Tendre ou Carte du Pays de Tendre. Madeleine de Scudéry (1654).
Il lavoro di Martina Mura muove dagli stessi principi della Scudery: tentare di percorrere l’intimo, l’io e di visualizzarne i percorsi.
Il segno che l’artista utilizza per questi “tracciamenti” è tuttavia trattato non tanto come forma, quanto più come scrittura; Mura utilizza dunque un linguaggio apparentemente astratto ma che in realtà è il frutto di un’analisi concreta e profonda.
Così come la geografia ha per oggetto la descrizione interpretativa della superficie terrestre o di sue parti, le Geoscritture di Martina Mura hanno altresì lo scopo di descrivere e interpretare l’io ed universalmente la sfera intima e profonda dell’uomo. Aldilà della forma estetica che questi lavori propongo, occorre tentare di leggere tali palinsesti di segno e colore come un testo asemico il cui atto stesso della scrittura è percorso e azione di auto-indagine.
Incandescente e Pietas. Ph W. Aparicio e C. Ponzi.
Due domande all’artista
Il rapporto che la Mura ha con la natura è determinante: percorrere la superficie della terra coincide con l’analisi segnica e interiore che via, via intesse sulla superficie pittorica, sulla carta o addirittura con ago e filo su tessuto. In questo processo di attraversamento l’artista innesta la “pratica della raccolta”: frammenti e tracce sia fisiche che metafisiche, quali parametri di composizione ma anche occasione di osservazione profonda di se stressa mediante la natura.
Il segno è un elemento fondante del tuo lavoro; segno che si trasforma in percorso di attraversamento per la costruzione di mappe. Come procedi nella strutturazione di questa tipologia di lavori? Ti muovi tra azione esplorativa e formalizzazione del segno contemporaneamente o in diversi momenti?
Si svolge in diversi momenti. I due processi si influenzano a vicenda ma non hanno un ordine ben preciso.
Certo durante l’esperienza dello spazio esterno, possono accendersi intuizioni che suggeriscono un tracciato, un insieme di segni possibili di una nuova mappa; la formalizzazione però, di solito, avviene in studio. In questo spazio, la ricerca si muove con diversi materiali come cartine geografiche, foto satellitari, Google Maps ed altro. Anche le letture sono per me vitali nello sviluppo dell’opera: ogni elemento visivo, insieme all’azione esplorativa, contribuisce alla costruzione dei lavori.
Carta senza posizione n°8, 2019, Acrilico su tela, 35×28 – Ph M. Fronteddu.
Il rapporto con la natura caratterizza la tua ricerca; come ti relazioni con essa nella formalizzazione dell’opera?
Le pratiche che compio all’esterno sono soprattutto l’osservazione, l’esplorazione e la percezione di sé. Questo avviene negli ambienti naturali e non; cerco di porre l’attenzione su come un individuo, in questo caso me stessa, può sentirsi in un luogo inteso come spazio geografico.
Molte delle mie opere fanno riferimento a spazi naturali e incontaminati, alla natura nel suo termine più puro e selvaggio, perché ciò che mi affascina di più di questi luoghi è il vuoto apparente, le tracce invisibili ma presenti dell’uomo che si relaziona con la natura nel corso del tempo.
Se questo succede nella mia pratica, è anche perché vivo spesso le città e la dimensione urbana, senza eccezioni negative e positive. Penso che i luoghi siano motore di mutamento per le persone e viceversa.
Raccogliere frammenti
Nell’atto del camminare, che come è chiaro è per l’artista un primo momento d’analisi, Mura attiva un secondo livello d’analisi, prelevando lungo il percorso piccoli semi; in questa operazione e nella relativa copia dal vero in forma scultorea, Martina Mura affronta la scoperta del proprio esistere, come esistono tali frammenti che hanno trattenuto la vita. Inoltre, nell’ossessiva e minuscola riproduzione, l’artista si isola dalla realtà per aderire totalmente alla natura in un’atto creativo primordiale.
Banca dati. Ph W. Aparicio
Questa mostra e in generale il lavoro di Martina Mura, attiva nell’osservatore una riflessione sulla possibilità di un’autoanalisi: attraversamento come rivelazione del proprio paesaggio interiore e mentale e nel rapporto con la natura come forma di co-esistenza.
Gli spazi bianchi della Finestreria accolgono in un equilibrio perfetto le opere, che possono essere contemplate nella giusta dimensione; il ritmo dell’allestimento permette una scoperta lenta nella dimensione micro ma riesce anche ad offrire una visione d’insieme, dunque macro, sull’operato dell’artista e sui temi che propone.
Nell’ambito del finissage della mostra di Martina Mura Geoscritture Pratiche di coesistenza di domani – 8 marzo 2024, ore 18.30 – verrà presentato il magazine JULIETcon l’intervento di Emanuele Magri assieme a Irene Follador e Davide Militano.
Autore: Giuseppe Mendolia Calella
Progettista e studioso del contemporaneo, analizza da diversi anni il legame tra Arte e Design. Nel 2012 ha co-fondato il progetto di ricerca e divulgazione sulla cultura visiva contemporanea balloon project. È docente di Cultura del Progetto presso lo IED - Istituto Europeo di Design di Milano e di discipline progettuali nella scuola secondaria di secondo grado. Si occupa di comunicazione per la cultura e il design; ha collaborato con aziende e realtà italiane attive nell’ambito delle arti visive contemporanee e della cultura del progetto.