Luna Splendida:
la mostra di Camilla Miliani a Catania
Da 2LAB a Catania la quarta mostra della rassegna fotografica sulla “Libertà” per tentare di far luce sul fenomeno del “bride kidnapping”.
L’8 settembre 2023 è stata inaugurata presso lo Spazio 2LAB di Catania, la mostra fotografica di Camilla Miliani (Isola d’Elba, 1997) dal titolo “Luna Splendida”, la quarta delle sei mostre appartenenti alla rassegna fotografica “Libertà”, organizzata dallo stesso spazio espositivo e che ormai procede dal passato ottobre 2022 tra talk e incontri con gli autori.
La mostra in questione affronta un fenomeno poco comune a noi occidentali – potremmo dire fortunatamente – ovvero il rapimento violento delle bambine locali per scopo matrimoniale, sovente organizzato dalle famiglie della stessa bambina e che rappresenta una tradizione da tempo consolidata in Kirghizistan, nonostante sia stata decretata illegale dal 1994.
Aisuluu, la protagonista di questa storia amara, dalla quale la mostra trae il suo titolo riferendosi al significato kirghiso del nome, è di fatti una delle tante vittime di questi atroci e violenti rapimenti, che a differenza di altre ragazze ha avuto il coraggio e la forza di fuggire da quest’unione abominevole e che incontrando Camilla Miliani a Bishkek ha modo di far conoscere la propria storia. Il ruolo documentaristico della fotografa ha quindi una rilevanza pregnante in questa circostanza, perchè ha il compito di – per l’appunto – documentare e rendere conosciuto un fatto certamente ignorato in altre parti del mondo, tramite uno dei mezzi più strettamente legati al presente: la fotografia. Ma come raccontare ciò che l’occhio del fotografo non può vedere e soprattutto come mostrare ciò che è già successo? Il tempo indubbiamente gioca a sfavore del fotografo, che per anni ha lottato affinché la sua pratica venisse annoverata tra le arti. E allora ci si accorge che a risolvere le questioni del tempo è proprio l’arte, che grazie alla sua forma fluida e capace di adattarsi alla forma del contenitore che la accoglie, può mostrare l’invisibile e comunicare qualcosa che si è conosciuto direttamente. Risulta quindi spontaneo domandarsi se l’arte possa adattarsi alla fotografia documentaria e viceversa, ma la risposta è assolutamente affermativa perchè è la storia della fotografia stessa che ce lo dimostra; quindi probabilmente ci si dovrebbe interrogare se effettivamente il fotografo documentaristico debba obbligatoriamente avvalersi di un approccio artistico (ovvero carico di indice estetico) per raccontare storie. Certamente no. L’arte non è qualcosa che si pesca dal cassetto come un calzino da indossare e d’altronde non è obbligatorio indossare calzini.
Nel corso del tempo un ampio numero di artisti si è approcciato all’archivio fotografico con le intenzioni più disparate, superando il mero utilizzo di vecchie fotografie e accedendo a campi di significato in cui l’immagine rappresentava unicamente il pretesto per accedervi. Anche Camilla Miliani adopera le infinite possibilità di utilizzo dell’archivio, riportando in mostra vecchie fotografie della protagonista della storia e del suo rapitore. Non è chiaro, in base alla vicenda raccontata direttamente dall’artista durante l’opening, come questo materiale sia stato recapitato, facendo sorgere dubbi e perplessità sulla veridicità della storia, che certamente non è una caratteristica necessaria nell’arte, ma di sicuro lo è per la fotografia documentaria.
A fare da filo di connessione narrativa tra i personaggi coinvolti – pressoché soltanto la bambina nelle sue varie età e una volta il viso del suo rapitore – è un pallino rosso stampato sui volti di queste vecchie foto d’archivio, a cui la fotografa affianca immagini da lei realizzate che tenterebbero artisticamente l’accesso a quelle atmosfere di significato per sostenere il racconto: la fotografia di un’auto qualunque che allude alle auto con cui si fanno i rapimenti (un po’ cinematografico come punto di vista), una donna che passeggia distratta per strada di sera per suggerire uno stato di pericolo in cui vivono le donne che potrebbero essere rapite all’improvviso (nonostante quella fotografata sia una donna più che adulta e nonostante il bride kidnapping riguardi le bambine) e infine la bandiera strappata del Kirghizistan per suggerire le ferite di questo luogo. Un tentativo di ricostruzione dei fatti forse un po’ troppo superficiale per un argomento così delicato rischia di rendere la fotografia – e l’arte – un mero approfittamento di queste vicende per realizzare contenuti esponibili e probabilmente acquistabili.
Luna Splendida è certamente una mostra che testimonia l’attenzione e l’impegno attivo che da tempo 2LAB ha verso tutte le libertà negate all’essere umano, dimostrando il valore virtuoso della questione, ma che purtroppo non adempie a quelle che sono le necessità e le urgenze della fotografia documentaria, che sfida la sensibilità dell’autore e del mondo intero per mostrare realtà troppo spesso ignorate e che potrebbero essere un importante punto di partenza per dibattiti, che sempre più spesso, fanno luce su tematiche delicate e di ampiamente rilevanti che riguardano la società contemporanea in cui viviamo.