Lo stylist quo
Nello sterminato glossario contemporaneo, ci sono termini che hanno un presenzialismo lessicale paragonabile all’ubiquità mediatica di Bruno Vespa in promozione editoriale. Termini che acquisiscono uno spropositato ego semantico. Sono termini totipotenti, un tempo parole etero-normative che hanno acquisito oggi fluidità di genere, passando dal nero al bianco, dal rifiuto di un’identità specifica all’assimilazione di tutte le identità in una, assorbendo colore e calore.
Termini ombrello come “comunicazione” ad esempio, che hanno smarrito da decenni il loro significato generico, sempre ne abbiano avuto uno. Adesso, dismettendo i panni di un U. Eco pedestre, veniamo al dunque: avrete certamente sentito parlare di stylist anche se non avete mai messo piede all’Apollo, al Plastic, al Bar Basso o alla Balera dell’Ortica.
In realtà, il termine stylist ai non abietti ai lavori dirà poco più di nulla, e non posso fare a meno di provare una sana invidia per questa umanità ingenua e beata. Chiunque invece abbia a che fare con il fashion e con le sue prevedibili diramazioni rischia di non aver sentito altro negli ultimi anni.
Da “vestitori” di backstage in passerella, matchatori di capi e di stili durante gli shooting oltre che meticolosi aggiustatori di pieghe, a veri e propri esegeti, interpreti di fashion designer, fino ad acquisire un carisma maieutico e demiurgico.
Gli stylist non volevano solo partecipare alle feste, volevano avere il potere di farvele indossare
Il New York Times e Vogue Usa cominciarono a porsi il problema già nel 2003. Noi lo facciamo adesso, a tarda notte, sottovoce come piace a noi. Giacobbo, (mia ossessione), lo farà tra qualche tempo.
Chi sono gli Stylist? Dove vivono? E di cosa si nutrono?
Gli Stylist non sono editor, tendenzialmente non scrivono di moda e non l’hanno mai fatto, la interpretano per tutti noi fedeli, infedeli, ortodossi, eterodossi, laici, profani e osservanti. Per noi accolgono la legge divina, attraversando il Mar Rosso.
Infine, stremati da un’esegesi sfinente, ci restituiscono una vulgata fatta di “camicia su dolcevita di cachemire, calzino con i sandali, calzino bianco su mocassino nero, tunica di voile con anfibi punk, camicia da maschio alfa etc. etc”.
Gli Stylist oggi creano mondi che possano non “ friggere” in video (addio quadri, checked e vichy crudeli), costruiscono mondi che “funzionino”, che “fittano” e che “matchino” bene, universi che strizzano l’occhio non importa a chi o a cosa l’importante e che “lo faccino”, e tutto questo, lo fanno per lo show che must go sempre più on! Ed é solo allora che… il resto scompare.
Gli stylist non solo fanno l’abito ma anche il monaco come dimostra Achille Lauro: wip ovvero work in progress, esperimento che sperimenta sé stesso, provetta di laboratorio ancora fumante di uno dei più autorevoli celebrity o meglio rockstar stylist del Paese: Nicolo “Nick” Cerioni.
Dall’Inferno al Purgatorio, lo stylist tipologia Cerioni ascende all’empireo dei creative director, bonté divine.
Cerioni appartiene a quella tipologia che fuori dallo Stivale è, a dirla tutta, già storicizzata.
Se nel secolo scorso una Maripol, (cui un Contemporary arts something ha già dedicato una retrospettiva), ha definito il dna visivo di Madonna, Debby Harry, Cher e Grace Jones, il nostro Cerioni ha decodificato il genoma immaginifico di Orietta Berti: This is the girlfriend (accurate)!
Cerioni, come Michelangelo col marmo, toglie pietra per lasciare emergere la zia Orietta, per la quale la messa in piega settimanale rappresenta la relazione di causa effetto con la Messa domenicale. Così, la pietra scolpita che profuma di Splend’Or e incenso liturgico diventa Orietta di Samotracia, imbalsamata in caftani di paillettes fucsia.
Emerge impetuosa quella zia strappata alla Casa del Liscio e catapultata in un matrimonio del ‘93 in cui ha avvertito il dovere immorale di impugnare microfono e trattenere la nota in un Sì bemolle eterno, nonostante gliene restassero mille. Un mondo fatto di Osvaldi, taglie quinte in coppa D, enfatizzate da conchiglie di paillettes senza fine, e ancora piumaggi e mies venuti fuori da un archivio di abiti da cerimonia Made in Secondigliano.
Persino l’amore civettuolo di un certo pubblico per la sua virtuosissima vocalità da balera romagnola è stata orchestrata dagli già stylist ora cretive director, creatori di sogni, dispensatori di fiabe, spargitori di lacche spray e distillatori di universi-mondi.
È in questo interregno che avviene il miracolo: lo stylist semplice, l’interprete, l’Olga Fernando della moda, diventa un Edward Scissorhands che ci fa vivere la magia della neve scolpendo prodigiosamente cumuli di ghiaccio.