Immersioni esperienziali
e interazioni digitali
Visioni future sull’arte
Vasti ambienti ricoperti da sconfinati universi tridimensionali in cui i suoni rimbombano, la vista si perde e il corpo si lascia trascinare da un andirivieni di immagini virtuali, si stanno diffondendo sempre di più nel mondo e hanno visto un’impennata a seguito della pandemia.
Dal Mori digital Art Museum di Tokyo all’Ateliers des Lumiers di Parigi, dal Tate Modern di Londra al Nxt Museum di Amsterdam, le mostre immersive o immersive experience travolgono i sensi guadagnando incassi da record e diventando la nuova frontiera dell’arte.
Proiezioni sviluppate con strumentazioni tecnologiche emergono dalle pareti con i grandi capolavori dei maestri che si trasformano in percorsi allucinogeni dove si schiudono immaginari altri, che includono una vasta gamma di opere conservate in diversi musei sparsi in luoghi geograficamente lontani.
Questo rappresenta sicuramente un ragguardevole vantaggio, se si pensa che per trasferire un’opera dall’altra parte del pianeta è necessario un costo non indifferente e al tempo stesso garantisce la sua salvaguardia dal rischio di un possibile danneggiamento e dal furto. C’è ancora chi rimane estremamente perplesso da questo nuovo modo di fruire l’arte storicizzata, gridando allo scandaloso e tracotante insulto al carattere unico dell’opera d’arte che oggi non è solo riprodotta, ma addirittura manipolata.
Come se si volesse “imporre” l’immaginazione di altri, di chi sta dietro questa imponente scenografia per incantare lo spettatore che viene travolto sensibilmente fino allo stordimento, a sfavore dell’aspetto critico-riflessivo. Perché rimanere così restii e, aggiungerei, obsoleti rispetto all’innovazione digitale che ha consentito un’apertura amplificata dei contenuti e una crescente compartecipazione da parte di un pubblico, spinto semplicemente all’interazione, alla condivisione, alla comprensione tramite i più avanguardistici dispositivi.
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Al di là dell’immersione nell’arte totale, importante acquisizione è stata l’introduzione della realtà aumentata e della cosiddetta realtà mista, connubio tra il reale e il virtuale, che percepisce il gesto e il movimento quali attivatori di funzioni interattive dentro uno spazio progettato per stimolare dinamicamente l’esperienza espositiva. In fondo, la tecnologia sta estendendo gli orizzonti, fornisce nuovi modi per esperire l’arte, non la intacca di certo, anzi sta agevolando il processo di attrazione. Attenzione a non scambiarlo per mero atto “consumistico”, il dilemma è d’obbligo, purché con attrazione s’intenda il puro momento di immagazzinamento della bellezza e della conoscenza, qualsiasi forma sia. Tra l’altro, sembra che la digitalizzazione abbia anche un certo impatto ambientale, argomento che sta ormai molto a cuore alla generazione Greta Thunberg.
Non pensiamo alla tradizione e al nuovo come un’eterna lotta tra due entità contrastanti, l’una non deve sostituire l’altra. Siamo all’alba di una nuova era, di nuovi medium, così come era stata la fotografia quasi due secoli fa che pareva voler soppiantare la pittura. Apriamoci alla futuristica visione dell’arte. E ai posteri l’ardua sentenza.
In copertina: Salvador Dalì, L’énigme sans fin, Immersive Art Exhibition presso Atelier des Lumières, Parigi 2021 (questo file è concesso con la licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International)