Paura della pittura, una discussione
di Ettore Pinelli
Paura della pittura a cura di Gabriele Salvaterra, è la mostra personale di Giovanni Blanco, ospitata dalla Galleria Lo Magno di Modica (Rg), e appena conclusa.
Ne abbiamo discusso con artista e curatore, in un’intervista dalla formula inconsueta.
In questa breve introduzione le parole rubate a Giovanni che non potrebbero difinire in maniera migliore i propri intenti all’interno del progetto:
“Paura della pittura” non già come un punto fermo e certo, ma come un dispositivo aperto e rizomatico, capace ancora di scandagliare angoli e visioni della storia che esulano dal mero discorso dell'”artificio” del linguaggio pittorico.
“Paura della pittura” parte proprio da questo ragionamento, facendo della questione dei generi e degli stili una condizione della pittura slegata dalle logiche del mercato, perché ancorata ad un sentire organico e senza certezze, per questo spero portatrice di riflessioni.
Abbiamo deciso di bypassare la formula dell’intervista standard per orientarci verso una discussione via mail in copia conoscenza, durata poco più di una settimana. Disarticolata, dai tratti ironici, e sicuramente non esaustiva sul progetto.
2 gennaio 2020 12:32 – 12 gennaio 2020 10:42
Ettore Pinelli
Ciao ragazzi,
spero di trovarvi bene, o almeno sopravvissuti quanto basta, per fare questa discussione in qualche giorno o una settimana, cioè prima che la mostra termini.
Ho avuto l’ok dalla redazione, e quindi diamoci ai divertimenti! Ognuno di noi scriva o commenti ciò che vuole, importante è, che all’inizio di ogni risposta, nessuno dimentichi di menzionare il proprio nome. Io mi comporterò da fruitore, che di tanto in tanto, chiede qualcosa di scomodo per mettervi in difficoltà.
Vorrei che scomodaste ogni aspetto o retroscena della mostra, aneddoti e punti di forza di questo progetto.
Ettore Pinelli
Si vocifera che la vera mostra di Giovanni sia da Blanco Tappezzeria, le insegne luminose con il cognome bene in vista attirano il pubblico, (locali adiacenti alla Galleria Lo Magno) e che in galleria, invece, ci siano solo le tele di prova del progetto, tante e fin troppo diverse stilisticamente per un solo autore, è plausibile questa informazione?
Gabriele Salvaterra
Assolutamente plausibile! La vicinanza di ben due rivenditori di tendaggi di nome Blanco alla Galleria Lo Magno, dove abbiamo esposto i dipinti di Giovanni, avrebbe dovuto suggerire a tutti chiaramente dove si svolgesse la vera mostra di arte contemporanea. Pochi ci hanno fatto davvero caso.
In galleria ci siamo quindi limitati con una manciata di quadri a mostrare il nostro timore per quel salto al di là del fosso (o della strada) e il nostro conseguente attaccamento a forme e modi ormai desueti del fare.
Giovanni Blanco
Tappezzare è un verbo che può assumere, a seconda dell’uso che se ne fa, sfumature ogni volta differenti: così non è stato difficile affidare ai vicini omonimi la duplice, quanto ambigua, rilevanza dell’essere una cosa e, allo stesso tempo, un’altra…
In fondo, già dall’insegna luminosa al neon con su scritto Blanco, ho capito che avrei avuto la libertà di agire secondo il criterio di scelta della non linearità (proprio come dichiara qualsiasi campionario di tessuti). Non contento, ho fatto applicare sulla parete più grande della galleria una imponente stampa fotografica. I conti tornano.
La colla usata ci è stata data dal negozio succitato.
Ettore Pinelli
Entrare in una mostra dove il linguaggio principale è quello della pittura e doverne avere anche paura mi sembra un po’ bizzarro. Io non ho avuto questa impressione. Avete forse dimenticato un punto interrogativo alla fine del titolo? E poi, chi o cosa dovrebbe averne paura?
Gabriele Salvaterra
A tal proposito, vorrei raccontarti un retroscena della mostra, un dietro le quinte che ha il sapore di una confessione intima; spero solo che di queste parole Giovanni non ne sia infastidito. Diversi mesi fa, quando stava armeggiando con i pennelli e i colori sulle prime tele, Giovanni mi ha scritto di questa sua idea di affrontare il tema della mostra a partire dallo sviluppo poetico, filosofico e critico legato all’articolo “Paura della pittura” di Carlo Levi. Fin qui, niente di strano. Qualche giorno dopo, eravamo a settembre, tenendomi al telefono per più di un’ora, con una voce concitata, come fosse stato turbato da chissà quale evento nefasto, mi confessa che è profondamente impaurito dall’idea di dipingere un vaso di girasoli. Quello stato di alterazione emotiva mi ha informato del suo timore e, al tempo stesso, della sua deferenza nei confronti di uomini di un’altra generazione. Il dipinto con i girasoli non è stato mai realizzato, disattendendo un aspetto del progetto espositivo: credo che in tutto questo c’entri davvero la paura…
Giovanni Blanco
Aneddoto che non confuto, anche se forse dimentichi che i quadri mancanti all’appello sono due, non essendoci stato neppure il d’aprés al Minotauro di Picasso che, secondo te, avrebbe dovuto rappresentare il suo “tentativo sempre fallito e sempre ripetuto, descrivendo in modi infiniti gli infiniti aspetti di un mondo divenuto mostruoso (…) battendo le porte dell’universo vietato, se qualcuna risponda con suon terreno”. Per usare proprio le parole di Levi. Credo che la paura, in qualche modo una forma estrema di consapevolezza di tutte le questioni in gioco, sia necessaria nell’addentrarsi seriamente in un discorso così complesso e stratificato come quello del dipingere. Anche se per Levi la paura che promanava dalla sua pittura contemporanea, e che alla fine è ancora la nostra, è una sorta di specchio di un’impossibilità alla vita e al discorso umanistico su cui purtroppo l’arte poco può. Difficile poter affermare che la crisi sia superata e che adesso non sia più così…
La mostra è stata comunque un affrontare delle paure, un abbandonare le certezze e accettare l’imprevisto, tanto nei testi quanto nel mio lavoro. Il Senza titolo che guida l’immagine del progetto è, per esempio, il tentativo di fare un quadro senza necessità né ragioni ma in maniera quasi gratuita, cosa che mi ha forzato a cambiare un modus operandi, scendendo a patti con timori e abitudini.
Ettore Pinelli
Gabriele, in occasione dell’apertura della mostra, ho avuto modo di sfogliare il catalogo e leggere il tuo testo che accompagna il progetto, strutturato come fosse un diario, frammentario e anti-discorsivo. Hai tentato di seguire Giovanni ricercando una sorta di molteplicità nella scrittura? Che connotazioni ha questo libro, oltre a documentare il progetto?
Gabriele Salvaterra
Direi che le parole che hai usato sono già perfette, aggiungerei anti-monumentale, plurale, parziale e incompleto. Più volte ho avuto l’impressione che mancasse ancora qualcosa o ho sentito l’esigenza di spiegare di più per ancorare il fluire del discorso a qualcosa di più concreto ed esplicativo.
Alla fine ho pensato che fosse giusto così, prendendo come obiettivo quello di affiancare parallelamente i medesimi processi che sentivo accadere nella pittura di Giovanni.
Così ho tentato di impersonificare generi e modi, facendo convivere il tono della recensione, del comunicato stampa, dello scambio epistolare (e-mail), della critica, del frammento diaristico e dell’appropriazione citazionista sia alta che bassa.
Forse ho ecceduto ponendo le parole più al centro di quello che dovrebbero essere ma quel che ne è uscito, con tutti i suoi limiti, è un volumetto autonomo che parla di un percorso, di un creare collettivo e di un immaginario che, dal piccolo, si espande come una galassia.
Giovanni Blanco
Aggiungo che una profonda e densa qualità umana nutre sia le parole che le immagini, come se inseguisse un tempo che non è stato pienamente vissuto… In una qualche misura, la pubblicazione ferma due voci all’unisono, intreccia e salda un dialogo sincero che vive in autonomia sulla carta stampata.
Ettore Pinelli
Con onestà, quali secondo voi sono i punti più fragili di questo progetto espositivo? Sempre che vi risulti ci siano.
Gabriele Salvaterra
Non percepisco fragilità in questo progetto, o quantomeno, ad una lettura immediata legata alle opere ed alla loro funzione. A livello tecnico, una lacuna esiste, data dai limiti strutturali dello spazio espositivo che, essendo diviso in due parti, crea una disomogeneità nella visione totale del lavoro.
Esiste un’anticamera del progetto, che nella prima sala, subordina le opere e gli interventi presenti alla sala più grande. Giovanni, tu sei al corrente di questo limite e di cosa abbia comportato?
Giovanni Blanco
Al di là dei possibili desiderata che si potevano avere su più elementi all’interno della produzione della mostra credo che i difetti siano stati anche i punti di forza, nell’accettare le imperfezioni, le cadute e i piccoli fallimenti. Penso che il progetto si sia posto con onestà “al di là del bene e del male” mostrando nella maniera più trasparente possibili ferite e incongruenze. Tutto ciò è entrato nel progetto, il suo stesso farsi ne è diventato contenuto e, anzi, grazie a questa intervista, le stesse parole che stiamo scambiando ne diventano parte integrante. È stato un condividere ossessioni e paure dove l’errore sarebbe stato, se mai, nascondersi o assumere una finta posa unilaterale.
Crediti fotografici: Franco Noto
In copertina: Paura della pittura – Veduta dell’installazione