La terza ed ultima Open Call di Balloon project è dedicata al legame tra la comunicazione visiva e il sistema delle arti contemporanee. I 3 articoli selezionati analizzano la cultura del progetto grafico nell’ambito delle arti visiva sia come strumento di comunicazione che come opera tra le opere.
Il ruolo del grafico nel sistema dell’arte contemporanea è diventato sempre più pregnante, a supporto degli altri attori quali artisti, curatori, galleristi e collezionisti. Il progetto grafico assume sempre più i connotati di un vero e proprio artefatto artistico non solo di supporto alla divulgazione di opere e progetti ma anche come oggetto feticcio con valore di unicità.
Valentina Lucia Barbagallo e Giuseppe Mendolia Calella
CODICI VISIVI
Come raccontare il contemporaneo
di Florinda Giannino*
Un museo, un’opera, un evento d’arte, cosa hanno in comune queste esperienze culturali?
Un artista e il suo pubblico. Per accedere l’uno all’altro universo non si può che avere la reale necessità di una figura che faccia da ponte tra i saperi e i linguaggi[1]. Questa figura è quella del progettista grafico.
C’era un tempo in cui l’arte non sarebbe esistita senza una sua committenza.
Con l’era moderna l’artista inizia a sperimentare per se stesso, finché l’idea di rivolgersi ad un pubblico ‒ sia esso largo o di nicchia ‒ inizia a farsi strada e a diventare un imperativo.
Oggi è il tempo in cui l’arte non esisterebbe senza un suo pubblico, ma soprattutto senza un racconto ad esso rivolto.
1929, New York. Alfred H. Barr Jr. è il primo storico direttore del MoMA, Museum of Modern Art. Con grande lungimiranza, è il primo a capire la grande importanza non solo di una forte identità visiva, ma anche di attivare un sistema museale rivolto al pubblico: didattica, itinerari, conferenze, visite guidate, utili didascalie, cataloghi con qualità del progetto grafico[2].
Oggi come allora, coordinare le varie aree di comunicazione per un luogo della cultura è quanto mai necessario, «un fatto senza storytelling non esiste.»[3], e ciò che fa il design della comunicazione è raccontare storie attraverso il linguaggio visivo.
In un’epoca in cui la cultura è diventata un prodotto, una buona comunicazione nel mondo dell’arte è necessaria, conta molto ed è sempre più competitiva.[4] «Integrare designer e il design thinking da subito aiuta a modellare i format dei progetti e al tempo stesso – se ha spazio – genera un buon marketing legato all’anima e al pubblico del progetto»[5] per citare la voce di Francesco Cavalli, direttore creativo di LeftLoft, noto studio di design della comunicazione.
Non bisogna pensare solo ad una questione di budget, anche se il carattere economico non è un aspetto trascurabile, quanto più ad un unico intento, che non è certo quello puramente decorativo, quanto quello di far diventare una cosa sola il progetto culturale e la sua comunicazione.
Con il termine «comunicazione» la lingua italiana intende il «rendere partecipe»[6], questione atavica nell’uomo, che ha sempre cercato e «utilizzato, per comunicare, gesti, suoni, immagini, organizzandoli in codici e linguaggi»[7].
Il graphic designer «viene chiamato dalla società per fare una comunicazione visiva»[8] diceva Bruno Munari «per informare il pubblico che c’è una novità in un certo settore» in qualità di artista della nostra epoca «non perché sia un genio ma perché con il suo metodo di lavoro riallaccia i contatti tra arte e pubblico […]. Perché infine risponde alle necessità umane della gente della sua epoca, l’aiuta a risolvere certi problemi indipendentemente da preconcetti stilistici o da false dignità artistiche derivate dalle divisioni tra le arti.»[9]
Al graphic design è affidato il delicato compito di conversione di una informazione, o più in generale di un contenuto, individuando la forma di espressione più adeguata per passare da un medium ad un altro le informazioni. La figura professionale del designer fa da mediatore, o per meglio dire da traduttore se assimiliamo il design della comunicazione ad un linguaggio[10], il linguaggio visivo, che è fatto di codici. Gli strumenti del graphic designer, infatti, sono i codici visivi: troviamo, innanzitutto, il codice iconico, l’uso delle immagini per descrivere; il codice grafico, che è l’insieme di tutti gli elementi compositivi della pagina (formato, font, layout); il codice relazionale, cioè le modalità scelte per sedurre il lettore e “intrappolarlo nella narrazione”[11].
Il proliferare di mostre, percorsi tematici, giornate dedicate, sono la conferma di una tendenza di un’arte contemporanea che va a caccia di fruitori predisposti ed interessati, ma anche di poter raggiungere ed incuriosire un bacino di utenza meno avvezzo ai prodotti culturali. È luogo comune, per molti, rimproverare all’arte contemporanea il suo risultare spesso criptica, meno interessante o coinvolgente rispetto l’arte dei grandi maestri del passato, di cui alcuni ne rimpiangono le belle forme, la figurazione. Come sfatare quest’approccio, che è una pura negazione della contemporaneità?
«L’arte non è che contemporanea, quella che può parlare alla nostra anima.»[12] Viviamo l’oggi, respiriamo il contemporaneo. E se si trattasse solo di cambiare storytelling? Creare una narrazione intorno all’arte tutta, che avvicini e coinvolga a pieno, significa riallacciare quell’equilibrio tra arte e pubblico che con la contemporaneità si è alterato.
Occorre far capire che finché l’arte resta estranea ai problemi della vita, interessa solo a poche persone. […] È necessario che l’artista abbandoni ogni aspetto romantico e diventi un uomo attivo fra gli altri uomini, informato sulle tecniche attuali, sui materiali e sui metodi di lavoro […] Il designer ristabilisce oggi il contatto, da tempo perduto, tra arte e pubblico, tra arte intesa in senso vivo e pubblico vivo.[13]
A voler individuare un periodo storico in cui questo coinvolgimento tra arte e tecnica[14] inizia ad essere preso sul serio non si può che citare il Bauhaus, celebre scuola di architettura, arte e design che operò in Germania tra il 1919 e il 1933.
Dal postmodernismo, inoltre, si inizia a teorizzare una cancellazione di un confine tra cultura alta e cultura commerciale[15]. «L’artefatto è divenuto, per usare le parole di Bruno Latour, un fatticcio, ossia un ibrido tra “fatto” e “feticcio”, corpo tecnico e punto d’attrazione di tensioni psicologiche e culturali»[16], dove opere e progetti si fondono e assumono un valore altro.
La grafica del Novecento è ricca di esempi di influenze artistiche e di sperimentalismi: dalle affiches di Toulouse-Lautrec all’arte di Andy Warhol, molti sono gli artisti divenuti grafici ed i grafici divenuti artisti. Che sia prodotto puro o pseudoarte?[17] La grafica appartiene alla sfera del design, inteso come «progetto grafico che prevede in ogni caso un’ampia destinazione del messaggio. L’immagine grafica si avvale pertanto delle varie tecniche di rappresentazione che le permettono di raggiungere comunque una propria autonoma artisticità»[18].
È attraverso la grafica che passa l’influenza dell’arte[19], a volte assottigliando la distanza che intercorre tra arte pura e arti applicate, probabilmente perché tutta l’arte è divenuta “applicata”: «tutto è “design”, tutto va disegnato, dall’oggetto d’uso più corrente all’abitazione, interno ed esterno, tutto l’ambiente umano»[20].
Il design della comunicazione non fa altro che modificare, condizionare, includere la nostra percezione del mondo stesso, senza dimenticare che «la pelle della città, quello che essa mostra di sé, è fatta in buona parte di artefatti comunicativi che avvolgono il “corpo” urbano e le sue “membra” (le case) in una fitta rete di segni (manifesti, insegne, luci, vetrine, graffiti, display…). Ed è proprio questa pelle ‒ pulsante colorata, sorprendente ‒ a determinare la tonalità emotiva con cui il paesaggio urbano si offre al nostro sguardo.»[21]
C’è già chi di questa osservazione ne ha fatto tesoro, applicando un vero cambio di rotta narrativo, un cambio di storytelling appunto, utilizzando quelli che sono i codici visivi propri del graphic design per creare percorsi vividi su una nuova superficie comunicativa, quella degli edifici delle città.
Si tratta di realities:united[22], studio di Berlino i cui progetti sono volti alla ricerca e alla sperimentazione tra arte, design e tecnologia. L’approccio sperimentale è in larga scala e assolve un ruolo di mezzo tra la light art e lighting design.
Tra i progetti, realizzati dal 2000 ad oggi, molti sono quelli per musei, esposizioni, gallerie[23]. Il filo conduttore è quello di creare una vera e propria trasudazione, dal dentro al fuori delle strutture. Lo scopo è creare un coinvolgimento totale del visitatore, come a offrire un racconto racchiuso in un’esperienza visiva, prima ancora dell’esperienza stessa della visita museale.
Il progetto TransReflex[24], ad esempio, poggia le sue basi su un’architettura medievale, un monastero, che oggi ospita un museo che si dedica soprattutto all’arte contemporanea nazionale e internazionale. 17 pannelli a specchio diventano delle superfici narranti: una volta aperti, con diverse angolature, riflettono lo spazio circostante. Un codice iconico preciso, ma multiforme, per raccontare per immagini sia l’area urbana circostante, moderna, sia quella interna, storica.
Forme geometriche si combinano a giochi di luce, invece, per il progetto C3A[25]: così come la struttura interna del Contemporary Art Centre è fatta di stanze esagonali in ripetizione, anche la superficie esterna è fatta di un pattern esagonale, dove ogni singola forma diventa “pixel”, ciascun pixel illuminato in maniera differente. L’intera composizione diventa un enorme display, una superficie che risulta a primo sguardo giocosa, evocatica, è anche il risultato di ricerche di percezione visiva.
Le media architecture[26] di realities:united sono l’esempio di un’evoluzione del design, che non fa altro che collaborare su più livelli ‒ di competenze, di interpretazione ‒ in un vero e proprio intreccio capace di spazzare via tutti i confini definiti tra arte e graphic design, per aprirsi ad altri mondi. Non è questa la vocazione del design, di assumere un valore metaculturale[27]?
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Note
[1] BAULE, G. – CARATTI, E., Design è traduzione. Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto, Franco Angeli, 2016, nel capitolo DeT 1.0 Un manifesto per Design e Traduzione.
[2] FERRARA, C., La comunicazione dei beni culturali. Il progetto dell’identità visiva di musei, siti archeologici, luoghi della cultura, Milano, Lupetti, pp. 35-36.
[3] Alessandro Baricco, Mantova Lectures in viaggio con Alessandro Magno Sulla Narrazione.
[4] Artribune Magazine n° 29, Comunicare l’arte. O no? Parlano i protagonisti (I) http://www.artribune.com/2016/01/comunicazione-arte-giornalismo/
[5] Ibidem
[6] VOLLI, U., Il nuovo libro della comunicazione. Che cosa significa comunicare: ideem tecnologie, strumenti, modelli, , Milano, Il Saggiatore, 2010, p. 21..
[7] PILUDU, F. – VITTORI, S. (a cura di), Segno libero, Milano, Elèuthera, 2016, p. 21.
[8] MUNARI, B., Arte come mestiere, p. 28.
[9] Ibidem
[10] BAULE, G. – CARATTI, E., Design è traduzione. Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto, Franco Angeli, 2016
[11] Identificazione dei codici di M. Campagnaro, Narrare per immagini. Uno strumento per l’indagine critica, Pensa Multimedia, 2012, pp. 40-48 in BAULE, G. – CARATTI, E., Design è traduzione. Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto, Franco Angeli, 2016, nel capitolo Traduzioni multiple. Il paradigma traduttivo negli albi illustrati.
[12] Pierre-Joseph Proudhon in TESSAROLO, M. (a cura di), L’arte contemporanea e il suo pubblico. Teorie e ricerche: Teorie e ricerche, Franco Angeli, 2009, p. 7.
[13] MUNARI, B., Arte come mestiere, p. 19.
[14] GRAZIOLI E., Arte e pubblicità, Bruno Mondadori, 2001, p. 194.
[15] DROSTE M., Bauhaus, Taschen, 2015, p. 61.
[16] VITTA, M., Il progetto della bellezza. Il design fra arte e tecnica dal 1851 a oggi, Einaudi, 2011, p. 311.
[17] BARONI, D., Il manuale del design grafico, Longanesi, 2015, pp. 259-260.
[18] Ibidem
[19] GRAZIOLI E., Arte e pubblicità, Bruno Mondadori, 2001, p. 67.
[20] Ibidem
[21] Camuffo G., Piazza M., Vinti C. (a cura di), TDM5: Grafica Italiana, Corraini Edizioni, 2012, p. 14.
[22] realities:united > info > about (http://www.realities-united.de/#SHOWINFO,1,1)
[23] realities:united > info > references (http://realities-united.de/#SHOWINFO,2,1)
[24] Installazione del 2012, permanente, creata per la facciata del Kunstmuseum di Magdeburgo (Germania). Per approfondire e vedere l’installazione consultare qui.
[25] Installazione del 2012, permanente, creata per il Contemporary Art Centre di Cordoba (Spagna). Per approfondire e vedere l’installazione consultare qui.
[26] HELLMEYER, F., realities:united featuring, Ruby Press, 2011, p. 22.
[27] BAULE, G. – CARATTI, E., Design è traduzione. Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto, Franco Angeli, 2016, nel capitolo DeT 1.0 Un manifesto per Design e Traduzione.
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Bibliografia
BARONI, D., Il manuale del design grafico, «La nostra via», Milano, Longanesi, 2015, pp. 361.
BAULE, G. – CARATTI, E., Design è traduzione. Il paradigma traduttivo per la cultura del progetto, «Design della comunicazione», Milano, Franco Angeli, 2016, pp. 278.
Camuffo, G., Piazza M., Vinti C. (a cura di) con la direzione di Silvana Annicchiarico, TDM5: Grafica Italiana, Corraini Edizioni, 2012, pp. 392.
DROSTE, M., Bauhaus. 1911 ‒ 1933 Riforma e avanguardia, Taschen, 2015, pp. 96.
FERRARA, C., La comunicazione dei beni culturali. Il progetto dell’identità visiva di musei, siti archeologici, luoghi della cultura, «Design», Milano, Lupetti, 2a ed., 2009, pp. 160.
GRAZIOLI, E., Arte e pubblicità, «Sintesi», Milano, Bruno Mondadori, 2001, pp. 288.
HELLMEYER, F., realities:united featuring, Berlino, Ruby Press, 2011, pp. 248.
MUNARI, B., Arte come mestiere, «Economica Laterza», Roma-Bari, Laterza, 2007, pp. 254.
PILUDU, F. – VITTORI, S. (a cura di), Segno libero, Milano, Elèuthera, 2016, pp. 143.
TESSAROLO, M. (a cura di), L’arte contemporanea e il suo pubblico. Teorie e ricerche: Teorie e ricerche, «Sociologia», Milano, Franco Angeli, 2009, pp. 240.
VITTA, M., Il progetto della bellezza. Il design fra arte e tecnica dal 1851 a oggi, «Piccola Biblioteca Einaudi», Torino, Einaudi, 2011, pp. 403.
VOLLI, U., Il nuovo libro della comunicazione. Che cosa significa comunicare: idee tecnologie, strumenti, modelli, «Saggi. Tascabili», Milano, Il Saggiatore, 2a ed., 2010, pp. 314.
Sitografia
Artribune http://www.artribune.com | realities:united http://www.realities-united.de
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Biografia dell’Autore
*Florinda Giannino (Catania, 1987). Ha conseguito il diploma accademico di Graphic Design I livello, corso di Editoria presso l’Accademia di Belle Arti di Catania, con tesi dal titolo “Perché scegliamo un libro dalla copertina? La grafica editoriale trade.” Attualmente è iscritta al master «Il lavoro editoriale» presso la Scuola del libro di Roma.
B-RESEARCH – di Balloon Contemporary Art, Research, communication, Curating Art &Publishing Project
ballooncontemporaryart@gmail.com
Catania
Un progetto di ricerca a cura di
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Gruppo di selezione
Valentina Lucia Barbagallo
Giuseppe Mendolia Calella
Cristina Costanzo
Maria Giovanna Virga
Giovanni Scucces